Tenere insieme lo sviluppo delle nuove tecnologie e gli impatti ambientali è il compito più gravoso che ha davanti l’industria degli anni 2000. La ricerca di soluzioni economicamente convenienti che incrocino (o stimolino) la domanda di prodotti high tecnology e non mortifichino l’ambiente, tra le tante questioni aperte, ha fatto emergere il problema delle batterie elettriche. Sono il cuore attivo delle macchine che scandiscono le nostre vite e il loro sangue sono le materie rare. Chi ha progettato le batterie lo ha fatto senza preoccuparsi troppo del fine vita. Il valore economico delle materie, indispensabili a far funzionare gli accumulatori di energia cresce a dismisura (e non potrebbe essere diversamente) man mano che pc, tablet, computer, catalizzatori, diventano sempre più indispensabili. Avere a disposizione materie pregiate equivale a possedere la linfa per i prossimi, infiniti, anni. Quando una batteria esaurisce la propria funzione bisogna, però, accompagnarla nel fine vita. Si può stabilire prima, come smaltirle e recuperare i materiali che vi sono dentro ? Sì. Se in passato la questione non è stata affrontata, vediamo cosa si può e si deve fare oggi anche rispetto all’ambiente.
Il regolamento punto di partenza
Il consumo di batterie entro il 2030 crescerà di 14 volte rispetto al 2022, soprattutto per l’elettrificazione dei mezzi di trasporto. Un regolamento entrato in vigore in Europa, introduce un pò di economia circolare nel sistema di acquisti ed utilizzi di componenti essenziali. Di più, intende creare un business aggiuntivo nei Paesi che recepiranno le nuove regole.
È un lavoro che l’Ue ha avviato nel 2006 e che ora ha ingranato finalmente una nuova marcia. Avere cura del materiale e riciclarlo sono i due principi alla base della normativa. L’operazione è ambiziosa, aumenterà la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime e rafforzerà l’autonomia strategica dell’Unione, sostiene la Commissione europea.
Il percorso di affrancamento dalle importazioni di materie prime prevede che tra due anni le batterie in commercio dovranno avere dichiarazione di compatibilità ambientale, classi di prestazione e limiti sull’impronta carbonica. Etichettature obbligatorie che non diventeranno, speriamo, solo di facciata. I requisiti ambientali saranno obbligatori anche per le batterie industriali e per i sistemi di accumulo di energia autoprodotta.
Quello su cui bisognerà lavorare a fondo sono le modalità di riciclo e di recupero di ogni tipo di batteria; valutare i meccanismi da attivare come business nascente. Perchè il problema, pur essendo noto da tempo, in un certo senso si pone solo a partire da oggi. Qualche Paese si è attrezzato in passato, ma gli standard se condivisi funzionano sempre meglio.
Il recupero dei materiali preziosi può generare una filiera virtuosa e remunerativa che i governi dovranno organizzare. I più sensibili, non solo alle tematiche ambientali, potranno sviluppare disegni industriali innovativi intorno al trattamento di cobalto, litio, nichel. Già oggi basta guardare a ciò che fanno i Paesi asiatici che vanno a caccia di miniere estrattive in Africa e Sud America senza preoccuparsi, in verità, della circolarità di ciò di cui imbottiscono i prodotti che tutti acquistiamo. Dal punto di vista industriale non avvertono la necessità di creare un comparto parallelo. Gli basta la domanda di smartphone, computer, ecc. che li rende, in parte, no green.
Gli europei carte (regolamenti) alla mano se credono in quello che scrivono, nei prossimi due-tre anni possono davvero fare meglio di Cina, Corea e Taiwan nella gestione delle batterie usate e nel recupero dei componenti. E senza andare ad esplorare nuove terre.