Nonostante il Covid, sono fallite meno imprese nel 2020 che nel 2019. O “grazie” al Covid, sarebbe meglio dire, visto che un recente studio della Banca d’Italia conferma che molte imprese si sono per ora salvate grazie alle misure di sostegno dovute proprio all’emergenza, ma che il loro fallimento probabilmente è soltanto rimandato, al 2021 o anche al 2022. Secondo le stime di Bankitalia infatti, la forte contrazione del PIL registrata nel 2020 porterà a un aumento di circa 2.800 fallimenti entro il 2022, rispetto agli 11.000 registrati nel 2019. A questi 2.800 potrebbero aggiungersi altri 3.700 fallimenti “congelati” del 2020, che non si sono realizzati per gli effetti temporanei della moratoria e delle misure di sostegno: il totale dei fallimenti in più rispetto al 2019, addebitabili anche se “a scoppio ritardato” al Covid, fa così 6.500.
Ecco perché non deve sorprendere che rispetto alle 11.000 imprese che hanno chiuso i battenti nel 2019, nell’anno da poco concluso siano state circa un terzo in meno, nonostante tutto quello che è successo. Il minor numero di fallimenti, secondo l’analisi della Banca d’Italia, dipende da due fattori. “In primo luogo – spiega un documento -, vi hanno contribuito la moratoria sui fallimenti (in vigore da inizio marzo a fine giugno) e il rallentamento generale dell’attività nei tribunali in conseguenza delle misure di contenimento della pandemia. In secondo luogo, alcune delle imprese già in difficoltà prima della pandemia, e che presumibilmente sarebbero fallite in corso d’anno, potrebbero essere sopravvissute grazie alle misure di sostegno economico. Tuttavia qualora le difficoltà di tali imprese abbiano natura strutturale è possibile che si tratti solo di fallimenti rimandati nel tempo”.
Tali stime, tiene a precisare Bankitalia, vanno comunque interpretate con grande cautela, a causa della difficoltà di estrapolare le regolarità storiche a una fase congiunturale straordinaria come quella del 2020. Da un lato, l’elasticità dei fallimenti al ciclo economico potrebbe essere sottostimata per la presenza di non-linearità dovute alla caduta eccezionale del PIL. Dall’altro lato, l’elasticità potrebbe essere sovrastimata perché non tiene conto degli interventi del governo volti a fronteggiare le difficoltà delle imprese o della possibilità che vengano mobilitate risorse private superiori a quello che normalmente avviene. “Infine – aggiunge il documento -, le stime non tengono conto di meccanismi di aggiustamento e di potenziali esternalità che lo shock economico in un’area potrebbe produrre su altre aree ad essa connesse attraverso relazioni produttive”.