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Barometro delle guerre: Israele si ritira dal sud di Gaza. Ucraina, Zelensky avverte: “Senza aiuti Usa perderemo la guerra”

Imagoeconomica

Dopo quattro mesi di scontri intensi, Israele ha annunciato il ritiro completo delle truppe di terra dal sud della Striscia di Gaza. Questa mossa coinvolge la Brigata Nahal rimasta sul posto per preservare la sicurezza del “Corridoio Netzarim’, che si snoda lungo la costa dalla parte settentrionale fino al sud di Gaza. L’impatto immediato si è fatto sentire sulla popolazione locale: centinaia di migliaia di persone hanno iniziato a fare ritorno a Khan Yunis da Rafah, dove si erano rifugiate durante i conflitti. Nel frattempo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello urgente, il più incalzante degli ultimi mesi, mentre il Congresso degli Stati Uniti si trova al centro di una decisione cruciale. Oltre 60 miliardi di dollari in aiuti militari statunitensi sono bloccati da sei mesi, innescando una situazione che il leader ucraino descrive come critica per il destino della guerra in corso.

Israele ritira le truppe dal sud di Gaza: ecco perché

Ma cosa c’è dietro questo ritiro? Secondo la Casa Bianca, si tratta semplicemente di dare una pausa alle truppe dopo mesi di intensi combattimenti. Tuttavia, il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha fornito un’interpretazione diversa, spiegando che il ritiro da Khan Yunis è avvenuto dopo che Hamas non è più stata ritenuta una presenza militare significativa in quella città. Ha anche indicato che le truppe si stanno preparando per missioni future, incluso un potenziale intervento a Rafah, vicina al confine con l’Egitto, dove si trovano gli ultimi battaglioni di Hamas e numerosi sfollati palestinesi. Si parla di un processo che potrebbe durare diversi mesi e che ha già portato il ministero della Difesa di Tel Aviv ha persino annunciato una gara d’appalto per l’acquisto di decine di migliaia di tende, destinate a ospitare gli sfollati che si dirigono verso nord.

Fonti militari hanno inoltre rivelato che questo ritiro potrebbe essere il preludio alla cosiddetta “terza fase” pianificata dall’esercito israeliano (Idf), che prevede “raid mirati e limitati” come già avvenuto all’ospedale Shifa di Gaza City. L’esercito è ora in attesa di una decisione politica riguardo a un’azione militare a Rafah. Inoltre, l’Idf ha l’intenzione di operare anche a Deir el-Balah, nel centro di Gaza.

Netanyahu avverte su possibili attacchi

Le dichiarazioni del premier israeliano Benyamin Netanyahu durante una riunione di governo hanno enfatizzato la prontezza di Israele sia in difesa che in attacco contro possibili minacce, sottolineando il coinvolgimento dell’Iran e delle sue fazioni delegate come Hamas, Hezbollah, gli Houthi e altre milizie regionali.

Tutto questo avviene mentre gli Usa si preparano a un potenziale attacco da parte dell’Iran su obiettivi israeliani e americani nella regione, in risposta al raid israeliano sul consolato iraniano a Damasco. Ciò ha portato alla chiusura di diverse ambasciate israeliane nel mondo, tra cui quella a Roma.

Infine, Netanyahu ha affermato che non ci sarà un cessate il fuoco senza il ritorno degli ostaggi, indicando che questa posizione è condivisa anche da Washington. Queste tensioni e le minacce imminenti hanno portato a diverse proteste a Tel Aviv, con Netanyahu che ha invitato il Paese all’unità contro gli estremisti che cercano di provocare divisioni interne.

Zelensky chiede aiuto e parla di sconfitta

La furia dei bombardamenti russi si abbatte sulle città ucraine, lasciando dietro di sé distruzione e morte. Solo nel recente fine settimana, oltre dieci vite sono state spezzate, mentre più di 400mila persone lottano senza corrente a Kharkiv, una delle zone più martoriate.

Il presidente Zelensky suona l’allarme in modo chiaro: l’Ucraina è sull’orlo di una nuova, devastante offensiva russa. Il capo dell’intelligence militare prevede un attacco massiccio entro maggio, concentrato soprattutto sul fronte orientale.

Le forze ucraine non si fermano, ma la situazione è “difficile”, come conferma il comandante in capo. A Chasiv Yar, a pochi passi dalla città di Bakhmut, le pressioni sono tangibili, mentre la minaccia si fa sempre più vicina.

Kharkiv sotto il fuoco: la crescente minaccia dei bombardamenti russi

Ma è a Kharkiv che la paura è più palpabile. I bombardamenti russi, implacabili da settimane, colpiscono le infrastrutture vitali, mettendo a dura prova la resistenza della città. Con il confine russo a pochi passi, i missili impiegano un battito di ciglia per raggiungere il bersaglio, sfuggendo alle difese anti-aeree ucraine.

Le bombe-alianti sono diventate un’arma di scelta per i russi: economiche, precise, e difficili da contrastare. L’Ucraina ha contato oltre 3.500 di queste letali bombe solo quest’anno, un salto drammatico rispetto al passato. E non si risparmiano nemmeno contro le truppe ucraine al fronte, come dimostra la recente presa di Avdiivka.

“Il nostro unico scudo è abbattere gli aerei che le portano”, ha affermato il ministro degli Esteri ucraino, sottolineando l’urgente necessità di più Patriot americani. Ma al momento, l’Ucraina ne possiede solo pochi, lontani dal numero richiesto per una difesa efficace.

Mentre Zelensky richiama con urgenza gli aiuti statunitensi, il Congresso Usa si prepara a una decisione che potrebbe essere cruciale per il destino di questo conflitto.

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