Terremoto sul risiko bancario italiano. La Bce ha dato parere negativo sull’applicazione del Danish Compromise all’opa lanciata da Banco Bpm su Anima attraverso la controllata Banco Bpm Vita. Si tratta solo di un’interpretazione, dato che l’ultima parola spetta all’Eba (European Banking Authority), ma ad oggi appare difficile pensare che quest’ultima possa andare in una direzione diversa rispetto a quella intrapresa dalla Banca Centrale. Immediata la reazione della Borsa, con il titolo Banco Bpm che crolla in fondo al Ftse Mib con una perdita che sfiora il 5%, Unicredit che cede invece lo 0,5% e Anima che segna -0,14%. Il parere espresso dalla Bce, infatti, se confermato dall’Eba, non solo renderà più onerosa l’acquisizione di Anima, ma potrebbe spingere Unicredit a ritirare l’ops da oltre 10 miliardi lanciata su Banco Bpm e a concentrare la propria attenzione sulle Generali.
Banco Bpm: no della Bce al Danish Compromise su Anima
Banco Bpm ha ricevuto “una comunicazione, da parte di Bce, con la quale l’organo di supervisione ha portato all’attenzione della banca la propria visione conservativa sul trattamento prudenziale dell’acquisizione di Anima, alla quale non si applicherebbe, a proprio avviso, il cosiddetto Danish Compromise”, ha confermato Piazza Meda attraverso una nota.
Secondo Radiocor, il No della Bce si baserebbe sul Crr, ovvero sul regolamento Ue sui requisiti patrimoniali nell’ambito di Basilea 3, che per Banco Bpm andrebbe applicato in un modo e per Francoforte in un altro. Mf spiega che, dal punto di vista di Francoforte, “quando un gruppo acquista una società di asset management, la partecipazione deve essere consolidata e il goodwill deve essere dedotto dal capitale, quindi senza beneficio del Danish Compromise”. In sostanza, secondo i supervisori, il vantaggio patrimoniale si applica alle società di assicurazioni, ma non a quello di asset management.
Banco Bpm: “La decisione spetta all’Eba”
“La posizione della Bce non costituisce una ‘decisione’” e “lascia impregiudicate le valutazioni dell’Eba, coinvolta dalla stessa Bce, quale autorità competente al fine di esprimersi definitivamente sulla questione”, sottolinea Piazza Meda in una nota. Gli esperti sottolineano però che difficilmente l’Eba si esprimerà in modo diverso rispetto alla Banca Centrale Europa.
A questo proposito, la banca guidata da Giuseppe Castagna “rammenta di aver presentato apposito quesito all’Eba volto a confermare l’applicabilità, alla fattispecie specifica dell’acquisto di Anima, della posizione favorevole precedentemente espressa dalla medesima autorità in risposta a una precedente richiesta di parere, formulata con riferimento ad altra operazione”. “In attesa del pronunciamento ufficiale da parte dell’Eba, proseguono le interlocuzioni con la Bce al riguardo”, conclude l’istituto, che potrebbe anche decidere di presentare ricorso.
Le conseguenze del No al Danish Compromise
Per Banco Bpm si tratta di una vera doccia fredda. Sebbene dopo il voto dell’assemblea dello scorso 28 febbraio, l’applicazione del Danish Compromise non sia più una condizione vincolante e dunque dal punto di vista formale l’offerta su Anima può andare avanti a prescindere, sotto il profilo pratico l’operazione diventerà molto più onerosa dal punto di vista del consumo di capitale.
Banco Bpm prova comunque a rassicurare il mercato: quanto “ai potenziali effetti della mancata applicazione del Danish Compromise che conseguirebbe da un eventuale pronunciamento non favorevole da parte dell’Eba”, Piazza Meda sottolinea che “il piano strategico 2024-27 ha preso in esame tale possibilità, che è stata riflessa in uno scenario di worst case in cui il Cet1 ratio rimane al di sopra del 13% (a fronte del 14,4% dello scenario base di applicazione del Danish Compromise) e la distribuzione complessiva agli azionisti traguarda l’ammontare di 6 miliardi di euro – superiore del 50% rispetto ai target del piano precedente – equivalenti su base annua a un euro per azione, cui si aggiungerebbe un ulteriore miliardo di euro nello scenario base di applicazione del Danish Compromise”. L’istituto conferma quindi i target di piano già annunciati al mercato.
Nella stessa nota, il Banco comunica inoltre che domani, giovedì 27 marzo, il cda si riunirà per discutere gli aggiornamenti relativi all’opa Anima, anche con riferimento alle condizioni di efficacia volontarie apposte all’offerta nonché all’andamento delle adesioni. “Con riguardo a queste ultime – spiega l’istituto – la banca rammenta che, per effetto delle adesioni sin qui raccolte, e tenuto conto delle azioni già oggetto dell’impegno di adesione da parte di Poste Italiane, al 25 marzo risultava raggiunto il 47,24% del capitale di Anima, e pertanto è stata superata la soglia minima del 45% + un’azione prevista per l’opa: è pertanto vicino il superamento del 50% della sgr”.
Unicredit ritirerà l’offerta sul Banco Bpm?
In questo contesto c’è poi da considerare la possibile reazione di Unicredit. Sempre giovedì 27 marzo, Piazza Gae Aulenti riunirà i soci per votare sull’aumento di capitale propedeutico all’Opa su Banco Bpm, ma più volte nelle scorse settimane il Ceo della Banca, Andrea Orcel aveva paventato l’ipotesi di ritirare l’offerta lanciata su Piazza Meda in caso di mancata applicazione del Danish Compromise, con parallelo rilancio del prezzo di Anima (stabilito sempre il 28 febbraio). Secondo Unicredit infatti, non si capisce quali siano “le azioni mitigazione” che Banco Bpm potrebbe mettere in campo per mantenere il Cet1 al di sopra del 13%, conservando anche un payout pari “all’80% dell’utile netto”.
Pochi giorni fa, Orcel aveva inoltre spiegato che “con il Danish Compromise la transazione” Anima “ha un ritorno sull’investimento di oltre il 15% senza consumare molto capitale, ma senza il Danish Compromise il ritorno sull’investimento è all’11% e consuma miliardi di capitale”, ha spiegato Orcel. Nel secondo caso “quello che compreremmo sarebbe molto meno capitalizzato di quanto si pensava prima” e quindi “se succede non è un elemento positivo, ma negativo”. Senza il Danish Compromise, ha notato ancora Orcel, ci sarebbe “una significativa diluizione del ritorno sull’investimento”. Parole che molti hanno interpretato come un modo di mettere le mani avanti in vista di un possibile ritiro.
Gli effetti del No arrivano fino a Generali
Unicredit per il momento non commenta, ma ll mercato comincia a credere al possibile ritiro dell’offerta. In Borsa, il concambio tra Banco Bpm e Unicredit si è già portato a 0,179 contro quello di 0,175 proposto dalla banca guidata da Andrea Orcel per l’aggregazione. In pratica i valori di Borsa sono quasi allineati al concambio dell’ops, mentre nelle scorse settimane presentavano un consistente divario.
Ciò che è certo, è che il parere della Bce potrebbe rappresentare un terremoto per l’intero risiko bancario italiano. Se Unicredit deciderà infatti di fare un passo indietro su Banco Bpm, Orcel potrebbe decidere di puntare su un’altra partita pesante. Quella sulle Generali, di cui Piazza Gae Aulenti possiede il 5,2%, una quota determinante in vista del cda del Leone in programma per il 24 aprile.