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Bentivogli: la sfida dello smart working, ecco come affrontarla

Un nuovo libro di Marco Bentivogli, fino a poco tempo fa segretario generale dei metalmeccanici dell Cisl, intitolato “InDipendenti – Guida allo smart working”, ed edito da Rubettino mette in luce tutti gli aspetti dello smart working, che non va identificato semplicisticamente con il lavoro remoto, ma è una grande occasione per migliorare la vita e il lavoro in modo intelligente

Bentivogli: la sfida dello smart working, ecco come affrontarla

Durante la pandemia lo smart working è arrivato a coinvolgere, solo in Italia, più di 6 milioni di lavoratori. Per molti è stato un sogno, per altri un cottimo digitale a 20 ore al giorno, per altri ancora si è trattato di riposo forzato. Il “fai da te” di questi mesi è stato spesso deludente, perché le aziende, la pubblica amministrazione e i lavoratori stessi sono stati presi di sorpresa, non erano abituati e organizzati (quella del lavoro digitale è una delle tante classifiche in cui l’Italia è fanalino di coda a livello europeo), ma la verità è che lo smart working in realtà rappresenta una grande sfida di sostenibilità per riprendersi la vita e costruire un lavoro migliore.

Ad analizzare il nuovo paradigma del mercato del lavoro è il sindacalista Marco Bentivogli, fino a poche settimane fa segretario generale di Fim Cisl, attraverso il libro “InDipendenti – Guida allo smart working”, edito da Rubbettino e disponibile anche in ebook. La sfida dello smart working, secondo Bentivogli, ha molto a che fare con la fiducia: il rapporto fra manager e lavoratore infatti si modifica, in quanto non più fondato sulla presenza fisica e sul numero delle ore di servizio, ma sui risultati ottenuti. Ma soprattutto sulla libertà e l’autonomia in opposizione alla cultura di “controllo” su cui si fondano gran parte delle organizzazioni.

Si tratta di un processo di innovazione dell’impresa e dell’organizzazione del lavoro, delle città, della vita. Per questo è importante che coinvolga tutti, per approdare insieme ad un cambiamento culturale prima che organizzativo. L’autore mette in luce i vantaggi del lavoro agile senza però trascurare i pericoli di un utilizzo improprio. Questa guida pratica offre un percorso per realizzarlo nelle organizzazioni e indicazioni utili per regolare meglio diritti e doveri dello smart worker. Il messaggio è che lo smart working è un lavoro “intelligente” perchè valorizza la reciprocità e trasferisce quote di responsabilità e libertà alle persone, favorendo il loro benessere e la produttività.

Ecco un estratto dell’introduzione del libro:

Il futuro del lavoro è un foglio bianco da scrivere

“Hai ripreso a lavorare?”. A quanti di noi nei giorni post lockdown è stata posta questa domanda? Quasi che il telelavoro, il covid-working o i pochi casi di autentico smart working fossero «vacanze». In realtà, proprio per chi non aveva organizzato, contrattualizzato, ripensato impresa e lavoro, l’emergenza ha fatto improvvisare un po’ tutto, per di più con la ragionevole deroga agli accordi individuali. La cosa più bella è stata la valutazione che ogni tanto i giornali pubblicavano sullo smart working, intervistando persone che avevano praticato cose ben lontane dal lavoro agile. Ora, però, c’è da ragionare. Se il mondo dopo il virus non può essere lo stesso, neanche il lavoro può tornare allo status quo ante. È proprio il lavoro il crocevia delle grandi trasformazioni.

Siamo in grado, invece, di fare un passo avanti? Le ingiuste critiche di quanti pensano che questa forma di lavoro consenta, in effetti, una eterna vacanza – particolarmente ai dipendenti pubblici – devono essere rinviate al mittente. Le generalizzazioni mettono sempre i laboriosi sullo stesso piano dei lavativi. Le distorsioni esistono ovunque e questa retorica stantia nega solo il progresso che c’è stato e che ancora più potrebbe esserci in termini di crescita delle competenze, di rinnovamento delle organizzazioni, di miglioramento dell’equilibrio vita – lavoro, di minor impatto ambientale e, sì, di produttività. Agire in difesa dell’esistente non ci sta più bene e il diritto allo smart working, e a riprogettare il lavoro ben pensato, costruito a partire dalle esigenze delle persone, lungimirante perché collegato ad obiettivi di lungo periodo, non è più rinunciabile.

Come vedrete, lo smart working non riguarda solo i lavoratori coinvolti: cambia l’impresa, la mentalità, le gerarchie, le culture organizzative. Tutti temi che organizzazioni e imprese sposano in tutta la convegnistica ma che, digerite le tartine, voleranno via con le bollicine del «seguirà aperitivo». Quello del controllo è lo strumento principe del management contemporaneo, lo si voglia ammettere o no. Perché la finalità principale della maggior parte delle organizzazioni economiche non è quella di creare valore condiviso attraverso l’azione coordinata e cooperativa di diversi soggetti, ma piuttosto «indurre i lavoratori ad agire nell’interesse dei loro datori di lavoro. Eterodiretti, controllati e spinti a fare qualcosa che, altrimenti – questa è la convinzione di fondo – non saremmo disposti a fare o a fare bene.

Questa è l’immagine predominante dei lavoratori, sia nell’ambito di molta ricerca economica, sia, soprattutto, in molte di quelle business school che formano le leve del management del futuro. Naturalmente questo modello non solo è fattualmente falso, ma soprattutto inefficace, in particolare, rispetto soprattutto a quei lavori nei quali creatività e iniziativa sono elementi essenziali, lavori che oggi caratterizzano gran parte dell’economia mondiale». È tutto così, addirittura le organizzazioni a finalità sociale, i partiti sono spesso intrisi dalla cultura del controllo per l’eterno timore della libertà. E così che non si riesce a capire che accanto alla responsabilità, la libertà e l’autonomia sono le uniche leve di generatività, di creazione di ricchezza umana, sociale ed economica.Lo smart working era una opportunità, ora è una necessità urgente.

Il titolo In dipendenti non si riferisce alla nuova categoria di lavoro emergente ovunque nel mondo, fuori dal lavoro subordinato (dipendente) ma altrettanto dal lavoro autonomo. Peraltro uno degli ingredienti dello smart working è l’autonomia e non l’indipendenza. E vedremo quanto la mancanza di autonomia soffochi produttività e benessere delle persone al lavoro. E – aggiungo – nel lavoro agile è ancora più decisiva la relazione, il lavoro di gruppo, la capacità di coordinamento, con gli altri. Mi riferisco, piuttosto, ad un salto di qualità dei processi di apprendimento: le organizzazioni e le imprese che creano «dipendenze» sono nocive, ingabbiano le energie migliori degli esseri umani. Per questo avere lavoratori in-dipendenti, responsabili e felici deve diventare un obiettivo generale.

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