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Banco Bpm: lunedì parte l’ops di Unicredit. Orcel, il governo e il nodo del Golden Power

Lunedì 28 aprile i soci di Banco Bpm potranno aderire all’ops di Unicredit. L’offerta rimarrà aperta fino al 23 giugno, nel frattempo resta il nodo del Golden Power: le mosse di Orcel con il governo

Banco Bpm: lunedì parte l’ops di Unicredit. Orcel, il governo e il nodo del Golden Power

Se il “Dividend Day” del 22 aprile scorso ha redistribuito miliardi agli azionisti, il mercato ha comunque continuato a guardare avanti, complici soprattutto le tensioni geopolitiche e il risiko bancario ancora nel vivo. Il 22 aprile si è celebrato il primo grande stacco cedole dell’anno, coinvolgendo sette pesi massimi del listino (Unicredit, Stellantis, Mediolanum, Ferrari, Prysmian, Iveco e Campari) che hanno distribuito dividendi per oltre 7,3 miliardi di euro. Durante la settimana, tuttavia, gli occhi sono rimasti puntati su Generali, che dopo l’assemblea degli azionisti di Trieste ha confermato il rinnovo del cda in continuità con la linea del ceo Philippe Donnet.

Ma a fare il buono e il cattivo tempo a Piazza Affari è stato anche il risiko bancario. Per Unicredit è stata una settimana positiva in Borsa e il titolo ha chiuso con un incremento del 2,75%, riflettendo la fiducia degli investitori nella solidità dell’istituto. Tuttavia, l’ops su Banco Bpm resta in sospeso e la banca di piazza Gae Aulenti ha espresso fortissime preoccupazioni in merito al Golden Power invocato dal governo, ritenendo che le condizioni imposte dal meccanismo possano limitare la capacità dell’istituto bancario di prendere decisioni strategiche prudenti.

Vero è che da domani, lunedì 28 aprile, i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene. Cosa faranno gli azionisti? Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro, si ricevono 0,175 azioni Unicredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente.

L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo. Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di JP Morgan hanno provato a calcolare: 100 milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto Cet1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni riportate dalle agenzie di stampa, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato.

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Le tecnicalità, nel mentre, vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla Dg Competition l’operazione di fusione: una risposta è attesa entro il 4 giugno. “Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di JP Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio.

La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti, a margine dei lavori del Fmi, non ha voluto mostrare segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della Dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa, ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

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