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Banche: grandi utili, ma poca remunerazione dei conti correnti. Vanno meglio i conti deposito

Pixabay

“Che la forza (dei tassi) sia con voi”. E’ così che la banca statunitense Citi, ha titolato una nota sui conti delle banche italiane. Dopo anni di tassi negativi, per le banche è il momento della riscossa: grazie ai ripetuti aumenti dei tassi di interesse decisi dalla Bce, gli istituti di credito stanno facendo veri e propri affari. Sono fermi i rendimenti sui conti correnti mentre qualcosa si muove sui conti di deposito. Ecco cosa sta succedendo.

In netta crescita gli utili delle banche grazie al rialzo dei tassi

Per citare le due maggiori banche italiane, Unicredit e Intesa SanPaolo, hanno visto crescere il loro margine di interesse a fine marzo, che deriva dall’attività di prestito e di finanziamento, rispettivamente del 44% e del 53%. E non lontani sono anche gli altri istituti di credito. L’ufficio studi Uilca calcola che nel primo trimestre 2023 le prime nove banche italiane hanno registrato 5,35 miliardi di utili, +182% sull’anno prima, grazie ai margini di interesse saliti del 55%, a quasi due terzi dei ricavi totali. E la stessa banca Citi nella sua nota si dice ottimista sul 2023 grazie alla forbice sui tassi, malgrado stimi “una retrocessione di interessi ai depositanti nell’ordine del 30-40% nell’anno”: specie da giugno, quando la raccolta agevolata della Bce si ridurrà.

La remunerazione dei conti correnti: questa sconosciuta

Ma per 1.369 miliardi di euro giacenti sui conti bancari, di cui circa 800 in mano alle famiglie, ancora non c’è remunerazione, fatto che era scontato fino a circa un decennio fa, quando valeva il do-ut-des tra banche e correntisti: tu lasci i soldi nella mia banca, io posso impiegarli e, per questo, ti riconosco un tasso di remunerazione. Si tratta di una fetta rilevante dei depositi italiani, saliti a 1.795 miliardi secondo i dati Abi relativi al mese di aprile. Così la formula è cambiata per le banche e diventa magica: raccolgo denaro quasi gratis e lo impiego a circa il 4%.

Si allarga ancora la forbice tra tassi sui prestiti e raccolta

I dati resi noti dall’Abi nei giorni scorsi confermano le dinamiche, anche se un timido miglioramento si scorge. Tra marzo e aprile la forbice tra tassi sui prestiti e raccolta si è allargata, da 301 a 317 punti base, avvicinandosi sempre più a quel picco di 335 pb del 2007, in aria di crisi dei mutui subprime Usa. Il tasso medio sui prestiti è salito dal 3,80 al 3,99%. La raccolta invece viene pagata in media lo 0,82%, ancora pochissimo, anche se si vede un leggero aumento dallo 0,79% di marzo. Sui soli depositi, la gran parte della raccolta, il tasso è salito dallo 0,6% allo 0,64%, sui conti correnti sono cresciuti di 3 centesimi, allo 0,29%.

Vanno meglio i tassi sui depositi

Alle obiezioni l’Abi risponde che “il conto corrente permette di utilizzare una moltitudine di servizi e non ha funzione di investimento” ha detto Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria. “Se si vogliono fare rendere i quattrini – aggiunge – bisogna metterli in un conto di deposito”. In effetti sui “nuovi depositi a durata prestabilita” il tasso a marzo era al 2,65%.

Le banche in generale si difendono dicendo che, dopo anni di tassi negativi, ora vogliono portare fieno in cascina e proteggersi nel caso possa verificarsi una corsa allo sportello come si è vista perle banche negli Usa e in Svizzera. Per il momento comunque le serie storiche vedono i depositi italiani stabili come roccia, saliti di 130 miliardi nei lockdown 2020-2022.

Diverso il discorso per le banche online

Gianluca Garbi, fondatore e ad di Banca Sistema, dice di non fare di tutta l’erba un fascio, nel criticare le banche italiane perché remunerano poco i depositi, riporta Repubblica. C’è chi tiene i tassi ancora molto vicini a zero, come chi fa raccolta tramite gli sportelli territoriali, e chi invece raccoglie online e si adegua giornalmente ai tassi di mercato: altrimenti il cliente schiaccia un tasto e porta i soldi dalla concorrenza.

Se non c’è remunerazione, almeno la riduzione dei costi

In questa situazione c’è qualche banca che addirittura chiede ancora un pagamento per avere un conto in banca. Ma almeno su questo terreno alcune banche sembrano disposte a venire incontro ai correntisti. I costi dei conti correnti erano lievitati, in alcuni casi anche considerevolmente, quando i tassi erano negativi perchè anche in quel caso le banche si erano volute proteggere.

La strada della riduzione dei canoni è già stata imboccata da alcuni istituti tra cui Intesa Sanpaolo, Unicredit, Fineco e Bper. La riduzione del canone deciso da Unicredit, ad esempio, riguarderà 4,5 milioni di clienti che beneficeranno di un risparmio annuo fino a 50 euro ciascuno. Intesa Sanpaolo non ha effettuato aumenti agganciati all’inflazione e a partire da fine luglio, azzererà completamente l’unico incremento applicato nel 2017 ripristinando così le condizioni economiche del conto corrente, che aveva riguardato solo una fascia contenuta di clientela.

L’ipotesi del governo di tassare gli extra-profitti bancari

Proprio il mancato adeguamento dei tassi d’interesse sui depositi attivi da parte delle banche nell’area euro è stato tra i temi sollevati da diversi ministri delle Finanze e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nel corso dei recenti incontri a Bruxelles dell’eurogruppo e dell’Ecofin, secondo fonti del Mef, che hanno detto anche che Giorgetti auspica che arrivi presto un segnale in questo senso da parte delle banche italiane. Nelle scorse settimane si era parlato di una possibile tassazione degli extraprofitti incassati dalle banche negli ultimi mesi. Le parole di Giorgetti sarebbero da intendere secondo alcuni osservatori come sorta di moral suasion per annullare le modifiche contrattuali a sfavore dei correntisti, alternativo a un possibile intervento governativo che potrebbe rifarsi a quanto fatto in Spagna, dove il governo ha adottato un prelievo del 4,8% sul margine d’interesse.
Qualcuno ha provato anche a fare un calcolo di minima: la sola applicazione dei rendimenti monetari del 2% su quei 1.369 miliardi giacenti sui conti bancari varrebbe come una manovra finanziaria: circa 30 miliardi. Secondo altre fonti la moral suasion del governo potrebbe limitarsi ai conti di deposito che peraltro hanno già visto aumentare i rendimenti dallo 0,06% di un anno fa al 2,65% con punte del 4%.

La concorrenza dei titoli di stato

I tassi sui depositi a questo punto vanno però confrontati con i rendimenti dei titoli di Stato: un Btp a dieci anni si attesta attorno al 4,2% di rendimento. È lo stesso governo italiano (volendo dare un nome: è lo stesso Giorgetti) dunque a far concorrenza ai depositi visto che i rendimenti, dopo anni di vacche magre stanno dando soddisfazione agli investitori. A cominciare dall’ultimo arrivato, il Btp Valore che verrà collocato dal 5 al 9 giugno. Il titolo di Stato avrà una scadenza di quattro anni con un premio extra finale di fedeltà pari allo 0,5% del capitale investito per chi acquista durante i giorni di collocamento e lo detiene fino alla scadenza. Come punto di riferimento attualmente il Btp a quattro anni giugno 2027 rende il 3,49% sul secondario.

Certo, per il Governo si tratta però di un esborso (il pagamento dei rendimenti), mentre nel caso della tassazione degli extra-profitti bancari si tratterebbe solo – è il caso di dirlo – di passare dalla cassa.

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