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Beko, oggi il tavolo della verità al Mimit: la storia di una crisi di cui tutti erano a conoscenza, ma che nessuno ha fermato

È fissata per il dieci dicembre alle ore 14 la convocazione del ministero delle imprese e del made in Italy sulla crisi della Beko.

Beko, oggi il tavolo della verità al Mimit: la storia di una crisi di cui tutti erano a conoscenza, ma che nessuno ha fermato

Il convitato di pietra al tavolo delle trattative di oggi 10 dicembre, come di quelle precedenti, sul destino delle fabbriche italiane ex-Whirlpool è la famiglia Koç, più esattamente Mehmet Omer Koç, il 60enne presidente della Holding che, tra l’altro, in luglio era in Italia. 

Tutto viene deciso a Istanbul anche se a incontrare in Italia sin dall’aprile 2023 il governo, i sindacati e gli enti locali sono stati anche i manager di alto bordo, da Hakan Bulgurlu a Ragip Balcioğlu. E le continue e partecipate manifestazioni dei dipendenti delle fabbriche – non solo quelle a rischio chiusura – fanno da drammatico sfondo a una crisi lungamente annunciata ma trascurata da chi avrebbe dovuto, avendone le possibilità. 

Da tempo dunque il governo Meloni era al corrente della pesante realtà e dell’ancora più pesante futuro delle fabbriche italiane. Complice ovviamente una delle più lunghe e micidiali crisi delle vendite di majap made in Europe che sia mai accaduta che compromette e comprometterà il futuro dell’intera manifattura europea. In aggiunta, sulle fabbriche italiane è bene sapere che richiederebbero ingenti risorse per reggere la competitività, fondi che richiedevano da molto tempo perché la sorpresa che Whirlpool trovò all’indomani dell’acquisizione Indesit, nel 2014, è che gli hub erano già allora in buona parte obsoleti. 

Risalgono a quel periodo i più rilevanti piani di rilancio della multinazionale americana per quanto riguarda la filiale Emea grazie alla lungimirante visione del vertice sia della Corporation che di quello europeo, periodo felice che terminò con la finanziarizzazione dell’intero gruppo. Sono anche gli investimenti mancati dell’intero settore italiano, a determinare le crisi di oggi e future. Con un’eccezione: gli stabilimenti italiani di Electrolux, sempre tecnologicamente aggiornati, come Boris Tuzza, ingegnere aerospaziale, certificatore degli impianti e dei prodotti di allora ci ha dichiarato.

Dietro i numeri

Se si analizzano bene i dati che i portavoce italiani hanno trasferito alle controparti, pari pari, mercoledì 20 novembre, con grande trasparenza, si tratta in parole povere di un pesante dimezzamento e di un palese declassamento della centralità europea della ex-Whirlpool-ex-Indesit.

Il dimezzamento innanzitutto degli investimenti annunciati subito dopo la joint: da 250 a 110 milioni di euro. E poi dimezzamento degli stabilimenti (2 su 4) e dei dipendenti: 2mila circa su 4.480. E degli impiegati, la categoria che più difficilmente troverà un reimpiego, ben 1 su 2 se ne deve andare. 

Con un declassamento di quella che era la sede europea della Whirlpool, la chiusura del centro europeo R&D di Cassinetta. Con l’azzeramento della produzione di lavatrici, asciugabiancheria, frigo e freezer (salvo marginali quote) rimangono il centro ricambi e ricondizionamento di Carinaro, più un potenziamento dell’hub di Melano, nelle Marche, che diventerà, con Cassinetta, il centro europeo di produzione della cottura. A Bolu in Turchia restano le cucine free standing, in una fabbrica tra l’altro costruita a suo tempo con attrezzature italiane. Il giorno prima dell’incontro del 20 al Mimit, Paolo Lioy, direttore generale Beko Italia e vicepresidente Beko Europe, aveva dato le dimissioni da tutti gli incarichi con un comunicato su Linkedin.  

Una joint a costo zero?

L’accordo tra la Whirlpool e l’Arcelik non è mai stato chiaro sulle cifre. La joint è ovviamente un apporto di asset in modalità e quantità diverse. Ma l’assegnazione a Beko del 75 per cento della Whirlpool Emea è una cessione vera e propria. L’unico numero dato in occasione della presentazione agli azionisti e agli investitori Usa è stato pubblicato da FIRSTonline, intorno ai 700 milioni di euro, un pagamento che, alla luce di successive verifiche, non è stato mai convalidato. E ciò confermerebbe il fatto che le multinazionali Usa da sempre cedono anche a titolo gratuito aziende e fabbriche che andavano chiuse, a un partner che lo farà al posto loro. 

I patti tra i due big risalgono infatti prima della fine del 2022, e cioè alle prime avvisaglie tempestose di una crisi dei consumi dopo l’ottimo rimbalzo post-Covid. I cinesi di Midea o Haier? Uno specchietto delle allodole forse.

Quanto vale davvero la Whirlpool-Indesit?

L’unico passaggio di milioni di euro si era verificato prima, nell’agosto 2022, con i 250 milioni dati in parte da Arcelik a Whirlpool per le fabbriche russe (ex-Indesit). E poi per la transazione di 20 milioni di euro riguardante l’acquisizione di Whirlpool MO e Africa. Una domanda è d’obbligo: che valore è stato comunque attribuito a Whirlpool Emea? Whirlpool aveva pagato, per la Indesit, alla famiglia Merloni intorno ai 900 milioni di euro; come non valutare l’attuale  gruppo Whirlpool+

Indesit almeno due miliardi?

L’intera attività EMEA di Whirlpool ha registrato vendite per oltre 5 miliardi di dollari l’anno scorso. L’azienda ha svalutato circa 1,5 miliardi di dollari la sua attività EMEA nel quarto trimestre, attribuendo la colpa a “un’interruzione della supply chain”. Nella relazione agli investitori di Marc Bitzer si legge che “si prevede che la transazione genererà oltre 750 milioni di $ in valore attuale netto del valore del flusso di cassa futuro, oltre a sbloccare 200-300 milioni di $ di flusso di cassa libero incrementale nel 2025”. Spiegatemelo….

Whirlpool, una lunga storia

La storia della Whirlpool è costellata di innovazioni, acquisizioni ma anche di chiusure di importanti hub. Alle prime difficoltà dei mercati e alle necessità di fare investimenti, la multinazionale tende a eliminare i problemi: da un lato con colossali delocalizzazioni in Asia e da un altro con chiusure di grandi fabbriche, in Usa e Europa (cinque in tutto). 

Andando a rivedere i finanziamenti – parecchie centinaia di milioni di euro – erogati dall’Europa e dai singoli stati alle multinazionali e alle aziende europee, se ne deduce che in realtà sono state finanziate dismissioni e delocalizzazioni pesanti che hanno, da un lato indebolito gli hub italiani, tedeschi e francesi e da un altro trasferito in Polonia soprattutto la maggior parte di queste risorse e fabbriche. Dall’adesione nel 2004, la Polonia ha ricevuto un finanziamento netto pari in media al 2% del Pil all’anno con una capacità di pianificazione e di spesa che ha ridotto al minimo la perdita di opportunità e di fondi. 

Varsavia è stata la maggior beneficiaria dei fondi strutturali e di investimento dell’UE, avendo ricevuto oltre 100 miliardi di euro nel periodo 2014-2020. Questo quasi esclusivamente perché lo ha fortemente voluto la Germania essendo la Polonia il terreno privilegiato delle delocalizzazioni tedesche e il mercato filo-tedesco per eccellenza. Non dimentichiamo che il gruppo BSH è stato lautamente beneficiato da questi finanziamenti che hanno prodotto decenni di profitti. Gran parte di questi fondi dei contribuenti europei hanno determinato in realtà profitti sempre più lauti. La CE inoltre non ha mai voluto affrontare con interventi coraggiosi, per la ferrea ostilità del Nord Europa e dell’Inghilterra, il dumping esercitato dai coreani e dai cinesi oltre che dai turchi. Che dura tuttora perché quasi tutto ciò che viene importato in Europa è fabbricato in massima parte in Cina o Vietnam, e ben poco in Corea. Va sottolineato che, di recente, la Samsung ha ridotto la produzione di lavatrici nella fabbrica polacca di Lodtz, acquisita dalla polacca Amica, da 1.400mila macchine a 600mila, importando lavabiancheria prodotte a prezzi molto bassi in Cina, per conquistare con un dumping evidente, ulteriori quote di mercato. 

Finanziamenti per chiudere gli hub

La prima fabbrica chiusa dalla Whirlpool è stata quella di freezer e frigo di Trento ma è stato un affare perché dal Fondo Europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) sono arrivati 1,8 milioni di euro e dall’Italia 1,3. Però a spasso 608 lavoratori compresi quelli dell’indotto. Per la fabbrica di lavatrici di Napoli Invitalia aveva assegnato alla multinazionale 10 milioni di euro che avrebbero dovuto andare allo stabilimento di Carinaro (CS) che chiudendo aveva licenziato 800 operai. Per quanto riguarda tutte le altre fabbriche italiane acquisite dalle multinazionali si è verificata negli anni una costante riduzione dei dipendenti con numerose casse integrazioni e finanziamenti che hanno favorito i bilanci della multinazionale a scapito delle finanze pubbliche e delle famiglie.

Le industrie europee all’attacco

BusinessEurope, che riunisce 41 associazioni nazionali delle imprese, in rappresentanza di oltre 20 milioni di imprese europee, ha dato avvio di recente a una decisa operazione di informazione e pressione nei confronti di molte scelte effettuate dalla Commissione Europea che penalizzano le attività manifatturiere, l’occupazione e anche il futuro del made in Europe. E che stanno favorendo la sleale e aggressiva penetrazione di competitor extra-europei. “Noi temiamo fortemente che Ursula von der Leyen voglia imprimere al futuro dell’Europa un’impronta ancora più green- dichiara a FIRSTonline Paolo Falcioni, direttore generale di Applia Europe- senza tener conto dei drammatici problemi delle imprese, che sono da tempo appesantiti dai costi molto alti dell’energia, delle materie prime e del lavoro, e da una burocrazia sempre più invasiva. Negli ultimi cinque anni, per esempio, il carico normativo imposto alle aziende dalla Commissione Europea ha raggiunto un numero insostenibile, ben 14mila normative contro le 3.500 di Biden”. 

Come abbiamo altre volte sottolineato alcune di queste normative green come il Digital Product Passport (Dpp) impone alle aziende del settore di fornire la tracciatura totale e dettagliata della progettazione e della produzione dei tools di acciaio importati, lasciando totale libertà di importare in Europa gli elettrodomestici fabbricati con l’acciaio “sporco” che costa molto meno, favorendo così i produttori extra-europei.

Ecco quante lavatrici escono dagli hub europei

Per chiarire quanto sia rimasto in Europa della manifattura degli anni 80 e 90 ecco alcuni dati che, in sintesi, indicano che si tratta di meno della metà del potenziale originario. In Polonia, con i finanziamenti europei, sono stati de localizzate le produzioni di 5,7 milioni di lavatrici. Beko ne ha 1,2 milioni, BSH e Electrolux 900mila, Samsung 1.700mila e LG 1 milione. In Slovenia Hisense fabbrica 500mila elettrodomestici, ereditati dall’acquisizione della Gorenje. In Romania la Beko fabbrica 1,6 milioni di lavabiancheria e in Slovacchia 1,4. La Miele ha trasferito la sua produzione dalla Germania alla Polonia (500mila apparecchi). Sono però i frigoriferi a registrare i crolli di produzione nelle fabbriche europee con un dimezzamento tra il 2008 e il 20020. Ai quali corrisponde significativamente la caduta pesantissima delle quote dei mercato che vedono i coreani ai primi posti seguiti dai cinesi.

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