Non ci sono crisi bancarie extraeuropee che tengano. Si va avanti con l’aumento dei tassi: secondo la presidente della Bce Christine Lagarde la lotta all’inflazione in casa è più importante delle fibrillazioni delle banche dell’area euro, che sono meglio vigilate rispetto alle controparti statunitensi.
La Bce ha così deciso di alzare i tassi d’interesse di mezzo punto percentuale come era nelle previsioni prima che si verificassero le turbolenze che stanno investendo le banche, portando il tasso sui rifinanziamenti principali al 3,50%, quello sui depositi al 3%, e quello sui prestiti marginali al 3,75%.
Alcuni si aspettavano da Francoforte una maggiore prudenza, vista l’instabilità diffusa e potenzialmente persistente se il caso Credit Suisse dovesse allargarsi. Ma l’istituto centrale si è visto stretto anche su un altro fronte: l’inflazione resta elevata, si è estesa a tutta l’economia e non si può rischiare di allentare la presa proprio adesso inviando messaggi meno decisi. Comunque, dice il Consiglio direttivo nella nota, “segue con attenzione le tensioni in atto sui mercati ed è pronto a intervenire ove necessario per preservare la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria nell’area dell’euro”.
La Borsa di Milano, dopo aver reagito con un primo calo alla decisione, tenta un recupero. Attorno alle 1530 l’indice Ftse Mib limita le perdite allo 0,8%, mentre lo spread scende a 187 (-2,46 pb). La moneta unica è risalita brevemente sopra quota 1,06 sul biglietto verde per poi scivolare a 1,058, in calo dello 0,1%.
Il settore bancario europeo è può forte e più vigilato
Il settore bancario della zona euro è un punto di forza per la Bce. Come viene rimarcato, è dotato “di buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e liquidità”. In ogni caso, Francoforte afferma che “dispone di tutti gli strumenti necessari per fornire liquidità a sostegno del sistema finanziario dell’area dell’euro, qualora ve ne sia l’esigenza, e per preservare l’ordinata trasmissione della politica monetaria”.
La dinamica di fondo dell’inflazione preoccupa ancora
Secondo l’istituto centrale, “l’inflazione dovrebbe rimanere troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato. Pertanto, il Consiglio direttivo ha deciso oggi di innalzare di 50 punti base i tre tassi”, in linea con la sua determinazione ad assicurare il ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% a medio termine”. “L’elevato livello di incertezza accresce l’importanza di un approccio fondato sui dati per le decisioni del Consiglio direttivo”, che “saranno determinate dalle sue valutazioni sulle prospettive di inflazione alla luce dei nuovi dati economici e finanziari, dalla dinamica dell’inflazione di fondo e dall’intensità di trasmissione della politica monetaria”, prosegue.
A preoccupare sono le nuove stime sui prezzi, completate agli inizi di marzo, ovvero prima delle recenti tensioni sui mercati finanziari. “Tali tensioni comportano pertanto ulteriore incertezza riguardo alle valutazioni dello scenario di base per l’inflazione e la crescita”, spiega la Bce. Le indicazioni vedono l’inflazione generale collocarsi in media al 5,3% nel 2023, al 2,9% nel 2024 e al 2,1% nel 2025. Allo stesso tempo, però, “le pressioni di fondo sui prezzi restano intense. L’inflazione al netto dei beni energetici e alimentari ha continuato ad aumentare a febbraio» e ci si attende «una media del 4,6% nel 2023, livello più elevato di quello anticipato nelle proiezioni di dicembre”. In seguito, si fa notare, “dovrebbe ridursi al 2,5% nel 2024 e al 2,2% nel 2025, via via che le spinte al rialzo derivanti dai passati shock dell’offerta e dalla riapertura delle attività economiche verranno meno e che la politica monetaria più restrittiva frenerà in misura crescente la domanda”.
A supporto della decisione ci sono anche prospetrtive di crescita economica robusta
Del resto, a supporto della politica decisa da Lagarde ci sono anche le prospettive di una crescita robusta. Dice infatti Francoforte: “le proiezioni per la crescita nel 2023 sono state corrette al rialzo nello scenario di base, collocandosi in media all’1,0% per effetto sia del calo delle quotazioni energetiche sia della maggiore tenuta dell’economia al difficile contesto internazionale”. Gli esperti della Bce si attendono poi che “la crescita aumenti ancora all’1,6% sia nel 2024 sia nel 2025, sostenuta dal vigore del mercato del lavoro, dal miglioramento del clima di fiducia e dalla ripresa dei redditi reali”. Quelle per il prossimo anno e per il 2025, tuttavia, sono stime inferiori rispetto a quelle di dicembre.
Intanto Svizzera e Usa corrono ai ripari. I dubbi di de Guindos
Intanto, il consiglio federale svizzero, l’organo esecutivo del governo della confederazione elvetica, terrà oggi una riunione straordinaria sulla situazione in cui si trova il Credit Suisse. Lo riferisce l’agenzia di stampa finanziaria svizzera Awp, specificando che non è chiaro se oggi verranno assunte decisioni.
Dagli Usa, secondo le anticipazioni delle sue dichiarazioni scritte riportate dal New York Times, la segretaria al Tesoro Janet Yellen rassicura al Senato che “il sistema bancario statunitense rimane solido e che gli americani possono sentirsi sicuri che i loro depositi saranno lì quando ne avranno bisogno”. “Le azioni di questa settimana dimostrano il nostro impegno risoluto per garantire che i risparmi dei depositanti rimangano al sicuro”, afferma in relazione al crack di due banche regionali Usa.
Intanto, durante l’Ecofin, secondo Bloomberg, il vice presidente della Bce Luis de Guindos ha sottolineato che i repentini aumenti dei tassi possono avere implicazioni sui portafogli degli istituti di credito dell’area euro.
Nessuna indicazione sulle prossime mosse Bce
Finito il primo trimestre del 2023, inizierà la discussione su cosa fare per il secondo e per il resto dell’anno. E semmai si potrebbe pensare a un rallentamento. Ma oggi, a differenza di altre volte , non è stata fornita alcuna indicazione per i prossimi rialzi. Il fronte del Nord continuerà a spingere per strette più poderose, citando il singolo mandato della Bce, ovvero la preservazione della stabilità dei prezzi. Ma se emergessero ulteriori vulnerabilità fra gli istituti di credito dell’eurozona, allora il versante dei banchieri centrali più prudenti potrebbe prendere il sopravvento.