BENETTON, L’ULTIMA PICCONATA A PIAZZA AFFARI. SI PUO’ FERMARE IL DECLINO DELLA BORSA ALL’INGLESE?
“Ormai la stragrande maggioranza degli scambi in borsa riguarda i quaranta titoli più liquidi (oltre il 90% delle negoziazioni giornaliere) ed è dettata perlopiù da considerazioni di arbitraggio rispetto ad indici o ad altri mercati. Il resto del listino è del tutto ininfluente con liquidità pressoché inesistente indipendentemente dai fondamentali delle società in questione: il mercato azionario sembra quindi rappresentare sempre meno l’economia italiana”. Giusto una settimana dopo che Michele Calzolari, presidente dell’Assosim, pronunciava questo giudizio al convegno Aiaf nell’ambito di una relazione dedicata alla “marginalizzazione della piazza finanziaria italiana”, è arrivata la notizia del delisting di Benetton, entrato in Piazza Affari nel luglio del 1986.
Un nuovo colpo alla credibilità del mercato, sempre meno rappresentativo della realtà economica del Paese e, qualunque sia la motivazione delle decisioni di casa Benetton, giudicato inutile nell’ambito di un possibile rilancio o cessione. Trova così conferma la metamorfosi del mercato azionario, in specie quello italiano: da canale di finanziamento delle imprese attraverso la raccolta del risparmio, a struttura che distribuisce quattrini ai soci ricomprando le minorities (delisting) o attraverso i buy back.
Un fenomeno che promette di estendersi nei prossimi mesi. Già corrono voci (smentite, com è d’uso in questo casi) di delisting per Saras o per varie aziende manifatturiere che veleggiano su quotazioni largamente inferiori a quelle dell’Ipo. Un’ indagine di Angelo Provasoli e di Michele Preda, ancora attuale, segnalava tre anni fa che su 80 società a maggioranza familiare quotate, ben 57 erano sotto il prezzo di Ipo.
I due professionisti individuavano tre cause all’origine del fenomeno: 1) la scarsa liquidità ed i volumi sottili delle small caps; 2) la scarsa efficacia nella politica di comunicazione verso il mercato; 3) la scarsa attenzione al mercato da parte della maggioranza che “più il titolo scende meno presta attenzione alle opinioni degli analisti ed egli azionisti di minoranza”.
A questi fattori tradizionali se ne sono aggiunti due di stampo nuovo, legati all’evoluzione tecnologica dei mercati e alla diversa regulation imposta dalla Mifid:
a) Il declino degli intermediari “tradizionali” specializzati nell’attività basata sui dati tradizionali, a vantaggio di quelli specializzati nel trading online e nell’high frequency trading, che privilegia la liquidità (cioè la quantità) alla qualità. Si sono sviluppate tecniche di trading basate sulla trasmissione di un numero elevatissimo di ordini con un orizzonte di pochi secondi o nanosecondi.
b) La progressiva perdita di importanza della Borsa italiana: una parte crescente delle contrattazioni dei titoli più liquidi avviene su Londra. Inoltre cresce l’importanza dei listini privati (circa 150 dark pool sono attive in Europa).
Queste trasformazioni hanno profondamente modificato la natura del mercato. Per quanto riguarda Piazza Affari non si può che prender atto che il “mercato” non rappresenta in maniera significativa la realtà economica del Paese o tantomeno la sua ricerca di un canale di finanzamento non bancocentrico. Oggi la capitalizzazione complessiva del mercato è pari a poco più del 20% del pil. Inoltre, utilities, energia e banche coprono più del 60 per cento della capitalizzazione. L’industria manifatturiera pesa per meno del 20%.
Uno stato di crisi endemica in cui non stupiscono i delisting, quanto l’impotenza del legislatore e dei regolatori che qualche difficoltà comunicare ce l’hanno anche perché il sito della Commissione che doveva restar fermo sabato e domenica per manutenzione, stamane non funziona. Quasi a simbolo dell’impari lotta tra gli algotrading Golia, che dispongono di mezzi strapotenti, e l’autorità di controllo..
Eppure uno spazio potenziale per lo sviluppo di un mercato per le pmi paragonabile all’Aim inglese o al mercato francese (dove sono trattati migliaia di imprese) dovrebbe esserci. Così come dovrebbe esserci spazio per una riflessione sul ruolo del mercato che, di questo passo, rischia di ridursi a cassa di compensazione dei guai e delle malefatte di qualcuno a danno di quel che resta del popolo dei risparmiatori. Come dimostra la parabola del gruppo Ligresti.