Gabriele Barbaresco, bolognese, 48 anni, da sempre in Mediobanca e da qualche anno responsabile dell’Area Studi dell’istituto di Piazzetta Cuccia ha presentato in settimana i risultati della quindicesima edizione dell’Indagine Mediobanca-Unioncamere sulle medie imprese manifatturiere italiane e il risultato è molto incoraggiante: le nostre medie industrie, che insieme alle medio-grandi costituiscono il cosiddetto Quarto Capitalismo, sono più che in salute, sono più dinamiche delle grandi e piccole aziende e hanno davanti a sè rilevanti margini di crescita. Purtroppo sono poche (solo 3.283) e per lo più concentrate al Nord e non bastano a colmare il vuoto delle grandi imprese del nostro Paese. Ma sono un tesoro che dimostra che anche in Italia, e perfino al Sud, se ci sono gli imprenditori giusti e il giusto business model, si può vincere la sfida competitiva in casa e fuori. Naturalmente se ci fosse una politica industriale moderna tutto sarebbe più facile ma l’abitudine ad affrontare le difficoltà ha un risvolto positivo non da poco e mette le medie imprese al riparo dagli incubi di Brexit. Per una ragione molto semplice: che i nostri problemi competitivi nascono al di qua e non al di là della Manica. Ma ecco l’intervista di Gabriele Barbaresco a FIRSTonline.
FIRSTonline – Dottor Barbaresco, la quindicesima edizione dell’Indagine Mediobanca-Unioncamere, che è stata presentata in settimana, rivela che le medie imprese industriali manifatturiere sono in recupero rispetto agli anni più bui della recessione, crescono più delle grandi e piccole imprese e competono ad armi pari con la concorrenza tedesca: quali sono i principali segreti che rendono competitive le medie imprese italiane?
BARBARESCO – “Le medie imprese rappresentano un’efficace combinazione di modello commerciale e struttura finanziaria. Al centro del modello commerciale si trovano il prodotto e la sua qualità, declinata in due dimensioni: quella intrinseca, ovvero l’affidabilità e il contenuto tecnologico, il design, la funzionalità, la modularizzazione e l’aderenza alle esigenze del cliente, e quella estrinseca che attiene al packaging, al marketing e all’assistenza post-vendita. L’accorta miscela di questi fattori fa sì che il cliente riconosca al prodotto un plusvalore che si traduce nella disponibilità a pagare premium price, che significa prezzi mediamente superiori a quelli della concorrenza. La competizione sul prezzo e non sul costo – che sarebbe insostenibile nei confronti dei paesi a basso costo degli input – è ciò che consente alle medie imprese di realizzare risultati economici di prim’ordine. Senza contare che in tempi di crisi i consumi si polarizzano: o prodotti low cost, e qui l’Italia ha poco da dire, o di fascia alta, e qui abbiamo voce in capitolo. Quanto alla struttura finanziaria, essa è leggera e quindi resiliente ai rigori della congiuntura: l’attivo immobilizzato è integralmente finanziato dai mezzi propri, quello corrente è circa il doppio rispetto al debito finanziario di pari scadenza, garantendone l’ordinato rimborso. Sostenere che la prevalenza del debito a breve su quello a lunga sia ipso facto una debolezza mi pare un nonsense: la durata del debito dovrebbe conseguire a quella degli attivi che esso finanzia. Sotto questo profilo le medie imprese sono ineccepibili”.
FIRSTonline – Il fatto che la maggior parte delle medie imprese italiane sia espressione del capitalismo familiare è più un vantaggio o più un limite?
BARBARESCO – “Il tema è delicato e controverso, ma credo non sia corretto porlo in questi termini. Le proprietà familiari esistono ovunque, non solo in Italia: basti pensare al Mittelstand tedesco. Si tratta piuttosto di valutare la quantità e la qualità della famiglia. Detto altrimenti, se è vero che la famiglia è un valore nella misura in cui conferisce al business lunghezza di vedute e stabilità, essa non può per ciò stesso divenire un dogma inamovibile. Anche perché finirebbe col contraddire il proprio ruolo: orientare le scelte al lungo periodo sottraendole alla miopia del breve termine, significa porre il business familiare nelle migliori condizioni di perpetuare se stesso e questo può anche coincidere con la cessazione dei membri familiari da alcune posizioni apicali. La vera sfida è quindi quella di porre la famiglia nelle condizioni di valutare in modo non emotivo e laico l’adeguatezza dei propri esponenti a ricoprire le posizioni chiave; in caso di esito avverso di tale verifica, la contaminazione con competenze esterne è la soluzione più saggia e funzionale”.
FIRSTonline – La sorpresa che le medie imprese meridionali, pur essendo poche, vadano alla stessa velocità di crescita di quelle del Nord fa riflettere: questi fenomeni avvengono nel Sud dove è meno intensa la criminalità o, al di là del contesto sociale ed economico, sono essenziali la qualità e la vision degli imprenditori per creare aziende di successo anche nel Mezzogiorno?
BARBARESCO – “Resto convinto che nelle imprese, come in tutte le organizzazioni, la differenza la fanno le persone. E’ indubbio che in un contesto sfidante come quello del Mezzogiorno l’asticella della capacità imprenditoriale viene alzata e la soglia “minima” per produrre iniziative di successo riduce grandemente il numero di coloro che ce la fanno. Ma “si può fare”, questo è il messaggio positivo che emerge dai nostri dati, pur di assecondare le specializzazioni che attingono dalle abilità e dalle competenze presenti in loco, senza incaponirsi a travasare dall’alto attività totalmente sconnesse dalle specificità dei luoghi”.
FIRSTonline – La performance delle medie imprese italiane , pur con i suoi pregi, non le sembra lo specchio di un Paese che ha rinunciato quasi del tutto alle grandi imprese e che non sa far crescere le piccole?
BARBARESCO – “Ostinarsi, come facciamo da 15 anni, a mettere in luce le buone performance delle medie imprese non significa compiacersi del fatto che in Italia manchi un numero congruo di multinazionali. Tutt’altro: resta certamente un elemento di relativa debolezza per il nostro Paese, non fosse altro che per il fatto che i grandi complessi possono generare spill-over positivi sulle medie imprese, ad esempio in funzione di apripista sui mercati lontani. Ma la storia non si fa con i “se” i con i “ma”, e quindi tanto vale prendere atto della latitanza in Italia dei grandi gruppi – sperando arrivi anche la loro stagione – e cercare di far funzionare al meglio ciò che di buono abbiamo. Che non è poco, se ci consente comunque di essere la seconda manifattura d’Europa. Né va dimenticato che non c’è il vuoto spinto dopo la media dimensione e l’Italia vanta imprese assai dinamiche e performanti anche nel segmento delle medio-grandi che saldate alle medie danno corpo al IV Capitalismo. E’ da lì in poi che l’aria si fa rarefatta”.
FIRSTonline – L’indagine Mediobanca-Unioncamere conferma, in ogni caso, che le medie imprese italiane sono il segmento più virtuoso del sistema produttivo ma che sono poche (solo 3.283), sono concentrate prevalentemente al Nord e rappresentano solo una quota ridotta del Pil: che cosa bisognerebbe fare per moltiplicarle ed estenderle nel resto del Paese?
BARBARESCO – “Il ritratto tipico del medio imprenditore è, a mio avviso, quello di una persona che conosce bene il suo mestiere. Lo si può aiutare a “evolvere”, come ho spiegato prima, ma forse il regalo più grande che la politica industriale gli può fare è “semplicemente” quello di metterlo nelle condizioni di esercitare al meglio al propria attività. Insomma, una politica industriale che non fa nulla, nel senso che non decide per lui, ma al contempo fa tantissimo, consentendogli di operare in un contesto allineato a quello dei suoi competitor. Credo che se arrivassimo alla situazione in cui un imprenditore decide di non intraprendere un progetto perché – magari sbagliando – lo ritiene inadeguato e non perché sta in Italia dove molte cose elementari sono difficili, beh avremmo già raggiunto un grande risultato”.
FIRSTonline – Delle attuali 3.283 medie imprese manifatturiere italiane, quante hanno le potenzialità per diventare grandi nel giro di cinque anni?
BARBARESCO – “Possiamo prendere spunto dalla storia dell’ultimo decennio: circa 400 medie imprese hanno cessato di essere tali per avere superato la soglia dimensionale superiore, vale a dire una quarantina all’anno. Si tratta grossomodo dell’1% della consistenza media delle medie imprese. D’altra parte le imprese grandi nascono tali, almeno quelle che operano nei settori di base o tradizionali (penso all’automotive o alla chimica). Il mito degli studenti che partendo dal garage diventano un fenomeno planetario resta tale: l’eccezione, non la regola. D’altra parte, la maggior parte delle medie imprese deve il proprio successo al fatto di operare in nicchie di mercato che non sono compatibili con dimensioni strabilianti. Ciò detto, spazi di crescita potenziali esistono, attraverso la conquista di ulteriori quote di mercato nei segmenti di specializzazione o l’allargamento in settori contigui nei quali fare valere le competenze già padroneggiate. Ma che dalle 3283 imprese possano uscire delle Fiat, lo vedo onestamente assai improbabile”.
FIRSTonline – La performance delle medie imprese fa storia a sé o può essere considerata un raggio di sole che anticipa una più generale ripresa dell’economia italiana?
BARBARESCO – “Qui il discorso si fa complesso. Parto dalla constatazione che oggi la manifattura italiana, tutta e non solo quella media, rappresenta circa il 16% del Pil; considerando l’industria, compresa l’edilizia, non si arriva al 25%. Mi chiedo allora quanta parte di responsabilità possa essere addossata alla manifattura nella deludente dinamica recente e attesa del Pil italiano. E’ il restante 75% del Pil che deve darsi una mossa: dai servizi industriali (penso alla prostrazione della nostra logistica e alla potenzialità inespressa del turismo), a quelli finanziari (banche e assicurazioni), fino al commercio ancora legato a format tradizionali e inefficienti, per non parlare della Pubblica Amministrazione. Sarebbe come chiedere alla nostra nazionale di calcio di arrivare alla finale degli Europei mettendo in campo tre giocatori e lasciando gli altri otto in panchina…”
FIRSTonline – Le riforme istituzionali ed economiche del governo Renzi possono essere giudicate come si vuole ma non c’è dubbio alcuno che, rispetto all’immobilismo degli anni precedenti, rappresentino una novità sulla scena pubblica italiana: tra le riforme già fatte quali possono favorire di più la competitività e la produttività delle medie imprese e quali sono quelle più necessarie che meriterebbero la priorità nella parte restante della legislatura?
BARBARESCO – “Riprendo il mio concetto precedente: tutto quello che aiuta gli imprenditori a svolgere il proprio mestiere in condizioni non penalizzanti è certamente benvenuto. Un quadro normativo e regolamentare business friendly rappresenterebbe una conquista epocale. Tanto per restare in metafora calcistica: a giocare a piedi nudi si fa fatica e si rischia pure di farsi male”.
FIRSTonline – Il successo delle medie imprese è forte soprattutto laddove le cosiddette multinazionali tascabili hanno saputo meglio e di più internazionalizzarsi conquistando i mercati esteri: se dovesse vincere Brexit, ci sarebbe una ricaduta anche sulle medie imprese italiane e in che termini?
BARBARESCO – “A mio modesto avviso, le previsioni millenariste legate all’eventuale Brexit sono esagerate e più di “pancia” che di “testa”. Economisti molto più ferrati di me sul tema hanno ampiamente argomentato che, nel lungo periodo almeno, gli effetti della Brexit siano pressoché nulli. I nostri problemi originano al qua, non al di là della Manica… “