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Bentivogli: “Cdp troppo presente, lo Stato non è una banca”

Festival Economia Trento

I soldi del Recovery Plan serviranno a far ripartire l’economia, e in una prima fase (ancora pandemica) sembra necessaria e giusta una regia e anche una presenza dello Stato, attraverso forti investimenti pubblici soprattutto per le infrastrutture e le transizioni energetiche e digitali. Ma fino a che punto è pacifico che sia così, quanto potrà durare e con quali modalità? Di questo si parla al Festival dell’Economia di Trento, il cui titolo è appunto “Il ritorno dello Stato: imprese, comunità, istituzioni” (leggi l’intervista al direttore scientifico Tito Boeri). Partendo dagli spunti offerti dall’ultimo libro di Franco Debenedetti, “Fare profitti: Etica dell’impresa”, su questi temi è intervenuto anche l’ex leader sindacale e oggi politico di area riformista Marco Bentivogli, sottolineando la necessità di uno Stato che sia più “sollecitatore” e “abilitatore” che vero e proprio attore nel fare impresa.

“L’Italia vince la sfida della ripresa e dell’innovazione se pubblico e privato collaborano. Bisogna però fare a meno dello Stato imprenditore in senso stretto: il ruolo dello Stato nel prossimo futuro me lo immagino piuttosto come una piattaforma territoriale, con un ruolo di collegamento e di facilitatore”, dice Bentivogli. Inevitabile dunque il riferimento ai vari grandi salvataggi pubblici e al ruolo della Cdp, che negli ultimi anni è entrata nel capitale di molte importanti aziende e che invece dovrebbe ora cambiare marcia, dopo il ribaltone al vertice voluto dal premier Mario Draghi. “Ora c’è il caso dell’Ilva, ma ricordiamoci dell’Italsider, che era 100% pubblica ed esponeva 25 volte di più all’inquinamento. E in più ci ha lasciato 4 miliardi di debiti. Non conosco un esempio positivo di salvataggio pubblico, e il problema è il meccanismo: si creano delle newco fittizie di cui poi non si verificano i risultati. Invece l’intervento di Cdp dovrebbe essere temporaneo, transitorio e soprattutto selettivo, per evitare di surrogare il ruolo delle banche e rischiare di dilapidare risorse pubbliche”.

“Lo Stato non può risolvere tutto e lo abbiamo già visto con l’IRI: con la fine di quella fase di intervento pubblico, l’impresa privata non è riuscita ad affermarsi proprio perché il pubblico era stato troppo presente”, aggiunge Bentivogli. Oltre al fatto, e questo lo specifica meglio l’autore del libro, l’ex amministratore delegato di Olivetti Franco Debenedetti, che “dove c’è troppo Stato diminuisce la concorrenza e dunque la competitività delle imprese. Lo Stato ha risorse a disposizione praticamente infinite e nessuno si spingerebbe ad innovare per sfidarlo in determinati settori. Ecco perché lo Stato deve essere regolatore e non attore”. Sul ruolo di Cdp, Bentivogli è chiaro: “A volte prevale una considerazione o troppo negativa o troppo positiva della partecipazione dello Stato all’economia. In Italia direi troppo positiva, invece abbiamo visto ad esempio col vaccino Reithera, che nonostante le buone intenzioni non siamo riusciti a produrre con soldi pubblici. Cdp negli ultimi anni è intervenuta in tutti i settori possibili: ma siamo sicuri di avere manager pubblici così capaci in tutti questi campi? Io da sindacalista ne ho incontrati davvero pochi”.

“Troppi salvataggi – prosegue il fondatore del network politico Base Italia – non vanno bene e bisognerebbe monitorare i risultati delle aziende partecipate, come si fa altrove. Quando Sergio Marchionne fece la fusione con Chrysler, ha restituito in anticipo i fondi prestati dall’amministrazione americana e ha rendicontato tutta l’attività”. Un’altra differenza con gli altri Paesi è la sicurezza sul lavoro: “Negli Usa – ha ancora detto l’ex segretario generale di Fim Cisl – hanno capito che l’insicurezza costa di più della sicurezza. Un’azienda insicura inoltre è meno innovativa e di conseguenza inquina anche di più. Sicurezza, innovazione e sostenibilità sono tra loro molto collegate e spesso purtroppo lo Stato si pone in ostacolo all’innovazione proprio perché tende ad aiutare l’azienda vecchia, che non innova (e proprio per questo necessita di aiuti), finendo per fare dumping a sfavore degli ecosistemi innovativi che pur in Italia provano a nascere, soprattutto tra le Pmi”.

Infine, sul tema posto dal libro: il primo compito dell’impresa è fare profitti? “Il profitto è la base, senza quello l’azienda non sta in piedi” risponde Bentivogli. “Però io credo anche, come sosteneva Olivetti, che l’azienda debba avere altri fini, debba restituire valore al territorio e alla comunità. Si pensi ad esempio al fatto che la tecnologia sta cancellando i lavori ripetitivi lasciando spazio a quelli ad alto contenuto cognitivo. Ormai nelle fabbriche si usano sempre meno le braccia e sempre di più la testa. Proprio per questo è necessaria una rivoluzione culturale”.

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Categories: Economia e Imprese