Le Considerazioni finali, a chiusura di un primo mandato in un contesto politico incerto e con le elezioni nei prossimi 12 mesi, non possono essere l’occasione per annunci di nuove politiche. Devono contenere, in un Paese dove la Banca d’Italia rappresenta una delle poche istituzioni pubbliche che può vantare competenza, autonomia di giudizio, cura costante degli interessi pubblici, diagnosi fondate e accountability sul proprio operato. E così sono state le Considerazioni finali lette ieri dal Governatore Ignazio Visco.
La diagnosi che vede nel debito pubblico e i crediti deteriorati delle banche come i “due fattori di debolezza che riducono i margini di manovra dello Stato e degli intermediari finanziari ” è ineccepibile. Fattori di debolezza che sono il sedimentato di altri più ampi e numerosi fattori di debolezza (inefficienza della pubblica amministrazione, cattivo funzionamento della giustizia, struttura sbilanciata dell’imposizione fiscale, corruzione, riluttanza della politica a contenere le spese pubbliche, strutture proprietarie del sistema bancario poco efficienti) che più volte la Banca ha documentato.
Naturalmente diversa è la competenza sui due punti di debolezza: non compete alla Banca dire come si deve aggiustare la politica fiscale per rientrare dal debito; ha potestà, ancorché condivisa con la Vigilanza della BCE, su come ridurre i crediti deteriorati. Dato anche il contesto istituzionale richiamato all’inizio, l’ampiezza dell’analisi e il dettaglio nelle indicazioni di policy non possono non risentire dei diversi ambiti di competenza. Così, particolarmente ampia (fino ad integrare, con note aggiunte a braccio,il testo distribuito), la analisi sui crediti deteriorati anche per le critiche che a volte e in modo frettoloso sono state rivolte alla Banca. Qui c’è stata una documentata e convincente rendicontazione delle attività svolte e l’indicazione precisa di come migliorare l’attivo delle nostre banche (aumentare la specializzazione nella trattazione dei procedimenti concorsuali, maggior ricorso da parte delle banche agli accordi stragiudiziali, nuovi strumenti per migliorare la gestione di questa parte dell’attivo).
In materia di debito pubblico il Governatore non è entrato nel merito di quale combinazione tra tagli delle spese ed aumento delle entrate disegnerebbe il migliore aggiustamento, ma ha comunque data una indicazione che si discosta, e in misura non proprio trascurabile, da quello previsto nel DEF del Governo. Anche se viene proposto più come il risultato di una simulazione che come una raccomandazione, si lascia intravedere cosa la Banca d’Italia auspicherebbe e cioè saldi primari più consistenti: se questi raggiungessero il 4% (valore al quale il DEF prevede di arrivare solo nel 2020), con un tasso di crescita dell’1% e l’inflazione al 2% ci vorrebbero 10 anni per tornare ad un rapporto debito/PIL del 100%. Una strada dunque faticosa, più in salita di quella indicata dal Governo ma che tuttavia non promette di risollevarci veramente dal problema del debito. L’unica strada che una Banca Centrale può indicare, alla viglia delle elezioni: una indicazione dovuta, si potrebbe dire, ma anche non del tutto realistica, considerate le nostre storiche riluttanze nel controllo della spesa, le attuali difficoltà di vasti strati della popolazione, le tendenze demografiche che ci affliggeranno sempre più nel futuro.
D’altra parte a chi obiettasse al nostro scetticismo, risponderemmo che, come proprio Visco potrebbe ricordarci, le aspettative sull’andamento del debito si formano prendendo in considerazione tutte le informazioni di cui disponiamo. E queste non ci fanno ritenere che l’aggiustamento possa passare per consistenti e duraturi avanzi primari.