“Le banche vanno giù, tutta colpa del bail-in”, titolava qualche giorno fa l’Huffington Post. Parto da qui per rispondere alla richiesta di chiarimento formulata sulla mia posizione non proprio favorevole alle banche “tradizionali” espressa la scorsa settimana.
Ma cos’è il bail-in? In una guida preparata dalla Associazione Bancaria Italiana, dal titolo involontariamente umoristico “Tu e il tuo bail-in”, si legge: “Si tratta di un prelievo forzoso dove un risparmiatore può essere chiamato a pagare con i propri risparmi il dissesto provocato dai manager della banca a cui ha dato fiducia.”
Difficile far peggio…
Proviamo a porla in modo un po’ più semplice e speriamo anche un poco più chiaro: ogni correntista, persona fisica o giuridica, vede il proprio conto corrente tutelato fino a 100.000 euro in caso di default della banca. La garanzia è prestata dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Obbligazioni, Titoli di Stato, Azioni, pronti contro termine, non sono garantiti. Se hai un conto in una banca comunitaria, fino a 100.000 di contante sei garantito, per le somme che eccedono questo limite e per tutti gli investimenti in titoli e fondi non vale la suddetta garanzia. Ma questa non è una novità, di fatto è dal 2011 che esiste questo limite e già prima esisteva un tetto alla “garanzia”. La novità semmai è che dal 2016, le somme non soggette a garanzia possono essere usate per coprire le perdite generate dalla banca in default. Ma non mi cambia nulla: se non me li ridate, non mi interessa granché cosa ne fate dei miei soldi.
In & Out
Il mercato quindi non si è spaventato dal bail-in. In fondo, si è semplicemente passati dal bail-out, salvo le banche mal gestite con i soldi dello Stato, al bail-in, dove salvo le banche mal gestite con gli attivi dei suoi clienti. Il mercato invece è letteralmente terrorizzato dalle sofferenze bancarie e ad alimentare la fuga dalle banche italiane è che il tanto proclamato accordo tra Italia e UE sulla garanzia statale delle sofferenze in realtà presenti molti punti non chiariti.
Le banche soffrono
Secondo gli ultimi dati disponibili e risalenti al mese di novembre scorso, le sofferenze bancarie superavano i 200 miliardi di euro, di cui quasi 90 miliardi sarebbero al netto delle svalutazioni, ovvero al valore della presumibile riscossione, iscritto dalle banche a bilancio (nel 2007 erano “solamente” 13 miliardi).
Perché solo ora la Borsa penalizza le banche?
Mediobanca ha scritto nei giorni scorsi che solo un terzo delle sofferenze bancarie potrebbe beneficiare della garanzia pubblica, ovvero del risultato dell’accordo tra il governo italiano e la commissione europea sulla garanzia statale da concedere sulle sofferenze cedute dalle nostre banche sul mercato. Garanzia che lo Stato Italiano concederebbe a prezzi di mercato e crescenti negli anni. Il punto chiave è che, secondo questo report, la garanzia statale coprirebbe non oltre 65/70 miliardi di euro di crediti a rischio e non è detto che tutte queste sofferenze vengano poi effettivamente cedute sul mercato.
1. La cessione delle sofferenze sarebbe estremamente costosa: le banche dovrebbero prepararsi a iscrivere a bilancio perdite rilevanti, in quanto i prezzi di cessione sarebbero all’incirca quelli registrati dal Tesoro per i crediti a rischio delle 4 banche salvate alla fine del novembre scorso, ovvero al 17,6%.
2. Occorre inoltre tenere conto dell’effetto “saturazione della domanda”. Se tutte le banche si precipitassero a vendere le loro sofferenze, la domanda sul mercato risulterebbe insufficiente ad assorbire l’offerta, provocando un crollo dei prezzi, esattamente l
l’opposto dell’obiettivo a cui mira la garanzia pubblica. Ecco perché il mercato sta penalizzando le banche italiane.
Una nota a margine. Perché i crediti deteriorati in Italia sono oltre il 19% contro la media delle banche europee pari al 7%?
Sappiamo che le grandi imprese rappresentano l’80% del credito complessivamente erogato alle società non finanziarie, nonostante siano appena l’1% del totale. Ebbene, a fronte di tanta fiducia, esse sarebbero oggi responsabili del 78% dei crediti sofferenti, mentre il restante 99% delle imprese detiene il restante 22% dei debiti a rischio.
Molte banche italiane sono vittime del loro sistema di relazioni, non a caso si può parlare di Capitalismo Relazionale: di fatto hanno prestato soldi ad amici (e parenti…) che evidentemente non se li meritavano.
Le partecipazioni incrociate tra imprenditoria e istituti di credito non agevolano poi di certo le cose: immagino che sia difficile che una banca, dove siede nel consiglio di amministrazione il rappresentante di una determinata azienda, abbia sempre modo di evitare che quest’ultima ottenga credito a condizioni di favore rispetto a quelle di mercato o addirittura senza averne nemmeno i requisiti sufficienti.