La fase uno della lotta all’inflazione che BCE e FED stanno combattendo simultaneamente preoccupava maggiormente i governi più che altro per un possibile scenario di recessione. In realtà, più che i rischi derivanti da una contrazione dell’economia reale, in questa fase preoccupa la tenuta delle banche americane ed europee “stressate” dall’aumento progressivo del costo del denaro. Dopo il default della Silicon Valley Bank, e il salvataggio del Credit Suisse, è ritornato infatti lo spettro di una crisi finanziaria di sistema in grado di complicare ancora di più il quadro delle variabili macroeconomiche che le autorità monetarie devono tenere assieme. Loriana Pelizzon, economista della Ca’ Foscari, si occupa di stabilità dei mercati finanziari e di analisi dei rischi sistemici. È appena tornata da un periodo di “visiting” alla Wharton School in Pennsylvania, dove sta lavorando ad un paper sui mercati finanziari con Andrew W. Lo del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Mila Getmansky Sherman e Monica Billio.
Professoressa Pelizzon, quanto è alto il rischio di contagio nel sistema finanziario globale?
“Se parliamo del rischio diretto di esposizione delle banche europee rispetto a SVB, direi molto basso. Diverso è il ragionamento sui rischi da contagio informativo e le sue implicazioni sulla solidità del sistema bancario. Se i depositanti di una singola banca accendono un campanello d’allarme sulla sicurezza dei loro depositi, e questo meccanismo si autoalimenta, allora sì, i rischi all’orizzonte sono alti”.
Le autorità di regolazione e controllo adesso non possono più sbagliare una mossa.
“Proprio per questo motivo le autorità di supervisione bancaria stanno intervenendo con rapidità e si stanno coordinando tra loro. Negli USA, la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation) e la FED sono intervenute in primo luogo per evitare che ci fossero problemi di liquidità per le start up californiane e poi per evitare l’insorgere di un pericoloso rischio da contagio informativo. Il Credit Suisse non è un evento collegato a SVB, i problemi erano ben precedenti, tra l’altro ampiamente segnalati dai revisori contabili”.
Quali sono le radici di questa nuova fase di instabilità?
“Il sistema finanziario è fragile per definizione. La stessa attività delle banche comporta rischi legati alla gestione degli attivi e dei passivi di bilancio che hanno orizzonti temporali diversi. Le banche trasformano passività a vista in prestiti a lungo termine per le imprese e sono per loro natura fragili. In realtà, il sistema si mantiene in equilibrio grazie ai meccanismi collegati alle assicurazioni nazionali sui depositi e soprattutto grazie al “non coordinamento” dei depositanti nel prelevare tutti nello stesso momento i loro depositi. Quando accadono default di questo genere si crea un terreno fertile per il rischio da contagio informativo, una situazione che potrebbe portare un numero elevato di depositanti a prelevare i loro depositi contemporaneamente (coordinamento) e, in molti casi, innescando un panico vero e proprio”.
Il collasso della SVB è stato causato da un poderoso aumento dei tassi di interesse che la banca americana ha evidentemente sottovalutato. Il mondo economico e politico, soprattutto europeo, si sta dividendo tra rigoristi e fautori della linea morbida per quanto riguarda nuovi aumenti dei tassi. Lei da che parte sta?
“Certamente la relazione tra aumento dei tassi e il default di SVB è evidente. Singolarmente è un caso di pessima gestione del rischio di tasso. Ma la politica monetaria deve occuparsi della stabilità dei sistemi finanziari o badare ai suoi compiti istituzionali? In Europa il compito della BCE è il contenimento dell’inflazione, mentre negli USA la FED si occupa di sorvegliare l’inflazione e di favorire la crescita economica. La stabilità del sistema finanziario è demandata invece alle autorità di regolamentazione bancaria e finanziaria e solo in secondo piano alle banche centrali”.
Infatti, la BCE ha optato per mantenere la rotta del rialzo dei tassi, nonostante le pressioni dall’esterno.
“Le banche europee sono più solide di quelle americane. Finora hanno reagito bene all’aumento dei tassi, anzi stanno incamerando alti profitti. Almeno sino a quando riusciranno a mantenere basse e in molti casi nulle le remunerazioni sui depositi e far pagare tassi alti sui prestiti. L’ultimo aumento di 50bp in realtà era già stato ampiamente annunciato. Fare diversamente significava segnalare ai mercati che il sistema bancario europeo non era già più in grado di reggere”.
La politica monetaria che Francoforte ha deciso di seguire è orientata al rientro dell’inflazione anche a costo di mettere in crisi alcuni operatori finanziari?
“La politica monetaria non è una scienza esatta. Qual è il punto di equilibrio? Sicuramente non possiamo permetterci un sistema finanziario ed economico che non funziona. Quindi fino a quando il sistema bancario sarà in grado di assorbire gli aumenti, le banche centrali proseguiranno nella lotta all’inflazione. In ogni caso, anche una recessione pesante potrebbe comportare rischi gravi per la stabilità del sistema bancario europeo. La BCE manda segnali forti adesso per evitare una strategia di aumenti troppo prolungata. Il dilemma è noto: quanto conviene alzare i tassi in anticipo per non doverlo fare dopo ad un costo più alto?”
Veniamo comunque da dieci anni euforici caratterizzati da continue iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali. Nascono anche da qui i problemi?
“Sì, questa è un’altra grande incognita. Veniamo anche da un periodo lungo di disinflazione o di inflazione molto bassa. Al netto delle cause, non possiamo permetterci per 3-4 anni una inflazione al 10%, questo è certo. Se non si interviene ora la storia ci insegna che dal 10% si può arrivare al 20% di inflazione, e poi al 30% e al 40%, come effetto del circolo vizioso prezzi-salari-prezzi. Il corto circuito tra aspettative di inflazione e aumenti salariali è una storia pericolosa che abbiamo già sperimentato in passato”.
Si stima una liquidità in eccesso sui mercati globali di circa tre volte rispetto ai volumi dell’economia reale. Cosa può succedere ancora nel mercato obbligazionario?
“Una parte di questa liquidità in realtà è depositata nei bilanci delle banche centrali; quindi, non è in circolazione nel sistema finanziario. Le banche centrali hanno da tempo previsto di non rinnovare gli investimenti in titoli di Stato che hanno attualmente a bilancio. La BCE non rinnoverà i titoli per una cifra vicina ai 15 miliardi al mese, è un modo per ridurre la liquidità nel sistema senza creare sconvolgimenti. La parola d’ordine è gradualità”.
Ulteriori nuovi aumenti dei tassi di interesse che problematiche oggi non visibili potrebbero causare?
“I dubbi sono legati alla sostenibilità dei nuovi aumenti dei tassi da parte del sistema bancario. Finora, come detto, l’operatività delle banche europee non è stata inficiata, anzi. È chiaro però che in uno scenario di tassi notevolmente più alti, i depositanti comincerebbero a spostare la liquidità dai conti correnti verso strumenti finanziari in grado di remunerare maggiormente i loro risparmi. Il prossimo stress test che condurrà l’EBA sulle banche europee ci indicherà quali banche sono in grado di sostenere tassi di interesse elevati”.
Il sistema finanziario italiano, dopo l’ultima fase di consolidamento e risanamento, è in linea con il resto d’Europa?
“Le banche italiane hanno ridotto in modo significativo il problema degli Npl. Soprattutto le più grandi hanno bilanci in grado di porsi allo stesso livello della media europea. La questione cruciale sarà come sempre la tenuta della economia italiana nei prossimi mesi. Riusciremo a usare bene i fondi del PNRR o cadremo nella trappola della stagnazione?”