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Banche e energia, la Russia congela la vendita degli asset. Una grana per Enel e Unicredit

Un decreto firmato da Vladimir Putin congela fino a fine anno la cessione di asset di banche e società dell’energia. Le implicazioni per l’Italia

Banche e energia, la Russia congela la vendita degli asset. Una grana per Enel e Unicredit

Un decreto del Cremlino impedisce ai paesi considerati ostili, tra cui l’Italia, di vendere pacchetti azionari nei settori dell’energia e delle banche sino alla fine dell’anno. È una risposta, firmata Vladimir Putin, alle sanzioni arrivate da Ue, Uk e Stati Uniti.

Il nuovo decreto firmato a Mosca, secondo quanto riferisce MF-DJ, non riguarda solo gli istituti di credito, ma anche il settore dell’energia. Nel mirino, dal punto di vista dei russi, ci sarebbe soprattuto il gigante americano ExxonMobil che stava portando avanti l’uscita dal costoso progetto Shakalin-1 insieme a Rosneft che sarebbe rimasta con il cerino in mano perdendo l’operatore del giacimento al quale contribuiscono, ma con ruoli minori, anche giapponesi e indiani. La lista dei gruppi e degli asset congelati dovrebbe essere definita e resa nota in tempi rapidi con il contributo della governatrice della Banca centrale russa Nabiulina.

Stop alla vendita di asset banche, decreto di Putin

Nell’attesa, si possono fare alcune considerazioni. L’exit strategy delle banche occidentali infatti rimane un obiettivo prioritario, ma le modalità non sono uguali per tutti. La prima a uscire è stata Société Générale che, subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Il gruppo francese ha venduto l’intera quota in Rosbank e delle filiali assicurative a Interros Capital, incassando una perdita di oltre tre miliardi. Altre – tra le quali Unicredit e ancor di più Intesa Sanpaolo, hanno preferito attendere e valutare gli avvenimenti. L’americana Citi, dopo aver ceduto le attività di consumer banking in Russia, ha deciso di mantenere la licenza bancaria.

Il primo semestre si è confermato meno catastrofico del previsto per le banche. Il rublo ha ripreso quota dopo lo scivolone post-invasione Ucraina e ha lasciato spazio per risultati positivi nel credito. Tra i profitti record che Unicredit ha riportato nel secondo trimestre dell’anno, circa 400 milioni sono attribuibili alla performance della valuta russa. Citi ha da un lato ridotto gli asset di 3,1 miliardi di dollari, ma dall’altro lato ha visto lievitare il valore delle attività ancora in bilancio per 3,6 miliardi, con una plusvalenza di 500 milioni. Raiffeisen ha tagliato l’esposizione verso Mosca del 22% ma ha visto crescere le attività di 3,1 miliardi di euro in quanto il rublo si è rafforzato del 40% sul dollaro e sull’euro nel secondo trimestre dell’anno. Tutto ciò ha contribuito ad allungare i tempi di uscita dal mercato russo.

Per evitare di incassare una perdita secca, la prudenza ha guidato molte banche e tra queste anche Unicredit e Intesa. “La nostra esposizione verso la Russia è sotto controllo e la Russia non è più una preoccupazione per i risultati del gruppo. Stiamo riducendo la nostra esposizione così come ci siamo impegnati, il nostro business in Russia è funzionale – ha sottolineato a fine luglio il Ceo Andrea Orcel nel presentare i conti trimestrali andati oltre le attese – e dal punto di vista economico, finanziario e di capitale l’impatto della Russia sui conti non è una più una preoccupazione per noi. Siamo impegnati a ridurre gradualmente la nostra esposizione: l’abbiamo ridotto di 2,7 miliardi e continueremo a farlo modo ordinato e razionale. Non abbiamo cambiato la nostra posizione in proposito”. Lo stop decretato dal Cremlino fino a fine anno tuttavia potrebbe creare qualche grattacapo o comunque rallentare i piani della banca. Secondo MF-DJ il gruppo starebbe vagliando un’uscita temporanea dal mercato russo con la possibilità di rientrare in possesso degli asset alla fine della crisi geopolitica in corso. L’operazione potrebbe essere strutturata come uno swap o un repo che scambi poste di attivo con controparti non sanzionate per neutralizzare il rischio su un arco temporale che potrebbe andare da qualche mese a un anno. Intesa Sanpaolo, invece, continua a esplorare diverse opzioni, pur non avendo preso decisioni definitive.

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Stop alla vendita degli asset di Enel in Russia fino a dicembre 2022

Il decreto firmato da Putin – secondo quanto riferisce l’agenzia Tass riportando un’indiscrezione del quotidiano russo Kommersant – riguarda anche l’italiana Enel e la finlandese Fortum che potrebbero sfuggire alle restrizioni solo grazie ad una specifica autorizzazione del capo dello Stato.

La cessione del 56,43% in Pjsc Enel Russia avrebbe ridotto il debito di Enel per circa 550 milioni

Il 16 giugno Enel ha firmato gli accordi per la vendita delle attività in Russia consistenti nell’intera partecipazione del 56,43% in Pjsc Enel Russia per circa 137 milioni di euro a Lukoil e al fondo Gazprombank-Frezia- . L’operazione avrebbe generato, un impatto positivo sul debito di circa 550 milioni e un contraccolpo negativo di circa 1,3 miliardi sull’utile netto reported principalmente dovuto al rilascio della riserva di conversione cambi, per circa 1,1 miliardi al 31 maggio, precisava Enel nel presentare l’operazione. Un effetto contabile “che non avrà alcun impatto sui risultati economici ordinari”, ha assicurato il colosso energetico.

Il closing era atteso entro il terzo trimestre del 2022

Nella conference call sulla semestrale l’Ad Francesco Starace, aveva detto che “l’uscita di Enel dalla Russia è nelle fasi finali” e che il closing dell’operazione è atteso “entro il terzo trimestre del 2022”. Ma se le indiscrezioni saranno confermate, la vendita di Enel Russia rischia di finire congelata fino alla fine dell’anno. Per Equita Sim si tratta di una piccola operazione per Enel che verrebbe a essere solo bloccata nel secondo semestre di quest’anno. Equita ha, quindi, confermato il rating buy e il target price a 7,5 euro sul titolo Enel che al momento in Borsa viaggia sul filo di 5 euro a 5,006 euro (-0,52%).

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