Senz’altro ricorderete le grandi creature marine nel film di James Cameron Avatar – La via dell’acqua. Sono i Tulkun. Esseri empatici capaci di provare emozioni complesse come gioia, dolore e rabbia. Sono sacri al popolo indigeno dei Na’vi. I Tulkun, infatti, sono parte della loro cultura e del loro modo di vita. Simbolicamente rappresentano la speranza e l’identità del popolo Na’vi di fronte alle minacce esterne e allo sfruttamento del pianeta. La loro presenza è fondamentale nella conservazione dell’ecosistema di Pandora.
È lo stesso sentimento che alcune popolazioni indigene della Polinesia e dell’area del Pacifico nutrono nei confronti delle balene. Per i maori le balene (tohorā) hanno prima di tutto un significato ancestrale. Nella tradizione il popolo maori discende direttamente da loro. Inoltre le balene incarnano uno spirito che connette tutto quello che esiste: esse sono state fondamentali per lo sviluppo del sistema di navigazione dei maori da un’isola all’altra del Pacifico. Tale sistema era costruito proprio sulle migrazioni dei cetacei.
Ancora oggi, i maori e altri popoli polinesiani considerano le balene i custodi del mare. L’idea di uno spirito connettivo unico, generale e pervasivo è anche parte della filosofia occidentale e portò Giordano Bruno sul rogo del Campo dei Fiori.
L’habeas corpus
La consapevolezza della personalità e del ruolo delle balene e di altri cetacei ha trovato una codificazione giuridica. È l’habeas corpus riconosciuto in un trattato sottoscritto dai capi indigeni delle Isole Cook, della Polinesia Francese, di Aotearoa (Nuova Zelanda) e di Tonga.
Le balene e i delfini del Pacifico sono ora ufficialmente considerati “persone giuridiche” in un trattato storico delle comunità indigene. È sancito nel “He Whakaputanga Moana”, in lingua maori. Si può rendere con “Dichiarazione dell’Oceano”. Il trattato è stato firmato il 7 febbraio a Rarotonga, l’isola più grande delle Isole Cook, durante una cerimonia alla quale hanno preso parte Tūheitia Potatau te Wherowhero VII, re maori, e 15 capi supremi dei popoli indigeni di Tahiti e delle Isole Cook.
La minaccia nei confronti dei grandi cetacei è enorme. Non proviene solo dal cambiamento climatico, ma soprattutto dagli impatti con le grandi navi che sempre più numerose solcano le acque dove vivono queste creature. Una collisione con una nave può essere letale: si calcola che 10.000 balene perdano la vita ogni anno per tali cause. Un’altra grandissima minaccia sono le attrezzature di pesca. Reti, lenze, arpioni e altri strumenti di pesca possono provocare a questi mammiferi marini lesioni gravi, soffocamento e persino la morte.
Trattato simbolico fino a un certo punto
Seppur simbolico il trattato è considerato un atto cruciale per la conservazione dell’ecosistema del Pacifico. Per esempio i conservazionisti vi vedono un modo efficace e significativo per fare pressione sui governi nazionali affinché offrano maggiore protezione ai grandi mammiferi, anche senza arrivare all’habeas corpus.
Non è poi così mal riposta e naïf la fiducia dei conservazionisti. Nel 2017 il Parlamento della Nuova Zelanda ha approvato una legge innovativa che ha riconosciuto lo status di persona giuridica al fiume Whanganui, data la sua importanza per i maori, il popolo indigeno della Nuova Zelanda. Il fiume Whanganui è considerato dai maori una divinità, un’entità vivente con un proprio spirito e con il potere di proteggerli e guidarli nel mondo.
Inoltre il crescente peso del tikanga Māori (diritto consuetudinario maori), all’interno del sistema giuridico generale della Nuova Zelanda, potrebbe portare all’applicazione di alcuni principi contenuti nel trattato.
Certo in Nuova Zelanda non c’è più un governo laburista aperto alle istanze dei gruppi maori, ma un governo conservatore assai meno sensibile nei confronti di esse. Però, su questi temi, occorre guardare nel lungo periodo più che nell’immediato. La strada è lunga, ma la direzione è quella giusta.
La protezione delle specie marine
Già dagli anni ’60 si discute ampiamente a livello giuridico, accademico e politico dei diritti degli animali.
Nel 2010, la Dichiarazione dei diritti dei cetacei ha messo al bando la cattività. Nel 2013, l’India ha persino dichiarato i delfini “persone non umane” per impedirne l’importazione e l’utilizzo a scopo di intrattenimento commerciale nei parchi acquatici.
Nonostante questi passi importanti, non esiste ancora uno standard internazionale su questo tipo di protezione. In passato, ci sono stati dei tentativi di stabilire dei principi generali, come quelli contenuti nella dichiarazione universale dell’Unesco dei diritti degli animali del 1978. La mancanza di volontà politica e i disaccordi su come declinare questi principi per ciascuna specie hanno ostacolato il loro processo di applicazione.
In assenza di uno standard globale, i paesi hanno adottato politiche differenti con varianti significative nel grado di protezione della fauna marina selvatica. Questo stato di cose, insieme alla natura migratoria dei cetacei, rappresenta un ostacolo a uniformare gli sforzi per la conservazione e la protezione di queste specie. Infatti le migrazioni su lunghe distanze possono esporre i cetacei a minacce provenienti dalle giurisdizioni che attraversano, giurisdizioni che potrebbero avere livelli di protezione bassi o inesistenti.
Una specie su cinque di quelle coperte dalla convenzione dell’Onu per le specie migratorie è a rischio di estinzione. La protezione dei cetacei richiede cooperazione e respiro internazionali per far fronte a questi rischi globali.
C’è anche da aggiungere che per alcune comunità indigene la caccia ai cetacei rappresenta un’importante pratica culturale come rito e come fonte di sostentamento.
Le potenzialità della Dichiarazione dell’Oceano
Se la Dichiarazione dell’Oceano o parte di essa venisse adottata dagli Stati, similmente a quanto accaduto per il fiume Whanganui, i governi potrebbero sanzionare i trasgressori attraverso la giustizia penale o il diritto consuetudinario. Anche senza conferire ai cetacei l’habeas corpus i Parlamenti potrebbero porre per legge limiti di velocità alle imbarcazioni, introdurre percorsi alternativi di navigazione, bandire le attività di pesca di questi cetacei e l’estrazione sottomarina in certe aree del Pacifico.
Inoltre l’implementazione per legge di nuove tecnologie, come sensori remoti e tecniche acustiche, contribuirebbe a monitorare gli spostamenti degli animali aiutando le imbarcazioni a localizzarli sott’acqua.
Si stima che una balena abbia un valore assicurativo di 2 milioni di euro e che, pertanto, possa essere introdotta una “whale Insurance” da applicare nel caso che un cetaceo sia danneggiato nelle attività di navigazione o di pesca. Il che potrebbe obbligare le compagnie a dotarsi di strumentazione anti collisione e di regole stringenti nella pesca.
Tuttavia, gli ambientalisti non sono certi fino a che punto l’attribuzione della personalità giuridica a balene e delfini possa proteggere le specie più vulnerabili dell’area come il delfino di Hector. La dichiarazione comunque è un grande passo per le balene e i delfini e per il riconoscimento del diritto dei popoli indigeni.
Fonti
Remy Tumin, In Move to Protect Whales, Polynesian Indigenous Groups Give Them ‘Personhood’, “The New York Times”, 29 marzo 201
Bryant Rousseau, In New Zealand, Lands and Rivers Can Be People (Legally Speaking), “The New York Times”, 13 luglio 2016
Whales and dolphins now have legal personhood in the Pacific – but one treaty won’t be enough to protect them, The Conservation, 15 aprile 2024.