Tempo di sosta, tempo di approfondimenti per il calcio. E dunque chi meglio di Roberto Beccantini, firma storica del giornalismo sportivo italiano, può aiutarci a capire meglio la stagione che sta per entrare nel vivo? Tra Nazionale e Serie A, passando per il mercato e i suoi casi più spinosi, il Beck risponde senza filtri a tutte le tematiche del momento, con quel mix di bravura e autorevole irriverenza che lo ha portato a essere la penna più pungente dell’intero panorama calcistico nazionale.
Settimana di sosta per la serie A, dunque partiamo dalla Nazionale: al di là della vittoria sull’Armenia, come giudica sin qui il lavoro di Mancini?
“Al di là di ogni più rosea previsione. Certo, le condizioni erano paradossalmente ideali, visto che peggio di Ventura non avrebbe potuto fare, ma dall’amichevole con l’Ucraina in poi ho colto un chiaro segnale di svolta. Anche sul piano estetico, ebbene sì. Calma e sangue freddo, perché non qualificarsi per l’Europeo – vista la formula – sarebbe un’impresa, e calma e sangue freddo pure con la propaganda. Però qualcosa si muove: e qualcuno, soprattutto. A centrocampo, per esempio: Armenia esclusa. Penso a Verratti, Jorginho e Barella. Vi dirò di più: ho sempre considerato il Mancio un grande giocatore sottovalutato e un buon allenatore sopravvalutato. Non vorrei che diventasse uno dei rari tecnici di club più a suo agio come ct”.
Passiamo al campionato: prevede l’ennesimo trionfo Juve o ci sarà battaglia?
“Da otto estati ci auguriamo un campionato più aperto, e regolarmente veniamo smentiti. Mezza Italia urla: fosse che fosse la volta buona! Sintesi: la logica suggerisce che sì, ci sarà più battaglia”.
Napoli a parte, le cosiddette big hanno cambiato tutte allenatore: partiamo dalla Juve di Sarri…
“Da Allegri a Sarri: una svolta epocale, non uno semplice cambio. Un po’ come quella, all’alba dei Novanta, fra Zoff e Maifredi. Oggi, però, la Juventus è più forte, più esperta a livello di nucleo dirigenziale; allora c’era Montezemolo, un disastro lontano dalla Ferrari. Di solito, le rivoluzioni in una società conservatrice come quella degli Agnelli, sono sempre fallite. Anche perché il concetto di fabbrica, cioè di produzione-scudetti, ha prevalso su tutto. Ecco perché l’arrivo di Sarri, l’anti-potere passato al potere, incuriosisce, stuzzica, divide”.
Potrebbe essere proprio lui l’uomo giusto per la Champions?
“Allegri ha vinto sei scudetti (il primo al Milan) e zero coppe europee, Sarri zero scudetti e un’Europa League (con il Chelsea). Sulla carta, Maurizio è più creativo, più europeista di Massimiliano, che però ha disputato due finali di Champions contro una squadra di marziani (il Barça) e contro una squadra con un marziano (Real). Il calcio è metà arte-scienza e metà riffa. In teoria, sì, Sarri potrebbe dare l’ultimo colpetto, quello decisivo. Mai dimenticarsi, però, dei giocatori: in campo vanno loro. E io sono un “giocatorista”. Con tutto il rispetto”.
Veniamo all’Inter di Conte…
“Nella mia griglia figura al terzo posto, dietro Juventus e Napoli. Conte è un martello, e il meglio lo dà sempre alla prima stagione: scudetto alla Juventus dopo due settimi posti, titolo al Chelsea dopo un decimo. Unica discriminante: sia a Torino che a Londra non faceva le coppe europee, a Milano farà la Champions, addirittura. Con Spalletti, l’Inter è arrivata quarta due volte. Serviva una scossa. La “juventinizzazione” dell’Inter (Marotta più Conte) è una fenomeno che molti hanno trascurato. La piazza pulita, fra caso Icardi e caso Perisic, la dice lunga”.
Il Milan invece ha scelto Giampaolo. Che ne pensa?
“Giampaolo mi piace fin dai tempi di Empoli. I problemi sono due: 1) la gioventù della rosa, 2) le ambizioni della società più internazionale d’Italia in rapporto, appunto, alle risorse, all’organico. C’è chi ha vissuto l’abbandono dell’Europa come un sollievo, e chi come una ferita: sto con questi. Auguri a Boban, Maldini e Giampaolo. L’importante è la chiarezza (con i tifosi): e la “Triade” chiara è stata”.
Facciamo un passo indietro e torniamo sul mercato: come giudica la vicenda Icardi?
Bisognerebbe conoscere bene cosa c’è sotto. Magari c’è sotto solo quello che c’è sopra, boh. Dalla sentenza Bosman il potere è passato ai giocatori e, ormai, ai loro agenti. Nel caso specifico, l’agente è la moglie, così come per altri giocatori sono i fratelli, i padri, gli zii. Icardi, in campo, non si discute. Capitano lo fece Mancini, mica si autoproclamò lui. Per me era la soluzione, è diventato il problema. Ne prendo atto. Mai e poi mai immaginavo che, un giorno, si sarebbe arrivati a un epilogo così clamoroso, così tempestoso”.
Chiudiamo con una domanda secca: Marotta batte Paratici?
“Sì. Marotta ha fatto il mercato dell’allenatore. A torto o a ragione, aveva l’ordine di sbarazzarsi di Icardi e Perisic, di rinfrescare la rosa: fatto, anche se a furor di prestiti (non tutti onerosi). Un solo errore: Dzeko. In ambito Juventus, le esigenze di bilancio e la normativa Uefa hanno spinto Paratici a offrire a destra e sinistra Higuain, Dybala, Mandzukic, Emre Can, Matuidi, Rugani: quasi mezza squadra. Sono rimasti tutti. Rugani, alla luce del grave infortunio di Chiellini, è stato un vero e proprio colpo di roulette. L’harem di Madama rimane così uno dei più assortiti d’Europa e del mondo. Ma l’idea non era questa. Ultima cosa: come accennavo, i dolorosi tagli di Champions sono stati suggeriti – anche, se non soprattutto – dalle regole internazionali in materia di giocatori prodotti dal vivaio. Possibile che negli ultimi quindici anni dalla cantera juventina siano usciti solo Marchisio e Giovinco? Non si pretende mica un Messi o un Cristiano ogni lustro, ma insomma. Ecco qua un dettaglio ambiguo e pericoloso sul quale sarebbe il caso che la società intervenisse. La politica aziendale sui giovani – “carne da plusvalenza”, come l’ha definita un lettore che si firma Cartesio, citando Kean – non mi piace. E il fatto che non sia l’unico club a praticarla, non mi basta”.