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Befera tra tasse e servizi, assurdo il nuovo spot dell’Agenzia delle Entrate

Si vede proprio che Attilio Befera, gran capo dell’Agenzia delle Entrate, e cioè il gabelliere capo dello Stato, si è innamorato delle moderne tecniche di marketing, sperando così di convincere gli italiani a pagare spontaneamente le tasse invece di minacciare sempre terribili sanzioni. Dopo lo “spot” sui parassiti della società, cioè coloro che non pagano le tasse, forte ma efficace, ora Befera ha lanciato in Tv un nuovo messaggio che sostiene in pratica che pagare le tasse conviene perché così lo Stato può fornire servizi ai cittadini. In sostanza, lascia capire lo spot televisivo, più tasse si pagano e più servizi lo Stato può fare. E questo è un messaggio ambiguo e sbagliato sia dal punto di vista della teoria economica che della pratica corrente del caso italiano.

Intendiamoci, il contrasto all’evasione, che in Italia raggiunge livelli veramente mostruosi, e che per troppi anni è stata incoraggiata sia con la giungla normativa sia, ancora di più, con la prassi operativa, è sacrosanto dal punto di vista dell’equità ed anche del buon funzionamento del mercato, che viene inquinato dagli evasori. Però non è vero che più tasse si pagano e più servizi si riceveranno dallo Stato.

In primo luogo è ormai chiaro che uno Stato troppo invadente deprime l’attività economica e lascia meno spazi di libertà ai cittadini di rivolgersi ad altri fornitori di servizi ed, in generale, di organizzare la propria vita secondo scelte derivanti dalle proprie preferenze e dai propri gusti. In generale poi è stato dimostrato che là dove esiste un’alta pressione fiscale si riduce la spinta allo sviluppo e cioè la società tende alla stagnazione.

Questo in linea teorica. Se poi si guarda alla realtà del nostro Paese, il messaggio dello spot appare ancora più anacronistico. Tutti vedono come il problema dei servizi erogati dallo Stato sia in primo luogo un problema di efficienza, e cioè di cattiva gestione, di eccesso di burocrazia, di sprechi, o peggio, di corruzione e ruberie. Più soldi al settore pubblico vuol dire, in questa situazione, alimentare la fame di potere dei politici, i quali creando società ad hoc invadono sempre nuovi campi fornendo servizi obbligatori anche là dove i privati potrebbero operare con minori costi e quindi con tariffe più contenute. Ed infatti il Governo Monti ha già posto le basi per cercare di sfoltire la giungla dei servizi pubblici locali ed inoltre ha dichiarato solennemente che i proventi della lotta all’evasione dovranno essere destinati alla riduzione del carico fiscale che ormai, su chi paga effettivamente tutte le tasse, supera di gran lunga il 50% del suo reddito.

Certo la questione fiscale appare come “il problema” dei problemi della situazione italiana. Essa si intreccia con la necessaria riforma della Pubblica Amministrazione, con la spending review, con la riduzione dei privilegi della casta dei politici e degli alti burocrati. Mentre però la spending review, e cioè la riorganizzazione vera di tutti gli uffici e le funzioni dello Stato eliminando tutte le cose inutili, rivedendo il funzionamento burocratico del sistema, e magari potenziando ciò che è effettivamente carente, sembra rimanere sullo sfondo dell’azione del Governo, così come nulla è stato fatto per il contenimento dei costi della politica,sul carico fiscale si è scaricato tutto l’onere del risanamento dei conti pubblici.

Il decreto Salva Italia è stato costruito quasi tutto sulle tasse, a parte l’importante eccezione della riforma delle pensioni. Ora si annuncia una riforma più generale (prevista dalla legge delega di Tremonti) che dovrebbe spostare il peso del fisco dalle imposte dirette alle indirette. Per ora si tratta di indiscrezioni, ma vale la pena sottolineare subito che lo spostamento, se vuole essere efficace sotto il profilo dello stimolo allo sviluppo, non può essere a saldo zero. Non si può cioè spostare solo tasse da un capito all’altro e cioè dall’Irpef all’Iva ed alla riduzione dell’evasione. Sicuramente questo sarebbe positivo, ma per dare davvero una spinta alla ripresa dello sviluppo dell’Italia occorrerebbe anche portare a riduzione del carico fiscale un robusto taglio delle spese pubbliche. Quali? Lo ha indicato la Corte dei Conti una settimana fa: imporre una riduzione del costo degli acquisti della PA e non solo un contenimento della crescita, sbaraccare le troppe società delle amministrazioni locali, vendere una parte importante del patrimonio dello Stato.

Monti sicuramente ha ben presente queste relazioni tra Fisco e crescita. Per ora il Parlamento è preso dalla discussione sui decreti liberalizzazioni e semplificazioni,mentre è urgente concludere il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro. Ma subito dopo verrà la questione fiscale.

Per il momento tra le poche cose che sono trapelate, una suscita le più grandi preoccupazioni e cioè la ventilata introduzione del reato di “abuso del diritto” e cioè di norme di legge,e quindi del tutto lecite, che però vengono usate da aziende o cittadini, al solo scopo di pagare meno tasse. Il concetto di abuso del diritto appare troppo vago ed ambiguo per poter dare quelle certezze che tante aziende internazionali reclamano per poter prendere in considerazione l’investimento nel nostro Paese ed a cui anche i cittadini italiani aspirano da tempo.

Certo Befera è alla ricerca di tutti gli strumenti possibili per far pagare le tasse. Ma attenzione a non sfociare in una sorta di “dittatura del gabelliere”. Questo sembra in totale contraddizione con il volto amico che il fisco tenta di mostrare con gli spot televisivi!

 

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