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BANCA D’ITALIA – Lectio magistralis di Salvatore Rossi su “Istruzione, legalità, sviluppo economico”

Sulla importanza a fini di sviluppo economico della legalità, cioè di un ambiente socio-giuridico che limiti la diffusione della criminalità, disponiamo di una vastissima letteratura. Da ultimo si è soffermato sul tema il Governatore della Banca d’Italia nel corso di un’audizione parlamentare. In quella occasione egli ha detto, fra l’altro:
“L’impatto economico più significativo della criminalità non consiste tanto nel valore di quanto prodotto attraverso attività criminali, ma, con effetti di ben più lungo periodo, nel valore di quanto non (enfasi aggiunta) prodotto a causa delle distorsioni generate dalla diffusione della criminalità”.

Per rilevare empiricamente la presenza di tali distorsioni si può far ricorso a sondaggi, pur restando consapevoli delle limitazioni dello strumento quando si tratta di porre a degli intervistati volontari domande su temi delicati.
Alcune indagini hanno invece rilevato le esperienze dirette degli imprenditori. Qualche anno fa il CENSIS ha intervistato un campione di 800 imprenditori operanti nelle regioni “Obiettivo 1” (Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna, Sicilia): di questi, il 60 per cento dichiarava di subire condizionamenti da parte della criminalità organizzata, spesso con ripercussioni sul fatturato.

Secondo l’Indagine sulla vittimizzazione delle imprese 2007/2008, frutto di un progetto pilota svolto da Transcrime (centro di ricerca sulla criminalità organizzata presso l’Università Cattolica e l’Università di Trento) in collaborazione con il Ministero degli Interni, su un campione rappresentativo di oltre 11.000 imprese italiane quattro intervistati su dieci dichiaravano di aver subito almeno un reato nei 12 mesi precedenti l’intervista, con una forte divaricazione fra Centro-Nord e Sud, a sfavore naturalmente di quest’ultima area, nei reati di rapina, intimidazioni e minacce, concussione, estorsione.

Stimare i costi per le imprese indotti da tali distorsioni del libero mercato è faccenda complessa. Una ricerca recente ha tentato di farlo usando per i territori italiani una distinzione, usuale in letteratura, tra fonti di costo, diretto o indiretto, per le imprese derivanti dalla presenza nel territorio di organizzazioni criminali intrusive: costi di prevenzione (ad esempio per assicurazioni e sicurezza), costi diretti (come il “pizzo”) e partecipazione ai costi sostenuti da tutta la collettività in relazione alle indagini giudiziarie e alla esecuzione delle pene. Il complesso di tali costi al Sud sarebbe pari a due volte e mezzo quelli sostenuti dalle imprese centro-settentrionali, con una molto maggiore incidenza dei costi diretti (pizzo).

Stimare i costi imputabili alla criminalità organizzata per l’economia nel suo complesso, quindi in termini di PIL perduto, è ancora più complesso. La difficoltà analitica sta nell’isolare empiricamente gli effetti depressivi della presenza criminale da quelli dovuti a ogni altra causa. Una ricerca molto recente ci ha provato usando una scorciatoia concettuale equivalente a un esperimento naturale: anziché concentrarsi sulle regioni italiane che sono storicamente afflitte dal fenomeno mafioso, la ricerca si è volta a due regioni (Puglia e Basilicata) in cui l’affacciarsi della criminalità organizzata su vasta scala è relativamente più recente, risalendo alla fine degli anni ’70. Confrontando la performance economica delle due regioni in esame, prima e dopo il “contagio”, con quella di regioni italiane del Centro-Nord dalle caratteristiche socio-economiche simili ma immuni dal contagio, si ricava come l’arrivo della grande criminalità abbia abbassato il sentiero di crescita delle due regioni di 16 punti percentuali in trent’anni, essenzialmente scoraggiando gli investimenti privati.

È di speciale interesse investigare i danni inflitti all’economia da quel particolare canale criminale che è la corruzione di decisori pubblici.

Mettere a confronto quanto è successo negli anni successivi ai due disastrosi terremoti in Friuli e in Irpinia ne offre un’evidenza assai chiara, secondo una ricerca dello scorso anno: l’afflusso di trasferimenti finanziari pubblici avrebbe sortito effetti opposti, di crescita in Friuli (oltre 20 punti percentuali in più rispetto al potenziale nell’arco di un ventennio) e di decrescita in Irpinia (oltre 10 punti in meno), attribuiti al ruolo svolto in Irpinia dalla criminalità organizzata, che avrebbe distratto i fondi pubblici corrompendo i gestori locali, e più in generale dalla minore qualità delle istituzioni.
Un altro studio si è dedicato a investigare l’influenza della criminalità organizzata, sempre per via corruttiva, sulla allocazione degli incentivi pubblici alle imprese offerti dalla Legge 488/92. Classificando i vari comuni italiani per presenza criminale, rilevando i reati ex articolo 416-bis del Codice Penale (associazione a delinquere di stampo mafioso) e i casi di scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione della criminalità organizzata (ex art. 143 e ss. D. Lgs. 267/2000), si trova che, a parità di altre condizioni, più criminalità è presente e più incentivi pubblici arrivano: non per maggior merito delle imprese riceventi, ma per cattive decisioni pubbliche, presumibilmente orientate da fenomeni corruttivi.

Ulteriori ricerche hanno misurato i deleteri effetti della criminalità organizzata su specifici aspetti della vita economica: dal credito (più alti tassi di interesse), agli investimenti esteri (ovviamente scoraggiati da criminalità alta e scarsa qualità delle istituzioni pubbliche), al mercato del lavoro (maggiore disoccupazione).


Allegati: Istruzione, legalit�, sviluppo economico.pdf

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