Non si era ancora spenta, pochi giorni fa, l’eco dell’annuncio del governatore forzista delle Marche, Francesco Acquaroli, sulla data delle elezioni regionali – in autunno – che da Roma è arrivato quello che a tutti è parso un sostegno alla campagna elettorale di Acquaroli, vale a dire la dichiarazione- del ministro Urso sulla vicenda Beko in occasione della sua recente visita ufficiale in Turchia: ”La fabbrica marchigiana di Comunanza non chiuderà”. Con una aggiunta, secondo la quale ci sarebbe la certezza di un “piano industriale sfidante e ambizioso con investimenti significativi nell’ammodernamento degli impianti e della ricerca e dello sviluppo capaci di garantire lo sviluppo degli stabilimenti di quella che era Whirlpool-Merloni in Italia”.
Beko: “No comment”
Ma è davvero così? Dalla Beko è arrivato un “no comment”. Dai sindacati arriva un commento esplicito: “Si tratta di uno spot elettorale per il governatore Acquaroli”. E in effetti, si sono chiesti alcuni esponenti delle Rsu, Urso ha chiesto oppure no garanzie anche per il sito lombardo di Cassinetta o per quello toscano di Siena?
I retroscena del viaggio di Urso
Cominciamo dal viaggio in Turchia di questi giorni del ministro che – secondo le sue dichiarazioni – avrebbe ottenuto l’assicurazione di una revisione positiva per le fabbriche italiane e non solo per Comunanza. Fonti di Beko hanno fatto sapere che Urso e il suo collega, il ministro turco dell’Industria, avrebbero fatto pressione sul vertice del gruppo Koç affinché Beko Europe dichiari di non chiudere Comunanza. E di rivedere l’intero piano di ristrutturazione. Cosa che non è affatto sicura, anzi. Anzi, da un lato Erdogan è riuscito, grazie a queste pressioni, a mettere in difficoltà uno dei suoi più potenti oppositori laici, il Gruppo Koç, e dall’altro, Urso è riuscito a intestare alla destra – che governa la regione Marche – il merito di aver costretto la Beko a cambiare il piano industriale.
Come evitare il golden power
“Il sito di Comunanza era quello più a rischio”, è stato detto. E Siena? Chiuderà entro il 2025 o il 2027, con una novità che rischia di affossare le ipotesi di rilancio del made in Italy del Bianco. La Beko, nel chiudere le fabbriche polacche e quelle italiane, ha sempre dichiarato che la produzione non sarebbe stata delocalizzata in Turchia. Potrebbe non essere vero. Per esempio, non appena chiuderà il sito di freezer di Siena, partirà, subito dopo la linea già pronta per fabbricare gli stessi freezer, a Manisa, in Turchia. Così si eviterà qualsiasi sovrapposizione delle attività produttive tra i due hub, allontanando il rischio dell’applicazione del golden power.
I freezer da Siena a Manisa e poi le lavatrici?
Secondo Urso “sarà possibile rilanciare il ruolo di piattaforma produttiva sull’alta gamma anche nel campo degli elettrodomestici”. Non è possibile. Tutto ciò che ora viene o veniva fabbricato dalla Whirlpool in Italia si sta spostando in Turchia, con l’esclusione della cottura e di una nicchia del freddo, anche l’alta gamma che poi si vende sempre meno. Non solo, ma si sta verificando una delocalizzazione ancor più grave per certi versi, è quella che riguarda l’uso dei nostri brand storici, non certamente solo la Beko. Compreremo cioè elettrodomestici con storici e glorioso brand italiani ed europei che servono a ”tirare” le vendite, costruiti però in Asia, in Turchia e, in parte, in Est Europa. E presto gran parte delle lavatrici. I consumatori ne sono al corrente?
Elettrodomestici, via fabbriche e brand storici
Ciò sta accadendo con un altro big mondiale, la Haier ma, quello che stupisce, è che avviene senza le proteste e il clamore mediatico che le vicende Whirlpool, Beko e anche Electrolux hanno provocato. La Haier infatti, sin dal suo arrivo in Europa, a Varese, nel lontano 2000, ha attuato una strategia a lungo termine di delocalizzazione soft, per gradi. Dopo aver comprato nel 2001 una fabbrica veneta di frigo table top dalla Meneghetti, nel giro di pochi anni, la chiude nel silenzio più totale. E dopo aver comprato la Candy e la Hoover nel 2018 programma un percorso di delocalizzazione soft della produzione e dei marchi storici. Che si è compiuto nel 2025 ma che, come avevamo scritto in occasione della vendita, era cominciata quasi subito. “L’industria italiana del bianco comincia e finisce con la Candy” era stato il titolo dell’articolo di commento, nel 2018, alla vendita di Candy e Hoover.
Così, chi compra un elettrodomestico Candy e Hoover sappia che compra un prodotto entry level made in China e che non ha nulla ma proprio nulla, di italiano. Le delocalizzazioni in atto e quelle che verranno sono provocate da competizioni impari tra giganti cinesi e turchi e aziende europee sempre più in difficoltà. E riveliamo che, a fronte di una leggera crescita delle vendite di majaps e di small appliances nel 2024 in Europa e in Italia, ad avvantaggiarsi sono stati solo i produttori cinesi e coreani.
La produzione e l’export degli elettrodomestici made in Italy hanno infatti perso ancora quote e volumi. In un quadro così difficile stanno arrivando i risultati dell’ultimo quarter del 2024 e dell’intero 2024 dei giganti dell’elettronica di consumo, dell’informatica, del comfort e degli elettrodomestici. Quasi tutti negativi o comunque in stand by mentre i range mondiali delle vendite vedono arrivare nuovi competitor sui quali ritorneremo per capire quale sarà il futuro del made in Italy e del made in Europe.