“Lo smart working? Non serve una nuova legge, ma saranno fondamentali gli accordi sindacali. Il contratto collettivo nazionale? Va chiuso il prima possibile, le imprese non si trincerino dietro la crisi. L’Ilva di Taranto? In Puglia è finita la campagna elettorale, non ci sono più alibi”. Interviene a 360 gradi, intervistato da FIRSTonline, il nuovo segretario generale di Fim Cisl, Roberto Benaglia. Il sindacalista, subentrato un paio di mesi fa a Marco Bentivogli alla guida di una delle sigle più rappresentative della categoria dei metalmeccanici (in Italia sono in tutto 1,2 milioni), affronta tutti i dossier più caldi: dal Covid al rinnovo del contratto collettivo nazionale, passando per le crisi industriali. Chiedendo agli imprenditori più contrattazione e al Governo “meno bonus e più servizi sociali per lavoratori e famiglie”.
Segretario, partiamo dal contratto. Perché è così urgente rinnovarlo?
“E’ scaduto alla fine dello scorso anno, siamo già in ritardo di 9 mesi. La trattativa è urgente perché questo sarà il contratto della ripartenza, il contratto che deve dare un segnale di fiducia ai lavoratori e porre le condizioni per il rilancio dell’industria. Federmeccanica non deve prendere tempo trincerandosi dietro il Covid: è proprio adesso che serve un nuovo accordo, che dia certezze e che riconosca il valore del lavoro. Non illudiamoci: il Recovery Fund non basterà, serve più contrattazione tra le parti”.
Su quali punti insisterete di più?
“Il contratto in questa fase di grande incertezza rappresenta un elemento di stabilità per lavoratori e imprese: competitività delle imprese, competenze dei lavoratori, formazione e sicurezza, relazioni industriali sono tra i punti centrali su cui insistere. Nella fase di emergenza della pandemia abbiamo visto come un tema fondamentale, finora sottovalutato, come la sicurezza è stato strategico per gestire l’emergenza nei luoghi di lavoro e preservare imprese e lavoratori. Come pure la formazione che in questa fase di cambiamenti epocali che vedono il lavoro attraversare una profonda trasformazione rappresenta un elemento centrale. Ovviamente poi c’è la parte salariale, che sulla piattaforma presentata prima della pandemia punta ad un aumento dell’8% (mediamente 156 euro in più). L’obiettivo, su questo punto, è che venga riconosciuto l’importante e decisivo ruolo che i lavoratori metalmeccanici hanno sui risultati di un’azienda”.
Come valuta la proroga da parte del Governo della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti? Molti sostengono che questo provocherà una valanga di licenziamenti in inverno…
“Il rischio c’è, ma proprio per questo è decisiva la contrattazione sindacale. La proroga del blocco ai licenziamenti è stata giusta, però non durerà all’infinito e proprio per questo è urgente dare nuove tutele ai lavoratori. Come farlo? Dialogando con Governo e industriali per prevedere contratti di solidarietà, per ridurre gli orari di lavoro in modo da salvaguardare i posti, per assumere giovani ed evitare che siano ancora una volta loro a pagare la crisi. Bisogna agire ora perché non possiamo permetterci un nuovo lockdown, ma nemmeno di aspettare il vaccino”.
L’emergenza Covid ha improvvisamente portato alla ribalta lo smart working, o per meglio dire il telelavoro. Ci spiega intanto la differenza?
“Il telelavoro è quando si fa da remoto il lavoro che si farebbe in ufficio, mentre lo smart working è qualcosa di più complesso, che prevede che una parte del lavoro venga ancora fatta sul posto e che va regolamentato sempre meglio per tutelare i lavoratori. In primavera ci siamo trovati catapultati in questa nuova realtà, ma non eravamo ancora pronti”.
In Italia però c’è una legge sullo smart working dal 2017, Lei dice che andrebbe aggiornata?
“No, questo no. La legge c’è e non ne servono altre, però serve più contrattazione sindacale, serve un progetto condiviso tra datori di lavoro e sindacati”.
Cosa si può chiedere dunque al Governo?
“Intanto che insista ad esempio sulla banda larga, in modo da permettere a tutti gli italiani di lavorare efficacemente in rete. E poi c’è il tema delle donne e delle famiglie: lo smart working ha evidenziato che spesso le mamme, lavorando da casa, vengono sottoposte a un doppio sforzo, quello professionale e quello di gestione dei figli. Intanto, non sta scritto da nessuna parte che queste incombenze debbano ricadere solo sulle donne, e poi dal Governo sarebbe giusto aspettarsi più servizi sociali. Magari meno bonus ma più asili, ad esempio”.
Si parla molto anche del tema del diritto alla disconnessione. Farete battaglia su questo?
“Certo. In Europa ci sono già esempi di aziende in cui sono gli stessi server interni a bloccare l’invio di mail aziendali la sera e nel fine settimana. La tecnologia consente già ampiamente di proteggere il lavoratore dall’essere bombardato h24, dobbiamo però decidere di usarla”.
Lo smart working però porta anche molti benefici, ad incominciare dal risparmio per le imprese: si parla di 20.000 euro l’anno in meno per ogni lavoratore, se lavora da casa.
“E non solo. Lo smart working significa anche meno pendolarismo, meno tempo perso in riunioni, dunque più produttività e minor impatto sull’ambiente. Però va regolamentato, perché lavorare da casa non deve essere una vacanza ma nemmeno risultare più pesante che lavorare in azienda. Con alcuni grandi gruppi stiamo già discutendo per organizzarci al meglio, ricordando che smart working non è telelavoro e dunque non contempla di lavorare sempre da casa, ma è un mix di soluzioni diverse il cui paradigma è che si lavori per risultati. Io sono contrario all’assolutizzazione dello smart working”.
Chiudiamo con un dossier caldo da anni, ma che negli ultimi giorni è tornato incandescente. Dopo le vostre proteste, avete ottenuto un incontro al Mise per l’Ilva di Taranto. Quale è la situazione?
“E’ successo che Governo e ArcelorMittal hanno per lungo tempo escluso il sindacato dalla trattativa. Ora però in Puglia è finita la campagna elettorale, quindi non ci sono più alibi. La soluzione non è semplice ma dobbiamo tenere ben presente che a Taranto non possiamo permetterci di perdere posti di lavoro e che c’è il rischio concreto che a fine novembre ArcelorMittal decida di rinunciare. Questo creerebbe ulteriore incertezza. Martedì scorso abbiamo finalmente ottenuto un incontro al Mise: un fatto positivo, ma le questioni restano aperte”.