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Bankitalia e il Pd, mossa maldestra ma non lesa maestà

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Più  maldestra di così la mozione parlamentare anti-Visco del Pd, quale che sia il giudizio che si voglia dare sull’attuale Governatore della Banca d’Italia, non poteva davvero essere. Un’operazione del genere solleva questioni di metodo e di merito delicatissime che vanno affrontate con equilibrio ma che non consentono né strumentalizzazioni né banalizzazioni. Un punto però va chiarito subito, al di là delle troppe ipocrisie che circolano da una parte e dall’altra: per discutibile e irrituale che sia, la mozione del Pd non è né un atto di lesa maestà né, tanto meno, un abuso di potere. Non è questo il cuore del problema, ma è del tutto evidente che est modus in rebus, perché se il Pd voleva prendere le distanze dalla conferma di Ignazio Visco alla guida della Banca d’Italia c’erano maniere più rispettose ed eleganti per farlo.

Certamente la campagna elettorale  enfatizza e deforma ogni cosa e le tossine della demagogia che essa mette in circolo avvelenano il confronto pubblico,  ma non sarebbe bastata una telefonata preventiva di Matteo Renzi al premier Paolo Gentiloni per rappresentare in modo meno muscolare l’orientamento contrario del Pd alla conferma  del Governatore Visco al vertice della Banca d’Italia? La forma non è un inutile orpello e fa la differenza, anche se è del tutto legittimo che il Pd manifesti la propria scelta sulla nomina in vista a Via Nazionale senza che questo si configuri come un’invasione di campo. Perché non lo è.

Potere di nomina e rispetto dell’indipendenza della Banca d’Italia non sono la stessa cosa. L’indipendenza della banca centrale non deve nemmeno lontanamente essere messa in discussione perché corrisponde  all’interesse nazionale, ma la nomina del Governatore non può che spettare al potere politico. Avviene così in tutto il mondo ed è la stessa legge italiana a disciplinarne il procedimento prevedendo che spetti al Presidente del Consiglio avanzare una proposta in Consiglio dei ministri e al Presidente della Repubblica firmare il relativo decreto di nomina.

Del resto, come non ricordare le modalità con cui nell’ultimo governo Berlusconi si arrivò all’imprevista promozione di Visco a numero uno di Via Nazionale? Il candidato naturale alla successione di Mario Draghi, chiamato alla presidenza della Bce, era il Direttore Generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni,  personalità stimata in Italia e all’estero ma invisa all’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti che spinse Berlusconi ad accantonarlo e a spianare  la strada a Visco. Scelta che si potrà discutere all’infinito ma che rientrava pienamente nei legittimi poteri del Governo. Anche allora c’era un problema di metodo e c’era un problema di merito e le cose andarono come si sa.
Quanto alla sostanza si può discutere se la conferma di Visco sia o meno la scelta migliore, ma è legittimo farlo.  Non c’è dubbio che sulla crisi delle quattro banche dell’Italia centrale, su Mps e sulle banche venete l’azione della Vigilanza bancaria sia stata a dir poco lenta e talvolta poco efficace, ma è stata responsabilità  di Visco o di regole di vigilanza più attente al rispetto delle forme che alla sostanza delle questioni? Naturalmente le regole non sono tutto e le persone non sono tutte eguali ma un bilancio equilibrato del Governatorato di Visco deve tenere conto di ogni aspetto.

A questo punto che cosa  farà Visco? Sarà confermato in extremis, lascerà, arriverà un nuovo Governatore di Banca d’Italia? Lo sapremo presto anche se la mozione del Pd, per quanto edulcorata dal Governo, parla da sola. Ma, in ogni caso, grande è la responsabilità che ha oggi il premier, al quale nessuno farà sconti se le sue mosse non saranno all’altezza della situazione.  Qualunque scelta faccia, la nomina che proporrà per la Banca d’Italia non potrà che ispirarsi a criteri di massima autorevolezza, competenza, capacità di fare squadra e soprattutto  libertà di pensiero del Governatore.

Resti o no in Via Nazionale, Visco – che sotto il regno oscurantista di Antonio Fazio fu esiliato all’Ocse – ha avuto il merito di valorizzare le diverse competenze e il pluralismo culturale  in Banca d’Italia e questo è un tesoro che, comunque finisca la vicenda delle nomine, non può andare disperso.

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