Gli NPL sono stati per anni uno dei fattori di rischio più grandi per le banche italiane. Si temevano crisi di sistema, si temeva che tutto saltasse dando il colpo di grazia a un Paese alle prese con la crisi economico-finanziaria. Da allora molte cose sono cambiate. I grandi istituti di credito hanno fatto enormi operazioni di ristrutturazione e di cessione allo scopo di liberarsi delle sofferenze in loro possesso, cercando non senza qualche difficoltà di conformarsi alle regole imposte dall’Unione Europea e di rispettare i tempi previsti dalla normativa comunitaria.
Ma a che punto è oggi l’Italia? I Non Performing Loans possono davvero essere considerati un “problema superato” per il nostro Paese? Lo abbiamo chiesto a Clemente Reale, numero uno in Italia di Hoist Finance, società svedese attiva in 11 Paesi che si occupa della ristrutturazione del debito per banche e istituzioni finanziarie, specializzata nell’acquisto e nella gestione di crediti performing e non-performing con un portafoglio di 9 miliardi di euro di NPL.
Dottor Reale, fino a pochi anni fa gli NPL erano lo spauracchio delle banche italiane. Oggi, secondo l’Abi, la situazione è tornata nel “raggio di sicurezza”. Il dg Sabatini prevede che alla fine del 2021 il rapporto dei crediti deteriorati lordi sul totale dei prestiti scenderà sotto il 5%, la soglia di “normalità” indicata dall’Eba. È una previsione realizzabile?
“Non posso contraddire chi gestisce questi numeri. Mi pongo solo delle domande relative agli UTP (crediti Unlikely to pay, “improbabile che paghi” in italiano, ndr.), che rappresentano una sorta di area grigia difficilmente quantificabile. Possono essere considerati nuovi NPL o NPL nascosti. Bisogna vedere quanti di questi UTP rimarranno in bonis e quanti si trasformeranno in sofferenze. Difficile dirlo ad oggi, ma è una questione fondamentale per il futuro delle banche. Per quanto riguarda il 5%, questa percentuale è un limite richiesto dal regolatore. Arrivare a questa soglia è un must”.
Ci riusciranno?
“La domanda vera a mio parere è un’altra: per raggiungere questo 5% le banche cosa dovranno fare? Saranno necessari aumenti di capitale, oppure no? A questo non posso rispondere io, ma credo che dipenderà molto dalle singole realtà. Ci saranno banche che non avranno difficoltà a raggiungere la soglia del 5%, altre che invece avranno davanti una strada più impervia e dovranno affrontare sfide molto più impegnative. Il passaggio da crediti in bonis a UTP e da UTP a sofferenza è sicuramente un aspetto poco controllato e controllabile. Riassumendo posso dire che il problema degli NPL è stato parzialmente risolto, ma qualche dubbio sul futuro io ce l’avrei ancora”.
Quindi secondo lei il problema non è solo la soglia del 5%, ma anche la tempistica imposta?
“Assolutamente sì. Per la finanza il 2021 corrisponde a oggi. È un percorso un po’ troppo rapido che potrebbe mandare in sofferenza qualche banca. Ma sono dei parametri europei su cui a livello nazionale non si può intervenire”.
A proposito di Ue, Hoist Finance è una società internazionale con una prospettiva privilegiata sul mercato europeo: nel settore degli NPL, l’Italia si sta allineando alla media europea?
“L’Italia si sta sicuramente allineando alla media degli altri Paesi europei. Occorre però partire dall’inizio. L’Italia nel passato è stato l’unico Paese a non fare grosse operazioni di cessione e di nazionalizzazione dei crediti, operazioni avvenute per esempio in Spagna o nel Regno Unito. Questo ha fatto sì che Roma partisse in ritardo rispetto agli altri e soprattutto con una massa superiore da gestire. Oggi, grazie alle grandi operazioni effettuate da banche come Monte dei Paschi, Unicredit, Intesa Sanpaolo e via dicendo la mole di NPL con cui fare i conti si è ridotta notevolmente e questo ha fatto sì che l’Italia diventasse anche un mercato interessante per chi compra questi crediti. Ciò che possiamo prevedere, e che in parte sta succedendo già adesso, è che probabilmente si svilupperà un mercato secondario molto più ampio rispetto a quello degli altri Paesi, essendoci in Italia una grandissima massa di crediti in mano ai fondi”.
Parlando proprio di mercato secondario degli NPL. Da mesi, anche in virtù dell’iniziativa di Bruxelles, si parla molto di questo tema e sono in tanti ad aver sollevato dubbi riguardo alle possibili norme e a una regolamentazione europea. Qual è la sua opinione?
“Il vecchio Parlamento ha voluto e ha cercato di creare delle regole paneuropee che riguardassero anche il mondo finanziario dell’acquisto crediti. Norme inerenti sia all’acquisto che al recupero crediti. Questi progetti al momento sono stati messi in stand by a causa delle elezioni europee di maggio e del passaggio di consegne dai vecchi ai nuovi europarlamentari. Da operatore europeo, in realtà, noi non vediamo la necessità di una regolamentazione di questo genere, dato che il business del recupero è e rimane un business a livello locale. Se si comprano dei crediti in Italia si deve avere una struttura italiana o un servicer italiano. È difficile pensare di acquistare dei crediti a Roma direttamente da Londra. Ciò che vedremo secondo me è quello che io chiamo la politica del taglio di subsegmenti di portafoglio allo scopo di efficientare la gestione e ottimizzare il recupero. Si stanno affacciando sul mercato le prime operazioni di segmentazione. Non so quanto siano ufficiali o no, ma sono a conoscenza del fatto che nei prossimi mesi le vedremo, anche perché questo è assolutamente in linea con i processi industriali della gestione delle sofferenze. Chi compra dei grandi portafogli, li segmenta e li vende a realtà specializzate. È la rappresentazione di un approccio industriale della gestione delle sofferenze che sta arrivando anche in Italia”.
I numeri di Hoist Finance sembrano essere lo specchio del fervore che gira intorno agli NPL, con ricavi in crescita del 50% e investimenti in salita del 30%. Quali saranno le prossime mosse, soprattutto per quanto riguarda il mercato italiano?
“Le nostre percentuali di crescita sono importanti, ma bisogna considerare anche che quando il portafoglio è più piccolo è più facile centrare percentuali rilevanti. Diventando più grandi, per forza di cose, le percentuali di crescita si ridurranno. Nonostante ciò sottolineo che l’Italia per Hoist rimane strategica, resta il Paese più interessante a livello europeo per gli investitori. Sulla stessa linea di quello italiano forse al momento ci sono solo i mercati di Grecia e Spagna. Hoist ha intenzione di puntare sull’Italia, per noi è un mercato importantissimo dove speriamo di poter continuare a crescere in maniera costante”.
Qualche mese fa avete acquisito la società umbra Maran. Nei piani di Hoist Finance c’è la volontà di spingere sull’acceleratore sul settore del servicing per conto terzi allo scopo di coprire l’intero ciclo dal recupero rate alla gestione di portafogli?
“Esattamente, l’obiettivo di Hoist è quello di poter fare sia acquisto che servicing di crediti dalla singola rata alla garanzia più complessa. In realtà è stata anche un’acquisizione strategica, perché essendo nati in Italia una serie di player grandi e con molti dipendenti era necessario accrescere il nostro personale per restare tra i primi tre servicer italiani di unsecured. Abbiamo avuto la possibilità di farlo con Maran, che si trovava in una situazione di concordato in bianco. È una società con un ottimo personale e un enorme know-how e per noi è diventata un’opportunità di crescita e di consolidamento in Italia”.
Avete in programma altre acquisizioni nel breve-medio termine?
“Nel breve termine no, ci occuperemo del perfezionamento dell’acquisizione di Maran. Nel medio termine è probabile che per noi sarà necessario continuare a crescere anche attraverso delle acquisizioni che ci consentano di ottimizzare i processi di gestione e garantire una maggiore specializzazione unsecured e secured”.