“Dopo decenni in cui l’integrazione economica e finanziaria è cresciuta in modo rapido, viviamo oggi in un mondo fortemente interconnesso. La globalizzazione ha accresciuto i flussi internazionali di merci, servizi e capitali, così come quelli di persone, idee, conoscenze, informazioni. Ha contribuito a promuovere una crescita duratura e a ridurre la povertà̀ su scala globale. Alcuni dei fattori che l’hanno determinata, tuttavia, sembrano oggi tornare in discussione”. Con queste parole inizia l’Intervento del direttore generale della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini, all’incontro “Geopolitica, geodemografia e il mondo di domani” – Polo Universitario delle Scienze Sociali di Firenze, in cui spiega l’evoluzione di questo processo dal punto di vista dell’economista indicando, o almeno nel tentativo di farlo, i rischi del presente e le prospettive di domani.
L’evoluzione della globalizzazione
“Per lungo tempo la maggiore integrazione economica si è accompagnata a un miglioramento delle relazioni politiche e diplomatiche tra paesi, rafforzando la convinzione diffusa che proprio queste interdipendenze avrebbero contribuito a preservare la pace e a creare le condizioni adatte per uno sviluppo condiviso – ha proseguito Signorini –. Il miglioramento dei rapporti diplomatici tra la Cina e l’Occidente dopo la salita al potere di Deng Xiaoping e la normalizzazione dei rapporti con i paesi dell’ex blocco sovietico dopo la caduta del socialismo reale sono stati elementi decisivi anche del processo di integrazione economica”.
Recentemente, spiega il dg di Bankitalia, la corsa all’integrazione ha perso slancio. “Nei paesi avanzati si è maggiormente diffusa una narrazione secondo cui la globalizzazione è all’origine di un rallentamento della crescita degli stessi paesi e di un acuirsi delle disuguaglianze; l’economia mondiale ha cominciato a essere percepita sempre più come un terreno di competizione, in cui i paesi avanzati vengono descritti come perdenti, e meno come un vettore di maggior benessere per tutti. In alcuni paesi emergenti, la crescita economica non si è accompagnata a un rafforzamento dei diritti umani e della democrazia, come forse si era sperato in Occidente. Indebolitasi la cornice politica che l’aveva favorita, e forse venuti meno alcuni dei fattori che l’avevano accelerata nei decenni precedenti, la stessa globalizzazione economica ha preso a rallentare”.
Pandemia e guerra mettono in crisi il modello di globalizzazione
Preoccupazioni, che avevano già̀ trovato alimento nelle ripercussioni della crisi finanziaria del 2008, negli ultimi anni sono diventate più̀ evidenti. “La pandemia del 2020 è parsa mettere in crisi i meccanismi su cui la globalizzazione si era basata, evidenziando la potenziale fragilità̀ fisica dei flussi di beni sulla lunga distanza”. Mentre la guerra in Ucraina nel 2022 “ha messo in discussione il principio della convivenza pacifica tra nazioni entro confini internazionalmente riconosciuti, evidenziando rischi politico-strategici e alimentando in molti paesi l’angoscia della dipendenza e la ricerca dell’autosufficienza entro ambiti ‘amici’”.
Dunque, elementi di frammentazione cominciano a essere percepibili per il dg di Via Nazionale, che sottolinea: “Secondo il Fondo monetario internazionale, l’introduzione di massicce restrizioni al commercio di beni e servizi potrebbe determinare perdite fino al 7% del PIL mondiale. Non sappiamo ancora se i cambiamenti indotti dalla guerra saranno più̀ duraturi di quelli seguiti alla pandemia, ma il rischio non va sottovalutato”.
Allora che cosa fare?
Signorini indica le vie percorribili. “È in ogni caso da augurarsi che, su scala globale, la tutela degli interessi nazionali eviti di tradursi in protezionismo indiscriminato e guerre commerciali. Rinchiudersi strettamente all’interno di confini nazionali (o, per noi, europei), non è solo costoso; è probabilmente impossibile. Un po’ di reshoring forse avrà luogo, ma è dubbio che questo processo possa cambiare in modo radicale la divisione internazionale del lavoro, dati gli ingenti investimenti del passato e la straordinaria connettività che caratterizza il mondo di oggi”.
L’alternativa? “Il friendshoring, ossia confinare le catene del valore in paesi considerati amici, può essere praticabile; ma si scontra col peso degli investimenti irrecuperabili del passato, con la distribuzione fisica degli input di risorse naturali e con la difficoltà di stabilire una volta per tutte chi rientra nel gruppo fidato e chi no. In particolare, preservare l’integrazione commerciale tra i soli paesi avanzati non sembra una prospettiva sufficiente nel contesto attuale. Tra l’altro il G7 non ha più̀ il peso economico preponderante di qualche decennio fa. È difficile immaginare che il G7 possa costruire il proprio futuro in un crescente isolamento, se non in circostanze estreme”.
La nuova rotta della globalizzazione: occorre buona volontà̀, ragionevolezza e lungimiranza
“Credo che sia consigliabile adoperarsi per mantenere, per quanto lo consentiranno considerazioni politiche e strategiche di carattere più generale, canali di cooperazione economica aperti non solo con i paesi che condividono i valori fondanti delle democrazie occidentali, ma anche con tutti quelli che, pur diversi per aspetti più o meno importanti, si dimostrino nei fatti disposti a interagire a livello internazionale sulla base di un insieme minimo di regole di convivenza e del principio della risoluzione pacifica dei conflitti”, ha proseguito Signorini concludendo: “Come suggerito da Raghuram Rajan, si dovrebbe lavorare per creare spazi sicuri in cui paesi pur con valori e sistemi diversi possano interagire a prescindere dalle rispettive politiche domestiche o dalle tensioni internazionali. La sfida, lo ripeto, è ardua. Se vincerla è nell’interesse di tutti, non è certo da un lato solo che occorrono buona volontà̀, ragionevolezza e lungimiranza.”