Che cosa ci potrebbe essere di più lontano tra ambiente e finanza pubblica? Eppure entrambi si muovono attorno allo stesso cardine: la loro sostenibilità in vista delle prossime generazioni.
E’ la prospettiva su cui si basa l’intervento di Luigi Federico Signorini, direttore generale della Banca d’Italia, all’inaugurazione del Corso di Alta Formazione dell’Associazione Bancaria Italiana.
“Carpent tua poma nepotes”, ricorda Signorini citando Virgilio: “I frutti degli alberi che pianti, li coglieranno i tuoi discendenti” e proprio questa impostazione deve servire sia per affrontare la situazione ambientale sia quella delle finanze pubbliche.
In entrambi i casi, si deve scegliere tra intervenire o rinviare: “Rinviare può sembrare oggi una scelta più facile” dice Signorini, “ma aggrava i problemi di domani. Inoltre da una parte si tende a dare troppo poco peso al benessere delle future generazioni, mentre dall’altra si sopravvalutano le difficoltà del presente. Infine, sottolinea Signorini, in entrambi i casi piuttosto che prendere misure draconiane nell’immediato, serve tracciare la rotta con chiarezza.
La transizione ecologica come fonte di sviluppo economico e di benessere generale
Quali che siano le preferenze personali in tema di ambiente occorre valutare con attenzione costi e benefici di ogni azione, con una visione di lungo periodo, scevra da pregiudizi, sottolinea Signorini, e non si può prescindere da politiche pubbliche appropriate.
La transizione ecologica, se affidata nella misura necessaria alla creatività e all’iniziativa del mercato, può, anzi deve, essere fonte di sviluppo anche economico e di benessere in generale: è la protezione ossessiva del vecchio, la battaglia di retroguardia a difesa dell’assetto produttivo esistente, che riduce le prospettive di occupazione e di reddito, non l’apertura al nuovo.
Secondo gli scenari elaborati dalla rete di banche centrali Ngfs (Network for the greening of the financial system), una transizione climatica tempestiva e graduale presenta costi e rischi considerevolmente minori di una transizione ritardata e da ultimo accelerata dal precipitare delle conseguenze di un riscaldamento globale incontrollata
Ecosistemi: 29 sono ad alto rischio e rappresentano il 39% del territorio nazionale
Su 85 categorie di ecosistemi, 29 risultano ad alto rischio e rappresentano il 39% della superficie nazionale, sottolinea Signorini, rifacendosi al Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia , redatto dal Comitato per il capitale naturale, cui la Banca d’Italia partecipa. Per effetto di impermeabilizzazione del suolo, depauperamento delle risorse ittiche, eutrofizzazione delle acque viene considerato perduto il 30% delle praterie marine. Le foreste italiane, tra le più ricche di biodiversità in Europa, sono colpite più frequentemente di un tempo da incendi, eventi metereologici estremi ed epidemie parassitarie.
Il cambiamento climatico è uno dei principali di fattori di pressione sulla natura e sul benessere umano, ma ad esso si aggiungono altre cause: modifiche negli usi dei terreni, perdita di habitat, inquinamento, diffusione di specie invasive.
Le ripercussioni della carenza di acqua sull’economia
Ci possono essere sensibilità diverse nell’affrontare i temi ambientali, ma alcuni aspetti di essi non possono essere ignorati. Non saranno sfuggiti a nessuno gli allarmi sulla portata dei fiumi italiani che ricorrono e si intensificano di anno in anno. Secondo elaborazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), tra il 1991 e il 2020 la disponibilità idrica si è ridotta del 20 per cento rispetto ai valori storici.
Le ricadute di queste tendenze vanno dalle rese del settore agricolo, con potenziali effetti sui prezzi dei prodotti alimentari, al valore del turismo invernale, alla generazione elettrica. Quest’ultimo punto in particolare ha conseguenze pervasive sul sistema economico. Nel 2022 la produzione idroelettrica, la più importante componente dell’energia da fonte rinnovabile, è stata inferiore di circa il 40% alla media del quadriennio precedenti.
“Agire sul prezzo dell’energia di fonte fossile”
Nel caso dell’energia e del clima, obiettivi quantitativi di lungo periodo sono stati stabiliti da tempo a livello internazionale ed europeo. La parte difficile consiste ora nell’attuare politiche per raggiungere questi obiettivi e soprattutto perseverare nel tempo, anche di fronte agli sviluppi imprevedibili. Occorre per esempio “agire sul prezzo relativo dell’energia di fonte fossile, magari gradualmente, ma con sufficiente chiarezza circa gli obiettivi finali”, dice ancora Signorini. In alcuni paesi europei si è cercato aiutare chi ne aveva bisogno senza sopprimere del tutto gli effetti allocativi dei segnali di prezzo relativo, mentre “in Italia la questione non ha ricevuto a mio avviso tutta l’attenzione che meritava nella discussione pubblica sui provvedimenti da adottare”. Nel lungo periodo la decarbonizzazione del sistema energetico non solo non è in contrasto con il perseguimento della sicurezza strategica in materia, ma anzi la favorisce: riduce la dipendenza dell’Italia da fonti e fornitori specifici; isola almeno in parte la nostra economia dalla volatilità che caratterizza i prezzi delle commodities energetiche.
Che ruolo hanno banche centrali e autorità di vigilanza?
Sebbene la Bce abbia sempre riconosciuto che la responsabilità primaria per le politiche ambientali rimane dei governi e dei parlamentie, le banche centrali europee, quali investitori istituzionali seppure sui generis, nelle proprie politiche di investimento tengono conto di criteri di sostenibilità ambientale. Così fa la Banca d’Italia, che ha adottato nel 2021 una Carta degli investimenti sostenibili e pubblica annualmente un Rapporto in merito. “In tema di politica monetaria vera e propria il primo contributo che essa può dare alla sostenibilità sia quello di favorire l’efficiente allocazione delle risorse nella direzione desiderata perseguendo efficacemente le proprie finalità di tutela della stabilità monetaria e finanziaria, condizioni chiave per il buon funzionamento dei mercati e del sistema dei prezzi”.
L’evoluzione del clima comporta rischi, in particolare rischi di credito
Banche e gli altri operatori devono prendere in considerazione che l’evoluzione del clima comporti rischi, in particolare rischi di credito. Il Meccanismo unico di supervisione europeo (SSM) ha pubblicato nel 2020 aspettative di vigilanza in tema di rischio climatico per le banche “significative”, tornandovi anche successivamente. la Banca d’Italia ha fatto altrettanto nel 2022 per le banche più piccole e gli altri intermediari finanziari vigilati. “I rischi derivanti dalla perdita di biodiversità e da altri processi di degrado ambientale potrebbero anch’essi essere rilevanti” dice signiruni
Debito pubblico: prima si riduce, prima si può pensare a politiche più ampie
Dal passato abbiamo ereditato un enorme debito pubblico, il pagamento degli interessi del quale riduce le energie dello stato sul tavolo delle politiche generali: quanto più saremo capaci di ridurlo, tanto minore sarà la quota di quest’onere che caricheremo sulle spalle delle generazioni future. Certo, il peso del debito cambia lentamente, ma occorre stabilire obiettivi finali adeguati
L’indicatore di riferimento è l’avanzo primario, che può essere relativamente moderato purché sia persistente. Occorre in ogni caso sfruttare, con gli occhi rivolti al futuro, tutti gli spazi che offre la congiuntura, rifuggire dalla logica del “tesoretto”, da spendere spensieratamente ogni volta che l’andamento delle entrate o delle spese sia un po’ più favorevole del previsto e non rimandare sempre a tempi migliori l’inizio della cura.
Occorre riposizionarsi per quando i tassi reali torneranno “normali”
La banca d’Italia pone l’accento sui vari contesti contemporanei, dagli shock inattesi che hanno colpito l’economia globale dal 2020, all’incertezza legata agli andamenti della guerra e dei rapporti internazionali, ma anche per l’improvviso rialzo dell’inflazione. Quest’ultima in particolare influenza i conti pubblici attraverso diversi canali. Con il venire meno della politica monetaria super-accomodante del recente passato, sarà necessario adattare i programmi finanziari a un ambiente di tassi reali “normali”, moderatamente positivi, tali tra l’altro da remunerare ragionevolmente i risparmiatori.
Guardando ai prossimi anni, qualche simulazione compiuta su un orizzonte che arriva fino al 2035 può essere d’aiuto: ipotizzando che la crescita in termini reali sia dell’ordine dell’uno per cento all’anno e che il costo medio del debito cresca gradualmente dai livelli attuali a valori poco superiori al 4 per cento, un saldo primario anche decisamente inferiore ai livelli che il nostro paese conseguì nella seconda metà degli anni novanta, purché mantenuto in modo costante, basterebbe a realizzare una riduzione significativa del rapporto fra debito e PIL.
Il peso della riduzione della popolazione
In una prospettiva ancora più di lungo termine, occorrerà poi tenere conto delle tendenze demografiche. Su questo terreno si gioca gran parte della sfida della sostenibilità prospettica della finanza pubblica e si possono inquadrare meglio i termini dell’equità intergenerazionale. Le più recenti proiezioni demografiche dell’Istat prefigurano una forte riduzione della popolazione residente – e in particolare di quella in età lavorativa – connessa con dinamiche di natalità e mortalità e il fenomeno sarà compensato solo in parte dall’immigrazione netta.
Il rapporto tra gli individui che rientrano età lavorativa e il resto della popolazione passerebbe da circa 3:2 nel 2021 a circa 1:1 nel 2050. La Ragioneria generale dello Stato alla fine dello scorso anno ha rivisto le proiezioni della spesa pubblica connessa con l’età della popolazione nel lungo termine: queste erogazioni, attualmente su valori prossimi al 24 per cento del prodotto, crescerebbero fino a superare di poco il 25 per cento nel 2044, un picco che riflette la componente pensioni.
Il tema delle pensioni: si possono rimodulare, ma con certi criteri
La riforma delle pensioni ha avuto un’importanza fondamentale nel moderare le erogazioni nel lunghissimo periodo, nonostante l’invecchiamento della popolazione, riducendo così l’onere che graverà sulle generazioni future, altrimenti proibitivo.
Per il futuro non è impossibile introdurre elementi di flessibilità, sia in avanti che all’indietro, nell’età del pensionamento. Tuttavia, in tema di pensionamento anticipato, ci sono due limiti che non dovrebbero essere superati e studiati con cura. Il primo è che l’anticipo non sia tale da ridurre il trattamento pensionistico individuale al di sotto di un livello sufficiente per consentire al pensionato/a di vivere una vita dignitosa, fronteggiare le avversità e non gravare indebitamente sulla collettività in conseguenza di scelte troppo imprevidenti. Il secondo riguarda la distribuzione della spesa pensionistica aggregata nel tempo. Nel caso in cui, introdotte regole più flessibili, molti decidessero di anticipare la pensione e pochi invece di ritardarla per un certo numero di anni si determinerebbe una “gobba” nell’andamento della spesa tale da mettere a rischio la tenuta della finanza pubblica nel breve periodo.