Le grandi banche da qualche tempo dichiarano di voler tornare sul territorio e per dare corpo alle intenzioni stendono piani che prevedono radicali mutamenti nelle loro configurazioni organizzative. Con una inversione di tendenza rispetto a pochi anni fa quando andava di moda la banca di sistema, si stanno riposizionando sui mercati più piccoli riducendo centinaia di inutili sportelli, elefantiache società strumentali, migliaia di dipendenti ed esternalizzando numerose attività di back office.
In sostanza, per corrispondere più efficacemente alla domanda di credito dei mercati locali, il decentramento decisionale dovrebbe prendere rapidamente il posto dell’accentramento fino a poco tempo fa perseguito con assoluta determinazione e, in qualche caso, anche oltre ogni ragionevole senso del limite. Dopo gli obiettivi di gigantismo inseguiti per molti anni da qualificatissimi manager, bisogna interrogarsi se questa inversione di rotta possa essere veramente realizzabile dai nuovi vertici aziendali messi da poco a capo delle maggiori banche. Soprattutto ci si deve chiedere se detta inversione possa realizzarsi in un lasso di tempo consono con le crescenti esigenze di finanziamento dell’economia reale, oramai prossima all’asfissia da mancanza di crediti.
Il dubbio e’ legittimo, se non altro per la rilevanza degli ostacoli che dovranno essere superati in tema di riposizionamento e downsizing della rete distributiva e di riduzione del personale, al punto che la portata dei problemi da affrontare viene, sempre più spesso, assimilata ad un vero e proprio processo di riconversione industriale, pertanto ad elevata complessità strategica, gestionale ed operativa. Sono questi piani industriali o di rilancio percorribili e soprattutto credibili? Tralasciamo le variabili macroeconomiche prese in considerazione – di per sè, soprattutto in questi tempi, opinabili e soggettive – e concentriamoci maggiormente sul modello di banca che si ha in mente quando si disegnano scenari nel tempo. L’analisi di alcuni di questi piani che sono stati acriticamente ripresi dalla stampa specializzata e non lasciano intravvedere una filosofia di fondo che per certi versi è preoccupante. Due i target principali che si assegnano le grandi banche:
1) la banca on line con il parziale superamento della rete degli sportelli e un modello di produttività che passa;
2) dai volumi -dell’intermediazione- a un modello di produttività da servizi.
Vi è quindi l’evoluzione verso logiche di affari maggiormente fee-based e di conseguenza una maggiore produzione di commissioni corrisposte dalla clientela. Due le principali e stridenti contraddizioni che ci sembrano non sottolineate in modo adeguato:
a) il ritorno a dinamiche di sviluppo locali nelle intenzioni delle grandi banche non corrisponde a maggiori finanziamenti dell’economia locale;
b) l’affermarsi della banca on line implica una drastica riduzione delle commissioni sui servizi di pagamento, sul risparmio gestito ecc., esattamente il contrario di quanto auspicato come una manna dal cielo nei progetti di cui sopra.
Un esempio tratto dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia di quest’anno (p.280) e riferito ai servizi di pagamento dimostra chiaramente le tendenze in atto anche nel mercato italiano del retail di una sostanziale riduzione man mano che ci sposta dalla carta all’elettronica.
Commissioni applicate alla clientela sui principali servizi di pagamento (importi in euro)
Bonifico disposto con modalità tradizionali 2,80 (2010) 3,10 (2011)
Bonifico disposto via internet 0,64 (2010) 0,55 (2011)
Addebito Diretto 0,64 (2010) 0,70 (2011)
Disposizione di incasso (preautoriz.) 1,21 (2010) 1,03 (2011)
Prelievo da ATM (incl. stessa banca) 0,19 (2010) 0,27 (2011)
Incasso con carta POS 0,82 (2010) 0,82 (2011)
Diversa e’ storicamente la condizione del sistema delle banche locali, che, nomen-omen, sul territorio ci sono sempre state, anche se stanno pagando un prezzo progressivamente elevato in termini di sopravvivenza. Due dati tratti dalla relazione della Dr.ssa Annamaria Tarantola “sul credito cooperativo del domani” del dicembre 2011 fanno da sfondo alle loro dinamiche di sviluppo e ne condizionano pesantemente il futuro. A fine 2011 i comuni nei quali era presente almeno uno sportello di una BCC erano circa 2.700 e le BCC che rappresentano il 5 per cento dei fondi intermediati del sistema bancario hanno il 13 per cento degli sportelli del sistema. Ciò fa scorgere una elevata concentrazione territoriale delle aziende della specie che pone seri dubbi quando si parla di fusioni per risolvere i loro numerosi problemi che si accompagna un invero a un capillare presidio del territorio, ma che ormai è diventato costosissimo.
Se sono le grandi banche a chiudere gli sportelli figuriamoci quanto impellente lo stesso problema sia per le BCC che evidentemente hanno una produttività per sportello di molto inferiore al 50% della media del sistema. Il risultato finale di queste logiche di impresa – a prescindere dai seri problemi della qualità del credito e della liquidità – si traduce in costi operativi che nel 2011 sono stati pari al margine di interesse (4 miliardi di euro), con un un utile netto complessivo di appena 312 milioni di euro, cioè pari, per le 411 BCC italiane, a meno di un milione procapite, secondo quanto esposto nella Relazione del Governatore e nella Relazione al Parlamento e al Governo della Banca d’Italia di quest’anno. Se si tratta di tendenze non solo congiunturali, è di tutta evidenza che la struttura dell’intermediazione per queste banche territoriali si avvia a un triste epilogo.
Per le BCC si tratta dunque di impostare correttivi forse più drastici e impopolari, ma non meno coraggiosi delle altre banche italiane, necessari comunque ad ammodernarne ineludibilmente il ruolo. Essi attengono a:
a) riqualificazione delle politiche creditizie in favore del credito a breve alle imprese del proprio mercato di riferimento;
b) miglioramento della governo societario, da nettare soprattutto dai rischi, purtroppo più diffusi che in passato, di conflitto di interesse degli esponenti con la banca da essi amministrata;
c) rivisitazione della macchina operativa aziendale in direzione di una maggiore efficienza, con soluzioni tecnologico/organizzative adeguate !3 tanto al controllo dei costi, quanto al fabbisogno di servizi bancari più qualificati espresso anche dalla clientela dei mercati minori.
Questi fattori debbono essere considerati dalle banche locali oltre che singolarmente, soprattutto nelle loro interconnessioni, ed essere assecondati da strategie di funding più complesse ma anche più attente ai rischi (di scadenza e di tasso) di quelle finora perseguite, al fine di rendere meno stringenti i vincoli derivanti dalla attuale situazione generale dei mercati finanziari.