“Se dobbiamo combattere l’inflazione con la sola leva della politica monetaria il rischio di eccedere nel rigore è molto alto. Infatti nel caso di inflazione da offerta, come quella europea originata dallo shock energetico e dalla interruzione delle catene di subforniture in seguito alla pandemia di Covid 19, la sola politica monetaria dovrebbe schiacciare molto la domanda per poter far rientrare i prezzi verso il livello tradizionale del 2%. E questo comporta il rischio di finire in recessione”.
Marcello Messori, professore alla Luiss e per molti anni animatore del centro per le politiche europee, confessa che in un momento così incerto e con visibilità sulla possibile evoluzione molto modesta, non è certo facile per i banchieri centrali prendere decisioni. Per questo il Board della Bce aveva deciso di non dare linee guida prospettiche sulla sua politica, ma prendere decisioni di volta in volta sulla base dei dati correnti e delle previsioni più attendibili. Ed invece molti governatori, specie quelli dei paesi cosiddetti frugali, hanno fatto dichiarazioni per perorare un inasprimento della politica monetaria al fine di evitare l’innesco di una pericolosa rincorsa tra salari e prezzi, come avvenuto negli ormai lontani anni ‘80.
Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia ha reagito con una punta di asprezza, ricordando che era stato concordato di agire di volta in volta senza dare agli operatori le indicazioni prospettiche sulle future decisioni della BCE. Inoltre, secondo, Visco, la situazione di incertezza è tale che la banca centrale deve agire con prudenza evitando di favorire pressioni salariali e eccesso di profitti (che però al momento non si vedono) senza cadere nel rischio di una vera e propria recessione.
“Non mi scandalizza che in una situazione così difficile emergano contrasti tra i banchieri e che si accenda una discussione. Sarebbe meglio che avvenisse in modo meno disordinato, con il rischio di aumentare ancora di più l’incertezza dei mercati. Ma per capire il senso di questa discussione occorre risalire alle radici dell’attuale inflazione europea nata da uno shock dell’energia e di altre materie prime, ma che ora mostra segni di rallentamento anche se persiste una inflazione di fondo che fa temere una persistenza dell’aumento dei prezzi per i prossimi mesi. Bisogna essere preoccupati, ed è giusto in questo contesto procedere con prudenza nel prendere le decisioni di politica monetaria evitando lassismi ma anche eccessi di restrizione”.
Se tutto il peso dell’aggiustamento viene caricato sulle spalle della politica monetaria si rischia di avere effetti indesiderati o perché poco efficace o perché troppo efficace. Sarebbe bene quindi affiancare all’azione della BCE anche una politica fiscale in grado di agire sul superamento delle strozzature dell’offerta, controllando nel contempo la domanda per evitare che i prezzi continuino a correre. È possibile attivare anche questa seconda leva?
“Sarebbe auspicabile e una simile politica fiscale che potremmo definire ‘selettivamente espansiva’ potrebbe essere attuata soprattutto a livello europeo, e cioè mantenendo in equilibrio i bilanci dei singoli stati, affidando invece a Bruxelles una espansione delle spese per investimenti sui beni pubblici europei. Certo non si potrà fare tutto insieme. Tuttavia si potrebbero muovere passi graduali, ad esempio aumentando le spese europee per sicurezza e difesa, per le reti infrastrutturali anche immateriali da integrare. Si parla ora di politica industriale anche per rispondere alle sfide degli Stati Uniti : ebbene sarebbe meglio se ogni paese non si illudesse di poter fare da solo. Del resto si è visto cosa è successo la scorsa estate quando ogni paese si è messo da solo a cercare di sostituire il gas russo. I prezzi sono schizzati alle stelle proprio perché è mancato un coordinamento comunitario”.
Insomma i singoli paesi dovrebbero tagliare le spese correnti (bonus e regalie varie) sostenere gli investimenti interni e dare il proprio assenso per quelli sui beni pubblici europei. Ma per arrivare ad un simile traguardo mi sembra che ci siano tanti ostacoli da superare. C’è da chiarire la politica industriale europea, ci sono le regole del nuovo fiscal compact da approvare prima della fine dell’anno. Insomma c’è un intrigo di problemi che rende difficile l’orientamento non solo della pubblica opinione, ma anche dei decisori politici che devono avere la lucidità e la forza di trattare insieme su più tavoli tra loro strettamente connessi.
“Infatti siamo di fronte ad una grande opportunità di far fare un vero e proprio salto di qualità delle istituzioni europee. Prendiamo ad esempio il progetto Next generation UE da cui è scaturito il Pnrr. Il metodo usato in quel caso è ora stato riproposto dalla Commissione per il rinnovo del fiscal compact. Ne consegue che se il Pnrr non raggiunge gli obiettivi fissati tutta la credibilità di quel metodo verrà meno. Soprattutto l’Italia che è il maggior beneficiario del fondi europei dovrebbe fare ogni sforzo per raggiungere gli obiettivi concordati, proprio perché viene guardata con attenzione da tutti gli altri. Noi siamo il laboratorio di un nuovo aumento futuro della capacità fiscale della UE”.
Ma in che senso le nuove regole del fiscal compact sono legate a quello che succede con il Pnrr. E prima ancora le proposte avanzate dalla Commissione si possono giudicare positivamente? Non c’è il rischio che la classificazione sulla sostenibilità del debito possa danneggiare paesi molto indebitati come appunto, l’Italia?
“Le proposte della Commissione sono una promettente base di partenza. Non vedo particolari pericoli nella classificazione dei debiti dei vari paesi. E del resto gli operatori possono vedere già oggi le classifiche dei rapporti debito/Pil e gli spread stanno lì ad indicare che già viene prezzata una differenza di rischio. Certo il fatto che Bruxelles certifichi un alto livello di rischio può essere negativo. Tutto dipende da come viene usato e soprattutto dai piani di aggiustamento che i singoli paesi devono concordare con la Commissione e dalla loro credibilità. Nel complesso la proposta che verrà discussa al prossimo Ecofin, contiene alcune fondamentali acquisizioni. La prima è che tutti hanno preso atto che il rientro dal debito non può avvenire solo tagliando il numeratore, ma che bisogna puntare sulla crescita del denominatore, cioè del PIL. Senza crescita non c’è modo di ridurre i debiti. E per fare crescita in Europa serve una maggiore capacità fiscale europea per fare investimenti sui beni comuni. Nei prossimi mesi bisognerà fare tutte insieme tante cose fondamentali per l’avvenire del nostro continente. Sarà difficile, ma, come detto, è anche una grande opportunità”.