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Bellanova: “Ilva, no alle prove muscolari. Bisogna voltare pagina”

Imagoeconomica

Sull’Ilva “non mi sento parte di una prova muscolare tra livelli istituzionali”. E ancora: “Utilizzare un ricorso giudiziario come arma di pressione è illogico e pericoloso. Se non si volta pagina a pagare saranno solo i territori”. Bastano queste due frasi, pronunciate da Teresa Bellanova nel corso di questa intervista a FIRSTonline, per capire chi si ha di fronte. La viceministro allo Sviluppo economico è, dal 2016 (prima è stata sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi), in prima fila tutte le vertenze più difficili e spinose. Lei, che si è fatta le ossa nella Cgil prima con i braccianti e poi nel tessile, ha seguito una per una centinaia di situazioni di crisi toccando con mano l’impatto feroce della recessione economica più dura del dopoguerra. L’Ilva è l’ultima e forse la più importante spina nel fianco; altre l’hanno preceduta e sono state risolte: da Electrolux a Whirlpool; altre sono ancora aperte come Alitalia. Bellanova non è tipo da rincorrere i riflettori, punta piuttosto su “concretezza e rigore” come ci racconta in questa chiacchierata che fa il punto sull’anno che si è chiuso e sul nuovo che si apre e la vedrà ancora al governo in attesa delle elezioni. O forse anche un po’ più in là. Guardando alla legislatura che si chiude, va fiera della legge sul testamento biologico e sullo ius soli avverte: “E’ una legge di civiltà. Costruire recinti alimenta solo paure e rancore. Non è il mondo che voglio consegnare a mio figlio”.

Viceministro Bellanova, il destino dell’Ilva è appeso a un filo. La rinuncia alla richiesta di sospensiva da parte della Regione Puglia nelle ultime ore, ha un valore distensivo ma non cancella il ricorso al Tar.  Come si esce dall’impasse in vista del 10 gennaio  quando dovrebbe riprendere il tavolo tra i nuovi acquirenti e i sindacati?

Si esce dall’impasse spostando in avanti non il conflitto ma la corresponsabilità e la collaborazione istituzionale, il rigore e la concretezza. E’ l’unico modo che conosco e che ha consentito in questi anni la gestione di Tavoli di crisi molto complicati e apparentemente irrisolvibili.

“Possiamo essere distanti su tutto ma non sulla necessità di mettere in sicurezza una trattativa la cui posta in gioco è un investimento di oltre cinque miliardi di euro che garantisce un programma di ambientalizzazione come mai prima. Sto ai fatti: la trattativa tra azienda, amministrazione straordinaria e parti sociali è ripartita con soddisfazione di tutti il 22 dicembre e ci aspetta un calendario serratissimo con tavoli tematici per ogni sito. Non mi sento parte di una prova muscolare tra livelli istituzionali, mi interessa il destino delle comunità coinvolte, dei ventimila lavoratori e delle loro famiglie, delle imprese dell’indotto. Mi interessa la tutela della salute e dell’ambiente, che solo così può trovare ampia risposta e impedire che dell’Ilva, e in particolare a Taranto, resti solo un cimitero industriale a cielo aperto. Utilizzare un ricorso giudiziario come arma di pressione è illogico e pericoloso. Se non si volta pagina a pagare saranno solo i territori, i lavoratori, i cittadini, le città, l’ambiente, la salute. Una responsabilità che non voglio avere sulla coscienza”.

Il calvario dell’acciaio, come qualcuno lo ha definito, è lo specchio di un’Italia bloccata dai veti e dai localismi. Anche il gasdotto Tap è bloccato in Puglia a Melendugno mentre Turchia, Grecia e Albania vanno avanti a ritmo sostenuto. Sia Ilva che Tap sono in Puglia. Una coincidenza?

Ilva e Tap sono due questioni diverse e distinte ed è bene che restino tali. Meno confusione alimentiamo meglio è. Il Trans Adriatic Pipeline nasce con i Governi Monti e Letta, ha avuto una genesi che ha contemplato il confronto tra tutti i livelli istituzionali pur essendo stata considerata infrastruttura strategica di interesse nazionale, è coerente con la Strategia energetica nazionale che punta a intensificare l’approvvigionamento energetico da fonti rinnovabili individuando nel gas la via mediana per arrivarci. Chi riduce la questione energetica nazionale a bega condominiale soffiando sulle paure dei cittadini non sa di che parla”.

Provincialismo?

“Politica estera e politica energetica si tengono, la diversificazione delle fonti ha a che fare con la sicurezza energetica nazionale e con delicatissimi equilibri geopolitici. Responsabilità della filiera istituzionale e decisionale non significa acquiescenza ma governo responsabile delle questioni e dei conflitti. Per la Puglia anche la consapevolezza su cosa comporti essere una grande banchina protesa verso sud est per trasformare questa vocazione in una risorsa e non in una catastrofe.

“Vale per Taranto e non solo per l’Ilva ma anche per il porto e i porti pugliesi, per il traffico container, per il traffico passeggeri. Questioni da affrontare piuttosto che con litanie retoriche nella pratica concreta, ben sapendo che senza sviluppo non si salva nessun ambiente e senza tutela dell’ambiente non si crea nessuno sviluppo. Non siamo più negli anni ’50”.

Come sottosegretario prima e viceministro poi, lei ha seguito tutte le crisi industriali più difficili degli ultimi anni. Quale bilancio si può trarre?

Se guardiamo agli ultimi anni contiamo 196 casi chiusi positivamente, pari a circa il 60% di quelli complessivamente conclusi. Una percentuale significativa che comprende alcune delle vicende industriali più importanti di questi anni. Electrolux, Ast, Whirlpool, Meridiana, Bridgestone, Industria Italiana Autobus, e molte altre. Migliaia di posti di lavoro salvaguardati e recuperati. I casi di successo sono tanti, e tutti importanti anche se naturalmente non con uguale risonanza mediatica”.

La crisi possiamo considerarla ormai dietro le spalle anche se non tutti i casi possono dirsi risolti e conclusi. Il 2017 è stato un anno ponte verso la ripresa che sembra ben avviata. Cosa ci possiamo aspettare per il 2018?

Abbiamo crisi industriali su cui proseguiremo impegno e lavoro e che significano migliaia e migliaia di posti di lavoro. Ilva, Alitalia, Piombino, Ericsson, Ideal Standard, solo per citarne alcune. Ma abbiamo anche una serie nutrita di indicatori che ci confermano nella strategia messa in campo in questi anni: ripresa dell’occupazione e aumento dell’occupazione femminile e giovanile, fiducia delle imprese, fiducia dei consumatori, ordinativi, export. Non abbassare la guardia è fondamentale e così lavorare per garantire due condizioni fondamentali: tenere insieme crescita e inclusione, estendere diffusamente alla dorsale delle piccole e piccolissime i risultati raggiunti dalle grandi imprese. Per impedire territori a due o anche più velocità, ragionare sempre più marcatamente in termini di sistema-paese, fare leva sulla molecolarità delle eccellenze. L’innovazione è fondamentale anche nelle piccole e medie, così un sistema di formazione non solo per i lavoratori ma anche per manager e imprenditori e il rafforzamento delle politiche attive”.

Lei fa capire che sarebbe opportuno coinvolgere nelle politiche di sostegno all’innovazione sempre più le piccole e medie imprese…

“Veniamo da un passato in cui per competere si faceva leva sulla svalutazione competitiva. Poi abbiamo immaginato di reggere l’impatto della globalizzazione agendo sul costo del lavoro, utilizzando incentivi e ammortizzatori sociali come un bancomat. Chi ha retto, chi si è salvato guadagnando in qualità e in eccellenza lo ha fatto rifuggendo da queste dinamiche. E’ una lezione importante che dovremmo mettere a valore di più ed estendere diffusamente. Non a caso con la Legge di bilancio appena approvata si istituisce un Fondo per lo sviluppo del capitale immateriale, della competitività e della produttività con una dotazione di 5 milioni per l’anno 2018, 125 per il 2019 e 175 dal 2020. E, per il Mezzogiorno, istituiamo il Fondo imprese Sud volto alla crescita dimensionale delle piccole e medie”.

Guardando al futuro, lei sarà ancora al governo il prossimo anno poiché l’esecutivo non si dimetterà: ha funzionato il sistema degli incentivi  alle imprese?  O è arrivato il momento di fare un “tagliando” degli strumenti messi a disposizione dallo Stato?

Gli incentivi hanno funzionato perché sono stati mirati e hanno avuto obiettivi mirati, precisi e misurabili. E’ importante, quando si utilizzano risorse pubbliche, essere molto attenti a chi si erogano e perché. Per troppi anni i soldi sono piovuti a pioggia, non solo nel Mezzogiorno, con un uso non sempre trasparente. Siamo pieni di capannoni inutilizzati e di zone infrastrutturate ma disabitate. Più che di Industria 4.0 parlo di Impresa 4.0 o Agricoltura 4.0 perché l’innovazione o è dovunque o non è. Solo così sfidiamo pigrizie e recuperiamo quel gusto del fare bene le cose che caratterizza il nostro Made in Italy, la nostra manifattura. Non parlo solo di quella dei brevetti ma anche dell’innovazione incrementale che dobbiamo saper sostenere e alimentare. Affinare gli strumenti di conoscenza, gestione e controllo diviene fondamentale. Il tagliando agli strumenti è opportuno, obbligatorio direi, sfoltendo se necessario la platea, per renderli realmente coerenti con le esigenze della qualità nell’occupazione, nelle imprese, nei prodotti, sui mercati”.

Infine un’ultima domanda. Lei ha conosciuto e sposato in Italia un cittadino marocchino, un interprete. Alla luce della sua esperienza personale e delle sue convinzioni politiche, cosa si sente di dire agli italiani – sarebbero il 53%, secondo gli ultimi sondaggi – contrari allo ius soli?

Lo ius soli è una norma di civiltà: solo un terreno in cui il riconoscimento dell’altro e le differenze si tengono alimentando conoscenza e rispetto reciproci è il miglior antidoto al terrorismo e all’odio razziale. In questo caso, oltretutto, parliamo di ragazzi e ragazze che vivono da anni in Italia, gomito a gomito con i nostri figli. La norma sullo ius soli o ius culturae o ius temperato è stata oggetto, come a suo tempo già le unioni civili, di una campagna politica scellerata finalizzata esclusivamente ad alimentare paure e rancori, quel rancore che il Censis ci avverte sarà determinante nelle scelte politiche ed elettorali alle prossime elezioni. Affermare che con lo ius soli si puntava a legalizzare l’immigrazione clandestina è una evidente distorsione non solo dello spirito della norma ma del più elementare buon senso.

“A quel 53% direi questo: chiunque costruisce recinti per gli altri costruisce recinti anche per se stesso, magari dorati e fintamente sicuri ma sempre recinti. Una dinamica micidiale che con la sicurezza non ha nulla a che vedere e che anzi alimenta, a dismisura, insicurezze, paure, ignoranza, odio, rancore. Non è il mondo che voglio consegnare a mio figlio. E per questo, me lo lasci dire, sono fiera del lavoro svolto nel corso di questa legislatura e degli obiettivi conquistati proprio sul terreno dei diritti civili. L’ultimo traguardo è stato il testamento biologico. L’applauso che ha accolto l’approvazione della Legge in Senato parla più di mille parole”.

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