Nelle scorse settimane, il Corriere della sera, le suo inserto Economia, ha dedicato un focus alle prospettive del credito cooperativo, collegando il tema alla più ampia questione della crisi della banca locale. A questa iniziativa sono state riservate alcune risentite reazioni, per quanto abbastanza generiche, senza nulla dire della portata dei più importanti temi sul tappeto. Altre prese di posizione hanno invece inneggiato alle prospettive di un’ulteriore crescita della quota di mercato del credito cooperativo, che, intorno al 7%, fa del sistema delle Bcc la terza configurazione bancaria del paese.
È un dato di fatto che la soluzione data ai numerosi default bancari abbia portato in pochi mesi a un marcato cambiamento delle condizioni concorrenziali sui mercati locali del credito, con l’assorbimento di banche del territorio da parte dei maggiori gruppi bancari (Intesa, Ubi, Bpm, Credit Agricole), dal Veneto alla Romagna, dalla Toscana alle Marche, all’Abruzzo. A ciò aggiungasi il mutamento di strategia in favore della banca retail annunciato dal grande malato nazionalizzato Monte dei Paschi e la creazione da parte dei due maggiori gruppi di proprie divisioni dedicate ai territori.
In un recente incontro presso Confindustria Veneta, Stefano Barrese, responsabile di Intesa per i territori ha dichiarato che in Veneto la banca possiede ora un quarto del mercato. I risultati attesi da questo consolidamento, che vedrà probabilmente altri sviluppi, sono in termini di migliore valutazione del merito creditizio nei confronti della piccola e media impresa e di una più ampia gamma di prodotti bancari e finanziari disponibili anche sui mercati locali.
L’ultimo baluardo del localismo bancario sono ora una ventina di banche popolari di piccole dimensioni, alcune delle quali in condizioni di fragilità e le banche di credito cooperativo, impegnate in una complessa riforma che richiederà ancora tempo per andare a regime. I più recenti sviluppi vedono una serie di azioni e reazioni tra i due raggruppamenti in formazione, quello della romana Iccrea e quello della trentina Cassa Centrale Banca che rischiano di disperdere risorse, senza valutare a pieno gli effetti delle tendenze sopra richiamate.
Una serie di episodi sta infatti innalzando il tono della contesa, distogliendo l’attenzione da quelli che dovrebbero essere i punti essenziali dei rispettivi progetti strategici di rilancio e sviluppo. Si è infatti di recente assistito a passaggi di top manager dall’una all’altra configurazione e alla rimessa in discussione di decisioni di adesione già prese. Alcune importanti bcc, specie al Centro Nord debbono ancora compiere la scelta definitiva del gruppo al quale aderire, dato che si continua a parlare di possibili passaggi tra schieramenti.
Da ultimo, è stata posta ufficialmente dai Trentini la questione forse più spinosa di tutte, cioè quella dello scioglimento degli intrecci partecipativi che li vedono presenti insieme a Iccrea nel capitale di molte società del movimento, finora gestite in compartecipazione. Come ha anticipato nei giorni scorsi Firstonline, il maggior nodo é la quota detenuta da Cassa Centrale nella stessa Iccrea, che essi valorizzerebbero in almeno 250 milioni, cosa che fa pensare ad un importo essenziale, affinché il raggruppamento trentino possa raggiungere il patrimonio di un miliardo di euro, indicato dalla legge per costituire un gruppo bancario cooperativo di dimensione nazionale. È noto che l’Iccrea è già in possesso di questo requisito.
Come si può vedere il confronto non si svolge ancora tra progetti industriali, di cui nulla trapela, ma attraverso una sfida che rischia di diventare destabilizzante e che non può non richiamare le responsabilità tanto di chi opera all’interno del movimento quanto delle autorità. La dispersione di energie e di risorse che ne può derivare rischia di nascondere i veri problemi che vanno dal rinnovamento della tecnologia per soddisfare i fabbisogni di servizi digitalizzati a quello del modello di business per un moderno cooperativismo, guardando anche alle scelte di successo di paesi come la Francia e l’Olanda.
Linee fondamentali di crescita a rischi contenuti sono date dalla capillarizzazione di servizi di base, quali ad esempio la diffusione dei conti di pagamento e di quelli legati alla moneta elettronica. Quali sono gli argomenti, cui al momento si ricorre per convincere questa o quella banca ad aderire a questo o a quel gruppo, in assenza di elementi programmatici differenzianti. Si fanno o si promettono concessioni? Come verranno gestite le sovrapposizioni territoriali di bcc appartenenti ai due diversi gruppi?
Come viene accolto l’appello a crescere nelle quote di mercato di impieghi e depositi, rivolto all’intero movimento, quando ancora la ripresa non viene data per sufficientemente robusta? Se è vero che le BCC praticano già prezzi migliori delle altre banche, quali sono i margini per sostenere questa onda concorrenziale esterna e interna, senza pregiudicare i già fragili equilibri economici? Si stanno forse insinuando in questa contesa elementi di azzardo morale, che possono tradursi in disequilibri gestionali gravi?
Chi scrive è intimamente convinto che ci siano spazi per un banking che continui a identificarsi con i principi del cooperativismo, ma che le condizioni con le quali fare i conti non possono più essere subordinate alla ricerca di equilibrismi di governance, costosi e non diretti a interpretare i rinnovati bisogni del cliente cooperativo. Quindi ci permettiamo di ribadire l’opinione a favore di un’unica aggregazione, in grado di sfruttare meglio le economie di scala richieste con il mutare delle condizioni della concorrenza e la necessità di allinearsi ad un effettivo aggiornamento dei processi produttivi.
D’altro canto ci consta che la questione della tecnologia sia l’osservazione più rilevante sollevata nei confronti del sistema cooperativo dalla Banca Centrale Europea, per risolvere le attuali situazioni di frammentarietà delle piattaforme e per aderire alla evoluzione della informatizzazione bancaria, recuperando produttività all’intero sistema.
Tutto questo dovrebbe essere di stimolo per uscire da una difesa di maniera delle nostre peculiarità nazionali che appaiono sempre meno sostenibili. Sul momento è importante che termini al più presto questa fase conflittuale, evitando anche il rischio che in entrambi gli schieramenti possa essere imposto alla fine qualche manager di sistema pronto a sostituirsi agli attuali vertici e a indirizzare il cooperativismo bancario verso il rinnovamento di cui ha bisogno. Tempus fugit.