“Il grande assente dell’operazione Fca-Renault è il governo italiano: le due aziende hanno già parlato con Macron, mentre non hanno riferito a nessun membro del’esecutivo italiano”. A raccontare gli sviluppo della vicenda automobilistica, che qualora – come auspicabile – coinvolgesse anche le giapponesi Nissan e Mitsubishi, darebbe vita al primo gruppo auto del mondo, è Marco Bentivogli, segretario generale di Fim Cisl, che intervenendo al Festival dell’Economia di Trento conferma le rassicurazioni ricevute dal Lingotto sugli impianti in Italia ma rileva l’assenza del Governo nella partita e anche possibili difficoltà sul fronte sindacale francese: “Con i colleghi francesi abbiamo un buon rapporto, ma stanno assumendo la stessa e inaccettabile posizione assunta con Fincantieri e cioè quella del nazionalismo. Bisognerebbe invece pensare, come organizzazioni sindacali, al bene dell’industria europea”.
Bentivogli, che succede esattamente sul fronte sindacale francese?
“C’è molta fibrillazione, dovuta al solito atteggiamento patriottico che abbiamo già visto con Fincantieri. Noi come Fim Cisl riteniamo che sia importante dare solo indicazioni di carattere occupazionale e industriale, anche perché abbiamo molti più casi di aziende italiane acquistate dalla Francia che viceversa, e non lo abbiamo mai visto come un problema. I francesi dovrebbero anche rendersi conto di avere una posizione di vantaggio, anche in una partnership che si annuncia paritaria, perché lo Stato è presente in Renault. La preoccupazione semmai potrebbe riguardare noi, nel senso che bisognerà avere rassicurazioni da parte dell’azionista maggioritario di Fca di non esercitare prima di tempi medio-lunghi l’opzione di put in favore dei francesi. Va costruito un assetto per cui la condizione paritaria resti per il periodo più lungo possibile”.
Fca ha rassicurato sul futuro degli impianti italiani. Vi siete già incontrati? Quali sono i principali nodi?
“Abbiamo chiesto un incontro a Fca, ci hanno risposto dandoci la disponibilità a incontrarci nei prossimi giorni, appena saranno note le direzioni di sviluppo del negoziato. C’è in ballo ad esempio il piano per la produzione del suv Tonale a Pomigliano, che per quanto ci riguarda non è in discussione ma aspettiamo una risposta chiara in questo senso. Ribadisco che l’operazione è assolutamente interessante, anche se va verificata la governance, al di là dei pacchetti azionari. Ci sono voci su chi farà l’Ad e chi il presidente, bisognerà capire bene. Dal punto di vista industriale ci saranno sovrapposizioni sul segmento B, ovvero la produzione di motori, allo stesso tempo però è molto importante la possibilità di avere il top di gamma e il lusso, che non c’è nell’offerta di Renault”.
E di entrare nel mercato asiatico, se anche Nissan e Mitsubishi dovessero essere della partita.
“Esattamente. Sia Fca che Renault sono abbastanza deboli sul mercato orientale, ma non è questo l’unico motivo per cui l’ingresso dei giapponesi nell’operazione sarebbe molto importante: la competenza sull’elettrico, superiore sia a quella di Fca che della casa automobilistica francese”.
E il Governo italiano?
“Il guaio è che in questa partita così importante, così come in generale nella gestione dei dossier di crisi industriali, il governo e soprattutto il ministero dello Sviluppo economico sono completamente assenti. Entrambe le aziende, anche Fca, hanno già parlato con il presidente francese Macron, ma nessuno ha ancora parlato col governo italiano, che si diceva impegnato in campagna elettorale. Peccato che anche la Francia fosse in campagna elettorale. La situazione è surreale e non riguarda solo l’operazione Fca-Renault: di recente c’è stato il caso Mercatone Uno, di cui però non mi sono occupato personalmente, mentre segnalo che Whirlpool ha chiuso lo stabilimento di Napoli (mandando a casa 420 lavoratori, ndr): due governi fa avevamo fatto un grande accordo per la salvaguardia dei due siti campani e per il rilancio di un terzo, oggi invece il governo tutt’al più ogni tanto offre un po’ di ammortizzatori sociali alle aziende, ma non ha nessuna idea di che cosa bisogna fare per lo sviluppo industriale”.
Lei a Trento ha presentato il suo libro sulla tecnofobia, un male che considera molto italiano. A proposito del caso Mercatone Uno, è stato scritto che i lavoratori sono stati “licenziati su Whatsapp”. Insistere su questo aspetto è a sua volta un esempio di tecnofobia?
“Sì. Come scrivo nel libro, la tecnofobia è una specialità molto italiana, che consiste nel pensare di affrontare le sfide restando fermi. Voglio ricordare, ad esempio, che in Italia la tv a colori è arrivata 10 anni dopo che altrove, perché per qualcuno era un cambiamento troppo grande. E’ chiaro che la tecnologia ci sta proponendo dei cambiamenti antropologici, ma non bisogna essere negativi a prescindere, come tendiamo ad essere. Steve Jobs diceva: ‘voi pensate di possedere un iPhone, ma è lui che possiede voi’. Aveva ragione, ma la positività della tecnologia dipende dalle finalità che noi umani decidiamo di darle. Licenziare le persone tramite Whatsapp è un fatto di insensibilità, non vuol dire che il problema sia Whatsapp. Le responsabilità sono tutte nostre, bisogna smetterla col fatalismo. Cito il Papa, quando dice che il tempo è superiore allo spazio. Intende dire che il futuro è conseguenza delle scelte del presente, e ha ragione”.
Molti tuttavia sostengono che la tecnologia, e in particolare l’automazione dei processi produttivi, porterà a uno scenario occupazionale apocalittico. Cosa risponde?
“Che non è così. Il lavoro semplicemente cambia e la digitalizzazione lo rende anche qualitativamente migliore, sgravando le persone dai lavori nocivi e ripetitivi, a patto però che un Paese si prepari adeguatamente. Badi bene: in Italia è l’assenza di tecnologia che ha fatto perdere posti di lavoro, non il contrario. Bisogna investire nelle competenze anziché frenare il progresso. L’umanità e la sua creatività resteranno imbattibili, non saranno le macchine a fermarle e le due cose possono anzi devono convivere. La previsione di Davide Casaleggio di un’umanità che nel 2054 lavorerà solo all’1% è la più grande delle fake news. Vale quanto la profezia maya sulla fine del mondo nel 2012, infatti siamo ancora qui”.
In Italia però non stiamo ancora investendo in questa transizione.
“Assolutamente no ed è un grande problema. Abbiamo un tasso di analfabetismo funzionale pari a quello della Turchia, e i nostri giovani vanno a cercare fortuna all’estero. Ma perché, ad esempio, non fanno lo stesso i giovani tedeschi? Perché Angela Merkel ha lanciato il patto della Scuola Digitale, riformando tutta l’istruzione primaria e incentrandola appunto sulle competenze digitali. Il nostro sistema invece non forma, nemmeno al discernimento. E un po’ è colpa anche dei genitori”.
In che senso?
“Nel libro c’era un capitolo che non ho più pubblicato, quello sulla genitorialità 4.0. La mia generazione, come genitori, ha fallito. Non è vero che il digitale cambia tutto, è anche il genitore che non si è messo in discussione per educare col digitale”.