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Banca d’Italia taglia le stime sul nostro Pil e segnala rischi al ribasso della crescita economica

Imagoeconomica

Banca d’Italia taglia le stime sul nostro Pil e segnala rischi al ribasso della crescita economica, mentre la riduzione del debito “è solo marginale”. È il quadro a tinte fosche che emerge dall’ultimo Bollettino economico di Bankitalia che ha rivisto al ribasso le stime del Pil diffuse nel luglio scorso a +0,7% quest’anno e a +0,8% nel 2024, mentre conferma una crescita dell’1% nel 2025. “La crescita risentirebbe dell’inasprimento delle condizioni di finanziamento e della debolezza degli scambi internazionali; beneficerebbe invece degli effetti delle misure del Pnrr e del graduale recupero del potere d’acquisto delle famiglie”, si legge nel Bollettino. Questi numeri si confrontano con una Nadef, la cornice dei conti in cui verrà dipinta la Manovra, che vede invece il Pil tendenziale salire dello 0,8% nel 2023, dell’1% nel 2024 e dell’1,3% nel 2025. Mentre per quanto riguarda l’inflazione, si stima in calo al 2,4% nel 2024 (dal 6,1 del 2023) e all’1,9 nel 2025. L’inflazione di fondo scenderebbe al 2,3% nel 2024 (dal 4,6 del 2023) e all’1,9 nel 2025, in linea con il progressivo svanire degli effetti dei passati ed eccezionali rincari energetici e con il rallentamento della domanda interna. Forti preoccupazioni, riguardano il debito, la riduzione “è solo marginale” e con rischi “tendenzialmente al rialzo”.

In prospettiva, si pensa al peggio. Con l’acuirsi delle tensioni geopolitiche in particolare connesse con il conflitto in Ucraina e con i gravissimi sviluppi degli attacchi terroristici in Medio Oriente; il peggioramento dell’economia cinese e la maggiore rigidità delle condizioni di offerta del credito in Italia, così come nel complesso dell’area dell’euro. Tutti elementi che si configurano come rischi al ribasso per la crescita economica. I rischi per l’inflazione risultano invece bilanciati: quelli al rialzo sono connessi con un ulteriore rincaro delle materie prime e con una minore velocità di trasmissione della recente discesa dei costi di produzione (dai livelli eccezionalmente elevati del 2022), mentre un deterioramento più marcato e persistente della domanda aggregata costituisce il principale rischio al ribasso.

La crisi del settore immobiliare cinese e le possibili ricadute sull’economia globale

Dopo il crack di Evergrande un altro duro colpo per l’economia cinese arriva da Country Garden: il colosso immobiliare potrebbe non riuscire a ripagare i suoi debiti all’estero. Lo scorso settembre, la prima società immobiliare cinese per fatturato, ha schivato per un soffio il default, ma adesso la potenziale mina sembrerebbe pronta ad esplodere. Ma quali sono le possibili ricadute economiche e di mercato a livello globale?

Campanelli di allarme continuano a risuonare, ma le ripercussioni sui mercati finanziari internazionali risulterebbero modeste: da un lato l’esposizione verso l’estero delle società del settore immobiliare è contenuta, dall’altro i controlli sui movimenti dei capitali sono ancora rilevanti. Mentre più forte sarebbe l’impatto economico: le stime disponibili mostrano che nel complesso una diminuzione del 15% del valore delle abitazioni in Cina causerebbe un rallentamento del PIL del paese dell’1%. Ciò a sua volta comporterebbe un impatto negativo sulla crescita e sul commercio globali. La riduzione della crescita del prodotto sarebbe fino a 2 decimi di punto negli Stati Uniti e tra 1 e 5 decimi nell’area dell’euro. In questo scenario i corsi delle materie prime, specialmente quelle di cui la Cina è un importatore rilevante a livello mondiale, si ridurrebbero in misura non trascurabile.

Rallenta la crescita e si riduce l’inflazione nell’area euro

Secondo le stime di Via Nazionale il ristagno del Pil nell’area dell’euro, in atto dallo scorcio del 2022, è proseguito anche nei mesi estivi. Vi hanno inciso le condizioni di finanziamento più rigide – a causa della stretta monetaria – e gli effetti dell’alta inflazione sul potere d’acquisto delle famiglie. L’attività rimane fiacca nella manifattura e si indebolisce nei servizi; sono emersi segnali di raffreddamento nel mercato del lavoro. In settembre l’inflazione al consumo e quella di fondo sono scese al 4,3 e al 4,5%, rispettivamente. Nelle proiezioni degli esperti della Bce a dinamica dei prezzi al consumo diminuirà marcatamente nel 2024 (al 3,2%) e nel 2025 (al 2,1). Questo sentiero discendente è sostenuto dalla riduzione dell’inflazione delle voci più persistenti del paniere di beni e servizi.

La stretta monetaria della Bce

In luglio e settembre la Bce ha aumentato di nuovo i tassi. E ha inoltre ribadito che intende reinvestire in modo flessibile, almeno sino alla fine del 2024, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica (PEPP). Nell’area dell’euro il costo dei finanziamenti a imprese e famiglie è ulteriormente salito, riflettendo il rialzo dei tassi ufficiali; i rendimenti sui titoli pubblici decennali sono aumentati, così come i differenziali di quelli italiani con i corrispondenti titoli tedeschi.

Italia, la crescita è rimasta debole in estate

Secondo le valutazioni di Bankitalia, dopo la diminuzione del secondo trimestre è proseguita la fase di debolezza dell’attività economica in Italia, estesa sia alla manifattura sia ai servizi. Gli indicatori confermano la fiacchezza della domanda interna, che riflette l’inasprimento delle condizioni di accesso al credito, l’erosione dei redditi delle famiglie dovuta all’inflazione e la perdita di vigore del mercato del lavoro. Le esportazioni risentono sia della scarsa vivacità della domanda mondiale, sia dell’attività economica nell’area dell’euro.

Nel bimestre luglio-agosto il mercato del lavoro ha mostrato segnali di rallentamento: l’occupazione e il tasso di partecipazione sono rimasti sostanzialmente stabili.

Prestiti bancari giù, aumenta il costo del credito

Tra maggio e agosto il credito a famiglie e imprese è nuovamente diminuito. La domanda di finanziamenti è frenata sia dall’aumento del costo dei prestiti sia dalle minori esigenze di liquidità per investimenti. Le indagini presso le banche evidenziano inoltre che il maggiore rischio percepito dagli intermediari e la minore disponibilità a tollerarlo continuano a contribuire a un irrigidimento delle politiche di concessione dei finanziamenti, indebolendone così la dinamica.

La riduzione del debito “è solo marginale”, con rischi al rialzo

“Secondo i nuovi obiettivi di finanza pubblica – aggiornati dal Governo alla fine di settembre – nel 2023 l’indebitamento netto e il debito in rapporto al Pil continuerebbero a diminuire e si collocherebbero rispettivamente al 5,3 e al 140,2%. È programmata per il 2024 un’espansione del disavanzo rispetto al quadro a legislazione vigente di circa 0,7 punti percentuali del prodotto. L’indebitamento netto scenderebbe gradualmente nei prossimi anni, fino al 2,9% del PIL nel 2026. L’incidenza del debito sul prodotto nel prossimo triennio segnerebbe una riduzione solo marginale, con rischi tendenzialmente al rialzo”, conclude Bankitalia.

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