“Una vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali francesi rappresenterebbe una forte scossa per la Francia, per l’Europa e un po’anche per l’Italia: aprirebbe la strada a un nuovo corso politico dimostrando che il populismo si può battere non inseguendolo ma sfidandolo con proposte costruttive di modernizzazione e di riforma; e che gli schemi e gli schieramenti politici dell’Ottocento e del Novecento sono definitivamente superati”. Chi parla conosce bene Macron e non nasconde tutta la sua simpatia per il leader di En Marche. E’ Franco Bassanini, giurista raffinato, presidente di Astrid e di Open Fiber, consigliere del Presidente del Consiglio e già ministro della Funzione Pubblica nel primo governo Prodi quando lanciò la riforma della Pubblica amministrazione che porta il suo nome.
Bassanini ha da sempre un rapporto speciale con la Francia di cui conosce tutta l’elite, sia di destra che di sinistra, che gli ha manifestato più volte apprezzamento, chiamandolo a far parte di numerose commissioni di studio, tra cui la celebre Commissione Attali, e del consiglio d’amministrazione dell’ENA dove nei primi anni Duemila conobbe Emmanuel Macron. A lui FIRSTonline ha chiesto un profilo del candidato liberal-progressista all’Eliseo e, inevitabilmente, un confronto con Matteo Renzi. Ecco l’intervista.
Presidente Bassanini, si racconta che Emmanuel Macron debuttò sulla scena pubblica francese nel 2006 nella Commissione Attali per la liberazione della crescita di cui lei faceva parte insieme a Mario Monti e ai migliori intellettuali, manager pubblici e privati e imprenditori francesi: fu in quell’occasione che lo conobbe e che impressione le fece?
“No, per la verità l’avevo conosciuto qualche anno prima, nel 2002, all’ENA quando io ero nel consiglio d’amministrazione e lui era ancora studente. Poi, ancora prima della Commissione Attali, ci conoscemmo meglio nel Comité d’évaluation des strategies ministerielles de réforme nel quale Raffarin mi aveva nominato grazie alla riforma della Pubblica amministrazione che porta il mio nome e che in Francia è stata studiata e apprezzata… più che in Italia. Macron ne era il rapporteur e mi fece subito una grande impressione: a 26-7 anni era già super, molto competente e molto preparato. Mi ricordava un po’, per il suo spessore culturale e per la sua brillantezza intellettuale, Giuliano Amato con 35 anni meno. Poi ci siamo frequentati e conosciuti meglio quando diventò segretario generale del gruppo dei Gracques, un think tank liberal-socialista che ha molto contribuito alla sua maturazione politica e con cui la nostra Astrid è gemellata. I lavori della Commissione Attali, di cui pure era rapporteur, hanno cementato la mia amicizia e la mia stima per lui, che si è poi rafforzata durante la sua successiva carriera politica e di governo”.
C’è chi dice che in qualche modo Lei e Monti, contribuendo a scrivere il Rapporto finale della Commissione Attali, abbiate ispirato il programma attuale di Macron che di quel Rapporto ha fatto tesoro.
“Troppo onore. Anche volendo, Macron non avrebbe potuto replicare nel suo programma il Rapporto Attali per la semplice considerazione che quasi l’80% delle raccomandazioni di quel Rapporto sono già state attuate. Quel che però è vero è che Macron ha fatto suoi alcuni motivi ispiratori della Commissione Attali, come l’idea forte di liberare le energie dell’economia e della società, imbrigliate da troppi lacci burocratici e regolatori, come l’ossessione per gli investimenti nel capitale umano (dagli asili nido alle Università, alla formazione), considerati la priorità delle priorità delle politiche pubbliche, e come la visione positiva e ottimista della Francia e dell’Europa, che non sono condannate al declino se faranno le riforme necessarie”.
E oggi che è candidato alla Presidenza della Repubblica di Francia qual è il suo giudizio su Macron e quali sono i suoi maggiori pregi e i suoi difetti?
“Premetto che non sono un giudice imparziale perchè sono troppo amico di Macron. Tra i suoi maggiori pregi vedo l’eccellenza della sua preparazione culturale, sia economica che giuridica, nettamente superiore alla media dei leader europei. Tra i suoi difetti, ancorchè corretti nella sua recente campagna presidenziale, vedo invece una scarsa empatia nella sua comunicazione, che è un po’ troppo indiretta e cerebrale e poco carismatica. Ma è sui contenuti che più colpisce la novità di Macron”.
In che senso?
“In primo luogo perché Macron ha capito con grande chiarezza che il populismo non si combatte inseguendolo ma sfidandolo con proposte costruttive, che affrontino i problemi e i disagi di cui si alimenta. In secondo luogo perché s’è mostrato perfettamente consapevole che l’Europa va profondamente rifondata ma è la sola risposta che abbiamo per vincere le sfide della globalizzazione. In terzo luogo, perché ha capito che per l’Europa e per la Francia serve discontinuità sia sul piano delle idee che delle classi dirigenti. Infine Macron ha compreso che i programmi elettorali non sono i programmi di governo, devono mobilitare coscienze, motivare passioni, far appello ai valori, indicare grandi obiettivi, ma devono nel contempo essere coerenti con precisi progetti di riforma che saranno il cuore del programma di governo”.
In una parola come potremmo classificare politicamente Macron? Liberal, progressista, centrista, liberal-socialista, liberale di sinistra o che altro?
“E’ un liberal moderno che sa raccogliere il meglio dell’anima e della cultura liberaldemocratica e di quella liberalsocialista. Pragmatico com’è, Macron rifugge dalle definizioni. Ma non è lontano dal quel modello di moderna economia sociale di mercato, che piace ai tedeschi e che è stato adottato dal Trattato di Lisbona; non avrà difficoltà a intendersi con Angela Merkel, ma non subirà passivamente la guida tedesca. Le racconto un fatto inedito che chiarisce meglio di tante parole l’orientamento di Macron sull’Europa”.
Prego.
“Nel dicembre del 2015, durante una cena che apriva la conferenza annuale delle società di assicurazione francesi, Enrico Letta fece un’analisi molto approfondita e raffinata dei problemi dell’Unione europea e sostenne che, per risolverli, occorreva, piacesse o no, rilanciare l’asse franco-tedesco. Macron dichiarò di condividere al 100% l’analisi di Letta, ma non la conclusione perché, a suo avviso, il rapporto di forze tra Germania e Francia è ormai troppo sbilanciato a favore dei tedeschi e un asse a due sfocerebbe in un’Europa a egemonia tedesca. Al contrario, disse in quell’occasione Macron, per rilanciare l’Europa serve un motore formato da tre o quattro grandi paesi nel quale l’Italia e forse la Spagna insieme alla Francia possano controbilanciare la Germania e spingere verso politiche più favorevoli alla crescita e agli investimenti”.
Questo vuol dire che, se alle prossime elezioni in Italia vincerà una forza riformista, sarà possibile giocare di sponda con la Francia di Macron per una nuova Europa?
“I presupposti ci sono, ma di mezzo c’è l’incognita di molti appuntamenti elettorali. In particolare, sarà l’Italia in condizione di cogliere quest’opportunità?”.
Ma se domenica 7 maggio Emmanuel Macron vincesse le elezioni presidenziali e conquistasse l’Eliseo a meno di quarant’anni, che cosa cambierà realmente per la Francia e per l’Europa?
“Penso che una vittoria di Macron sarebbe una bella scossa per la Francia, per l’Europa e un po’anche per l’Italia. Dopo i primi incoraggianti segnali delle elezioni in Austria e in Olanda, il successo di Macron segnerebbe una secca sconfitta del populismo e del sovranismo e il rilancio di una strategia che punti sul rafforzamento dell’Unione europea, su politiche di modernizzazione e riforme intese a sfruttare le opportunità e mitigare i rischi della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica, a ridurre le diseguaglianze e a gestire i fenomeni migratori senza arroccarsi in casa propria e senza cercare capri espiatori di fronte alla complessità dei problemi”.
Non c’è il rischio che l’eventuale vittoria di Macron alle presidenziali finisca per risultare una vittoria dimezzata alle elezioni politiche francesi di giugno dove il leader di En Marche, non avendo alle spalle un solido partito, non è detto che sia in grado di raccogliere una sua maggioranza e che non si debba rassegnare alla coabitazione con un premier di diverso segno politico che probabilmente raffredderebbe il suo slancio rinnovatore?
“Il rischio c’è, ma la conquista dell’Eliseo ha di norma un effetto di traino sulle elezioni legislative”.
L’affermarsi di Macron sulla scena francese spinge inevitabilmente al confronto con la leadership di Matteo Renzi in Italia: tra i due prevalgono i punti comuni o le divergenze?
“Ognuno ha la sua personalità e i contesti nazionali sono diversi ma, insieme alle differenze, non si può non vedere in Renzi e in Macron una forte volontà comune di cambiamento e di discontinuità, una passione riformatrice e modernizzatrice inequivocabile, molto coraggio e molto dinamismo e grande fiducia nel futuro. Entrambi hanno capito che i sistemi politici del Novecento sono alle nostre spalle. La diversa formazione culturale e professionale spiega invece le differenze di stile. Macron è più abituato ad avvalersi del lavoro di squadra e delle elaborazioni collettive mentre Renzi predilige le decisioni rapide e talora improvvisate. Renzi ha un maggior carisma ma Macron è più rassicurante. Macron ha capito prima che il populismo va sfidato, non inseguito, ma penso che lo abbia ora capito anche Renzi. Seguono strade in parte diverse ma entrambi vogliono rilanciare i loro Paesi e rifondare l’Europa: credo siano destinati a intendersi e a lasciare il segno anche in Europa”.