Il tema della ripresa economica è legato anche alle trasformazioni della banca locale, per la quale la questione dell’innovazione diviene cruciale. Lo scenario di partenza è purtroppo quello dei troppi casi di “cattiva banca locale“, dovuti alla perdita di controllo dei rischi, dei costi, e, soprattutto, dei conflitti di interesse, le cui conseguenze sui risparmiatori riempiono le cronache di queste settimane. Ma bisogna andare oltre con consapevolezza e determinazione, rompendo finalmente schemi ormai inadeguati di local banking.
La questione della fiducia fa da sfondo a qualsiasi istanza di rinnovamento, anzi la sua rilevanza aumenta in contesti di forte cambiamento delle relazioni banca/cliente, come vedremo meglio più avanti. Dobbiamo vedere l’innovazione finanziaria da quattro punti di osservazione, tra loro interdipendenti.
Il primo è quello dell‘innovazione della forma societaria della banca locale, con la decisa spinta impressa nell’ultimo anno verso la società per azioni: direttamente, nella riforma delle Banche Popolari, indirettamente, cioè tramite spa capogruppo (o altre modalità possibili) nell’autoriforma in fieri delle BCC, stante la maggior capacità di questa configurazione di valorizzare i caratteri di efficienza gestionale.
È un cambiamento, che segna l’allontanamento dalla cultura delle peculiarità istituzionali del nostro sistema, nelle quali siamo stati, troppo a lungo, immersi e che sono diventate, nel confronto con altri sistemi nostri concorrenti, un fattore di costo sempre meno sostenibile. È passato un quarto di secolo dalla trasformazione in società per azioni delle Casse di risparmio, allora costituite sotto forma di associazioni e fondazioni, e i benefici si sono visti.
Il secondo è quello del nuovo contesto regolamentare europeo, il cui impatto è deflagrato con l’introduzione delle direttive sulle crisi bancarie e sulla garanzia dei depositi. Il tema, innovativo e complesso, è stato, nel suo divenire, sottovalutato a livello politico, istituzionale, della professione proprio nei suoi effetti sulla banca del territorio. Dobbiamo mettere rapidamente fine a queste incertezze e ritrovare la piena condivisione delle scelte europee.
Ciò è necessario per concentrarsi sul tema, essenziale per la banca minore, della proporzionalità della regolamentazione di vigilanza, per evitare che i relativi costi diventino motivo per la ricerca di economie di scala più di quanto non lo siano tecnologia e dimensione operativa. Sarebbe paradossale che si incidesse, con questo strumento, sulla configurazione del sistema, da mantenere doverosamente pluralistico e di mercato. Dopo il too big to fail, bisognerebbe riconoscere, definitivamente, la regola del too small to torture. E non è soltanto una battuta!
Il terzo punto è quello del rinnovamento industriale del nostro sistema bancario, non solo minore, cioè della capacità di riequilibrare gli attuali caratteri di alto rischio e basso rendimento, al tempo di spread praticamente nulli. L’esigenza di ridurre il costo industriale del prodotto bancario, nelle sue componenti strutturali e dei rischi tipici apre, nel medio termine, la via verso una maggiore flessibilità produttiva, con processi di riconfigurazione industriale basati su consolidamento e ridimensionamento. Qui entra in gioco, oltre alla questione della bad bank, quella di una maggiore specializzazione, con la rivisitazione del modello di banca universale.
Restando alle banche locali, è necessario tessere nuovi rapporti tra retail, private e merchant banking e con nuovi operatori come Istituti di pagamento e di moneta elettronica, per ampliare la gamma di servizi da offrire alla clientela tipica, con regole chiare di condivisione dei rispettivi know-how. È fattore di svantaggio ritardare ancora la formulazione di praticabili e coerenti piani industriali.
Il quarto tema riguarda il rinnovamento tecnologico guidato dalla trasformazione digitale di prodotti e servizi bancari e dei relativi processi di distribuzione, cioè della capacità del sistema anche minore di inserirsi lungo questa indefettibile traiettoria. Oggi il focus innovativo si chiama banca digitale e molte grandi banche stanno approntando la loro banca digitale di gruppo, quale scelta strategica di arricchimento del business bancario. È l’inizio di un cambiamento rilevante e non l’inseguimento di mode transeunti.
La modifica del contesto di banca tradizionale si articola nella completa automazione dei processi e nell’utilizzo della tecnologia web, ma, più in generale, comporta la creazione di business model più complessi, con lo scopo di meglio aderire ai fabbisogni finanziari di segmenti differenziati di clientela. Solo a titolo di esempio, per dato demografico, censo, genere, prospettive di investimento, capacità di utilizzo della tecnologia, e cosi via.
Contrariamente a quanto si possa pensare la banca digitale riguarda in prima istanza le persone e in seconda la tecnologia, declinata nelle sue più innovative componenti dell’Internet mobile, dei social network, degli analytics, dei cloud, delle app e della attesa diffusione dell’Internet delle cose. L’evoluzione verso la banca digitale è dettata dal ridimensionamento delle reti fisiche degli sportelli e dalla loro trasformazione da luoghi dove si effettuano transazioni in punti di vendita, nella introduzione di sportelli completamente automatizzati, gestiti da remoto, nell’offerta di servizi integrata (tramite la multicanalità) nella vita quotidiana del cliente, e, in prospettiva, aumentata, tramite l’Internet of things. Seguendo queste tendenze, la banca digitale mira a ricavarsi, col tempo, funzioni di consulenza/assistenza alla propria clientela, piuttosto che di mero fornitore di servizi, puntando su affidabilità, trasparenza e professionalità delle prestazioni.
Questi tratti conducono alla creazione di community, in cui si intensificano produzione e trasferimento di informazioni, ma dove soprattutto la clientela esprime, via network, valutazioni continue sulla qualità dei servizi ricevuti, con l’effetto di rafforzare o indebolire i connotati dell’appartenenza, della identificazione con il brand, della loyalty. La banca digitale è in definitiva omnicustomer, essendo basata sulle esperienze che sa sviluppare relativamente alla pluralità dei propri clienti, più che omnichannel, cioè fondata sulla molteplicità dei canali da rendere disponibili per le operazioni. Quanto ai servizi sui quali si va indirizzando la cd financial technology, essi sono essenzialmente la gestione del risparmio e i pagamenti, anche nella versione di prodotti di base, sicuri, a basso costo, in grado anche di riavvicinare la fetta cospicua di clientela diventata, negli anni della crisi, priva di rapporti bancari.
L’innovazione di processo ha preso decisamente la via della dematerializzazione e della implementazione delle procedure da remoto, tra cui spicca la più recente introduzione di processi di identificazione a distanza della clientela, che hanno colmato un passaggio rilevante verso la trasformazione digitale della banca. Tali elementi innovativi, subordinati ad alcune importanti condizioni, sono fruibili anche dalle banche minori, potendo essere gestiti con successo, proprio facendo leva sulle relazioni di clientela sviluppatesi, in posizione di prossimità, all’interno di comunità reali. Un esempio da citare è la banca digitale promossa da una BCC, con il marchio BCCforWeb.
La banca digitale consente di supportare la nascita di Smart Communities, fisiche e virtuali insieme, le cui caratteristiche debbono essere semplicità e immediatezza nella offerta di una molteplicità di servizi. Piattaforme costruite secondo questo approccio consentono la crescita di relazioni peer to peer, con possibilità di inserimento della banca locale. Le community app sono un nuovo modo di approccio al mercato ed anche contesti più circoscritti di quelli che interessano le grandi piattaforme sono miniere di informazioni da utilizzare. Provando a esemplificare, la banca locale potrebbe fungere da catalizzatore nell’accesso a circuiti commerciali o a piattaforme di assistenza professionale a famiglie e imprese e di fornitura di servizi privati o di pubblica utilità esistenti sul territorio (dove il driver è la vicinanza fisica).
Nei confronti di comunità di contesto (per le quali il driver sono gli interessi omogenei dei partecipanti), essa può sostenere iniziative per la promozione dell’immagine del territorio, mediante la valorizzazione dei prodotti locali, dei beni artistici e culturali, del turismo. Queste modalità sono attivabili verso bacini di utenza come università, federazioni sportive, associazioni di consumatori, comunità di fan.
Il contributo essenziale delle banche a queste nuove forme di social business è dato dalla possibilità di finanziare i processi di scambio su quelle piattaforme e di gestire i sottostanti circuiti di pagamento, nonché i processi di redistribuzione del valore, utilizzati come incentivo per moltiplicare le relazioni. Le caratteristiche funzionali delle Community App possono essere dirette al coinvolgimento degli aderenti e dell’ecosistema commerciale del territorio, aumentando le opportunità di scambio di beni e servizi fra i componenti della comunità con generazione di valore sulla base del cd modello Uber e la diffusione di funzioni di mobile payments. Un opportuno mix tra circuiti internazionali e circuiti interni di pagamento può rappresentare modalità di contrasto della concorrenza di operatori di maggiori dimensioni.
La banca digitale richiede anche modifiche organizzative rispetto alla banca tradizionale in termini di snellezza operativa, coinvolgimento del personale nei processi decisionali, multidisciplinarietà delle professionalità impiegate e consapevolezza dei vertici in termini di conoscenza tecnologica e di commitment nello sviluppo delle relazioni di clientela. La banca minore, più agile, potrebbe trarre vantaggi da una minore gerarchizzazione dei ruoli e maggiore flessibilità delle procedure di funzionamento.
Sul piano della concorrenza, schemi di co-progettazione e cooperazione con altri intermediari su temi di comune interesse possono creare utili sinergie, stemperando forme eccessive di competizione. In ogni rinnovamento va in ogni caso considerato il peso della tradizione. Se nel tempo, attraverso l’esercizio dell’attività tradizionale, la singola banca avrà curato la propria reputazione sarà per lei più facile allestire un’attività di banca digitale, tenendo sempre presente che in questo campo le relazioni clientela presentano un’alta variabilità di ingresso e di uscita. La leva della reputazione da’ anche la possibilità alla banca locale di espandere non solo il proprio peso economico, ma anche quello sociale, diventando, nel lungo termine, veicolo credibile di crescita delle conoscenze finanziarie della popolazione.
Resta da accennare ad un ultimo argomento, anche se più tecnico, comunque collegato ai precedenti. Aggiungere ramificazioni, come la banca digitale, all’albero della banca tradizionale ha senso se c’è un fusto forte e, quindi, non solo consapevolezza, come detto, delle opportunità e dei rischi di questo nuovo business di rete, ma anche robustezza della tecnologia sottostante. È noto come in Italia una parte rilevante di assistenza alle attività delle banche locali sia affidata agli outsourcer, cui sono esternalizzate funzioni rilevanti, al punto da essere assoggettati da pochi mesi (anche questa è una novità) a controlli dell’autorità di vigilanza bancaria.
Il peso dell’outsourcing è destinato ad aumentare, attirando intermediari bancari di dimensione più grande che hanno finora insistito nella più costosa gestione on premise delle proprie risorse informatiche. Nel campo delle infrastrutture tecnologiche, scontiamo ritardi dovuti ai contenuti investimenti di questi anni e la frammentazione degli operatori. La direzione è quella del ridisegno delle applicazioni gestionali comuni al banking tradizionale e al digital banking, quali anagrafe, conti correnti, depositi, crediti, finanza, pagamenti secondo l’approccio as-a-service, avente carattere di maggiore flessibilità e componibilita’.
A tale riguardo, è importante valutare modalità innovative nei rapporti con grandi produttori internazionali di hardware e di software, affinché l’allineamento lungo la frontiera dell’innovazione tecnologica avvenga secondo approcci più strutturati. Ciò comporta che gli outsourcer si orientino sempre più verso il ruolo di fornitori di servizi, tecnici, professionali, di consulenza e assistenza specialistiche della propria clientela bancaria, fondati sui vantaggi accumulati in termini di conoscenza delle funzionalità bancarie, piuttosto che su quello di produttori di sistemi informativi, che, sempre più complessi, rispondono a logiche di produzione industriale di ben altra scala.
La conclusione, forse banale di tutto quanto precede, è che se i fattori di criticità non mancano e spesso si ha l’impressione di toccare con mano che cosa voglia dire vivere nell’età del caos, è anche vero che dobbiamo essere attratti dalle opportunità che si generano, via via che appaiono sempre più chiare ai nostri occhi.