I limiti ai rimborsi dei soci delle banche popolari che hanno esercitato il diritto di recesso al momento della trasformazione degli istituti in Spa sono imposti dalle regole prudenziali dell’Unione europea. Di conseguenza, il legislatore nazionale non ha “alcuna facoltà di scelta tra le due presunte opzioni, ossia la limitazione quantitativa del rimborso del socio recedente e il suo rinvio”, ma deve “attribuire alla banca il potere di adottarle entrambe”, perché solo così le azioni possono essere considerate nel capitale di migliore qualità (Cet1). Lo spiega la Corte Costituzionale nella sentenza (depositata oggi) con cui lo scorso 21 marzo aveva respinto la questione di costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato sulla riforma delle banche popolari.
Secondo i giudici costituzionali, perciò, “la censura al decreto sulle banche di aver preferito la soluzione più onerosa per il socio recedente è infondata, dal momento che il legislatore non aveva margini di scelta”.
La Consulta rileva che “le limitazioni previste costituiscono un ragionevole bilanciamento fra la tutela dei diritti del socio recedente e l’interesse generale alla stabilità del sistema finanziario – si legge ancora in un comunicato – Sono inoltre strettamente collegate alla situazione prudenziale della banca, nel senso che il rimborso può essere limitato dalla banca solo se, nella misura e nello stretto tempo in cui ciò sia necessario per soddisfare le esigenze prudenziali”.
Se l’istituto sceglie di limitare i rimborsi, “spetta agli amministratori verificare periodicamente la situazione prudenziale della banca, nonché la permanenza delle condizioni che” hanno imposto i limiti, “e prendere i provvedimenti ove esse siano venute meno”. In questo caso, il socio recedente ha diritto al rimborso. “È quindi scongiurato, anche con riferimento alla tutela fornita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’effetto espropriativo temuto dal rimettente”, si legge ancora nella nota.