Condividi

Banca IFIS: “Npl dimezzati dal 2015, ma lo stock aumenterà”

In occasione dell’Npl Meeting organizzato come ogni anno al Lido di Venezia, la banca ha fotografato il mercato dei crediti non performing, nel frattempo diventato un’industria da oltre 13mila addetti – L’Ad Colombini: “Le banche dal 2013 hanno ceduto oltre 170 miliardi di Npl, ma solo 11 sono stati recuperati e questo è un problema per il sistema”.

Banca IFIS: “Npl dimezzati dal 2015, ma lo stock aumenterà”

Il mercato degli Npl migliora, anche se l’Italia continua ad essere uno dei Paesi più esposti in Europa. Ma soprattutto intorno ai crediti deteriorati si è creato un vero e proprio business, con tanto di operatori specializzati e migliaia di posti di lavoro creati. E’ quanto emerso dalla ricerca Npl Market, realizzata dal Market Watch di Banca IFIS e presentato nel corso dell’ottava edizione dell’Npl Meeting organizzato proprio dalla banca veneta al Lido di Venezia. Il titolo di questo appuntamento, il primo con il nuovo Ad Luciano Colombini, è proprio “Run the industry”: per la prima volta infatti è stato quantificato l’impatto dell’industria dei crediti deteriorati sul sistema economico, un’industria che cresce a doppie cifre e che ormai vede in campo 49 istituti specializzati, tra cui la stessa Banca IFIS ma anche altri player come Intrum, Prelios, Credito Fondiario, DoValue e Cerved o Hoist Finance Italia, per citarne alcuni.

Questi operatori si occupano di un business complessivo da 330 miliardi di euro, tra i 246 miliardi di “bad loans” lordi e gli 84 miliardi di Utp (unlikely-to-pay, ovvero crediti nei confronti di aziende ancora esistenti, da riportare in bonis) lordi, entrambi stimati al secondo trimestre da Banca IFIS e comprensivi delle transazioni effettuate dal 2015 ad agosto 2019, e dei crediti già recuperati. Per farlo, i player coinvolti impiegano 5.700 persone e fatturano, insieme, 1,1 miliardi di euro (+15% anno su anno). Le agenzie di recupero credito, invece, sono ben 984 su tutto il territorio nazionale (di cui 852 associate a Unirec): fatturano quasi un miliardo (+14%) e impiegano altri 7.600 addetti. Il tasso di recupero è del 3% medio annuo, con però un picco del 7,8% nel primo anno in cui il credito finisce in portafoglio. Tra il primo e il terzo anno la percentuale di successo nella riscossione scende al 2%, salvo poi risalire dopo il terzo anno.

Quanto alla situazione generale dei non performing loans e allo stato di salute delle banche italiane, il report di Banca IFIS traccia un quadro in chiaroscuro. Da un lato la Npe, ovvero la Non Performing Exposure (l’esposizione verso i crediti inesigibili) delle banche italiane si è dimezzata dal 2015, quando nell’ultimo trimestre aveva raggiunto il picco (contando “bad loans” e Utp) di 341 miliardi, con una Npe Ratio del 17%, dietro solo a quelle di Grecia (47% nel 2015) e Portogallo e Irlanda (entrambe 19% quattro anni fa). Negli ultimi quattro anni le banche si sono liberate di 173 miliardi di crediti deteriorati (-53 miliardi gli Utp), di cui 14 miliardi nel 2018. La percentuale di crediti deteriorati sul totale è dunque scesa in Italia all’8%: solo Germania e Irlanda sono riuscite ad abbattere una percentuale più alta di Npl, ma restiamo ancora indietro rispetto alla media Ue del 3% e alla stessa Irlanda, nel frattempo scesa al 5%. La Germania ha oggi una esposizione all’1%, la Francia al 3%.

Per quanto riguarda infine il ritmo del deterioramento dei prestiti in bonis, secondo l’analisi di Banca IFIS questo torna ai livelli pre-crisi, ma non c’è troppo da cantare vittoria visto che il passaggio dagli Utp agli NPL, e cioè dai cosiddetti incagli alle sofferenze vere e proprie rimane piuttosto elevato. Nel 2013, il 4,5% dei crediti performing è passato a non performing (+71 miliardi di euro), mentre nel 2019 questo passaggio ha riguardato solo l’1,3% dei crediti delle banche (18 miliardi di nuovi non performing generati). Quest’anno però sono ci sono stati anche 17 miliardi di Utp che sono diventati “bad loans”.

“I crediti non performanti – ha commentato l’Ad di Banca Luciano Colombini – rimasti nei bilanci delle banche italiane sono scesi a 164 miliardi: ma di quelli ceduti, solo 11 miliardi sono stati recuperati secondo le stime. Questo significa che lo stock rimane superiore ai 300 miliardi ed è destinato ad aumentare, visto che la situazione economica del Paese non è brillantissima. Se infatti il recupero dei crediti di modesta entità, numerosissimi ma di valore piccolo, procede bene, vendere un immobile è complicatissimo a meno che non sia a Roma o a Milano. Questa situazione è una palla al piede per il sistema e condiziona il modo di operare delle banche nell’erogare credito: il credito alle Pmi e alle piccole partite Iva è fermo, e ormai si sta anche esaurendo la spunta della politica dei tassi della Bce”.

Colombini ha aperto per la prima volta i lavori dell’Npl Meeting, dopo la sua nomina al vertice avvenuta meno di un anno fa: “E’ un’edizione da record di presenze”, ha tenuto a ricordare prendendo la parola sul palco del Palazzo del Cinema al Lido di Venezia, annunciando anche che il nuovo piano strategico di IFIS, che sarà svelato tra poche settimane, prevederà ancora “un’attività a doppio binario: la banca tradizionale, con focus sul factoring, e la gestione degli Npl”. Il mercato degli Npl, secondo Colombini, vede in campo quattro protagonisti: banche, debitori, servicers e investitori.

“Tutti quanti si stanno adeguando al nuovo contesto, che per le banche, in osservanze delle nuove norme degli istituti di sorveglianza europei, significa innanzitutto più prudenza nell’erogazione dei crediti. Sta cambiando anche culturalmente il ruolo della banca: prima il recupero crediti era affidato a risorse secondarie, ora invece gli istituti stanno destinando le migliori risorse a questa attività. E’ un bene che il recupero crediti venga affidato a terzi, perché consente di recuperarne di più, ma culturalmente non deve passare il messaggio che una banca eroghi denaro e non si preoccupi di recuperarlo”.

Per quanto riguarda invece i debitori, secondo l’Ad di Banca IFIS “devono proseguire sulla strada della trasparenza, essere più veloci a manifestare i primi segnali di crisi, mostrarsi pronte a negoziare accordi in modo tempestivo e proattivo, avendo presente che un’azienda è un bene sociale”. I servicers invece devono attrezzarsi per scegliere la miglior strategia di recupero: “Bisogna supplire a una certa inerzia che hanno le banche tradizionali nell’affrontare le crisi aziendali”, ritiene Colombini. Infine, gli investitori: “I crediti non performing continueranno a offrire nel medio termine ritorni interessanti: il loro prezzo è atteso stabile o in moderato aumento. Nel 2019 i prezzi dei secured sono attesi stabili al 33%, mentre i prezzi degli unsecured sono saliti dal 6 all’8-9%, ma la qualità dei prodotti è molto migliore in termini di garanzia e documentazione”.

Commenta