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Bad bank al bivio: soluzione di sistema o banche in ordine sparso?

Bad bank delle mie brame. Tutti ne parlano e le ricette si moltiplicano. Il cantiere bad bank aperto da tempo sembra aver ripreso vigore. C’è Intesa Sanpaolo dove, partendo dal settore immobiliare, si starebbe pensando a una bad bank interna, sulla scia di quanto fatto nel Regno Unito da Rbs. C’è poi l’idea di un veicolo esterno insieme a Unicredit e che coinvolgerebbe anche il fondo di private equity  Kkr. Infine, Mediobanca (già scesa in campo sul tema con un report un anno fa in cui invitava a emulare la Spagna) arriverebbe in soccorso di alcuni istituti di medio-grandi (avrebbe avviato colloqui per esempio con Bper e Creval) con un veicolo per la ristrutturazione di crediti deteriorati che potrebbe  diventare operativo entro l’estate.

Già perché l’asset quality revie di Mario Draghi si avvicina sempre più. E i banchieri si stanno arrovellando per trovare una via di uscita da bilanci schiacciati da una montagna di sofferenze. Ma oggi la situazione è nel complesso più favorevole all’idea di mettere in campo una bad bank. “Dopo la rivalutazione delle quote Bankitalia – spiega il professore Giovanni Ferri – che ha aumentato il capitale delle grandi banche, è ora più facile affrontare un discorso di pulizia dei bilanci”.

I non performing loans, come sono chiamati in gergo bilancistico, hanno raggiunto ormai i 150 miliardi di euro e sono attesi in aumento nei prossimi anni, secondo i dati di Prometeia. Per gli analisti separare i crediti “cattivi” dagli asset buoni permetterebbe alle banche di valorizzare il core business e vendere più facilmente i crediti problematici. E si attendono che ogni singola banca si attrezzi per conto proprio. Nel complesso, il modello che le grandi banche italiane avrebbero in mente (diverso dalla soluzione spagnola) punta a separare i portafogli più rischiosi con canali di business e di profilazione dei rischi maggiormente differenziati. D’altra parte nei giorni scorsi anche il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha rilevato che “l’ipotesi di creare una bad bank, nella quale far confluire i crediti deteriorati delle banche, “e’ una delle tante soluzioni di mercato allo studio, ma non è una soluzione di sistema come sono quelle proposte da Bankitalia o dal Tesoro”.

Ieri, al Forex, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha espresso la propria propensione per la bad bank di sistema e vedremo che effetto avranno le sue parole.

IN ORDINE SPARSO O BAD BANK DI SISTEMA?

Il cantiere è aperto. Rimane però la questione se la soluzione in ordine sparso sia la migliore possibile o se invece non sarebbe meglio pensare a una bad bank di sistema. In molti ritengono, e in passato lo hanno detto Bankitalia e Fmi, che l’Italia non abbia bisogno di una soluzione come quella percorsa in Irlanda e Spagna. In un’intervista di ieri sul Sole 24 Ore l’ad di Bnl-Bnp Paribas, Fabio Gallia, ha rilevato che per risolvere il problema delle sofferenze “non servono necessariamente le operazioni di sistema, come l’idea della bad bank”.

Per Adriano Bianchi, Managing Director di Alvarez & Marsal Italia, divisione italiana della società americana di consulenza che è al lavoro sul dossier aperto da Unicredit (con Kkr), “la bad bank, se implementata, dovrebbe essere un’iniziativa di sistema soprattutto in un Paese dove il credito bancario si basa su linee bilaterali e quindi ipotizzare che si proceda in ordine sparso pare irrealistico”. Però c’è operazione di sistema e operazione di sistema.

“Parlare di operazioni di sistema – spiega a Firstonline – però non dovrebbe voler dire garantire la sopravvivenza di tutti i soggetti coinvolti (sia sul lato creditori che su quello dei debitori)  e questo, in Italia (il paese dell’Efim, delle società di Stato in liquidazione da oltre 30 anni.), non è così evidente. Ci troviamo quindi di fronte a due esigenze contrastanti e difficilmente compatibili: se si fa un’operazione di sistema questa, per essere effettivamente efficace – e non essere semplicemente una speculazione finanziaria o un nuovo carrozzone che assorbe le già scarse risorse disponibili – dovrebbe essere governata con criteri privatistici ma al contempo garantire che nessuno possa rifiutarsi di partecipare”.

Di esempi di un ricorso di successo alla bad bank di sistema ce ne sono stati: in Spagna e in Irlanda. Ma in Italia la situazione è più complessa e la soluzione più difficile da individuare. L’Italia ha un problema di soldi e seguire il percorso della Spagna significa mettersi sotto la tutela della Bce o della Ue. La natura dei crediti è poi diversa e più complessa (in Spagna erano soprattutto immobiliari, il che genera una notevole differenza). “In Spagna – spiega Bianchi – la Bad bank, fatta essenzialmente in relazione al settore immobiliare, ha cercato di centrare due obiettivi: a) togliere dai bilanci delle banche un peso enorme che avrebbe impedito alle stesse di operare in modo normale per anni in quanto influenzate dalle minusvalenze e dai problemi di solvibilità che ne sarebbero derivati, b) regolare un mercato – quello immobiliare appunto – in cui l’eccesso di offerta continuerà ad influenzare prezzi e transazioni per molti anni a venire”.

E in Italia costruire una bad bank quali obiettivi vorrebbe perseguire?
“A mio avviso – risponde bianchi – dovrebbe: a) certamente eliminare la zavorra dai bilanci delle banche come fatto in Spagna ma, come detto, avere anche un occhio a ripulire il mercato da una serie di players (sia banche che debitori) che sul mercato non ci possono più stare. Poiché la tipologia dei Npl che incidono sul sistema è molto più diversificato di quanto non fosse in Spagna, personalmente propenderei per una serie di iniziative focalizzate per settore/tipologia (immobiliare, industriale, servizi, crediti al consumo) che possano così adempiere ad entrambi gli scopi: ripulire i bilanci ma anche ripulire il mercato da controparti che oggi, tenute artificialmente in piedi levano spazi e quote di mercato alle debitori sani e che possono competere efficientemente sul mercato”.

In un’ottica di una soluzione di sistema dagli ambienti bancari si chiama in causa un possibile intervento della Cassa depositi e prestiti che grazie alla legge di stabilità per il 2014 potrà acquistare titoli emessi nell’ambito delle cartolarizzazioni con oggetto crediti verso le piccole e medie imprese, al fine di sostenere il credito verso queste ultime. La strada dell’operazione di sistema è preferita anche da Giovanni Ferri. Avrebbe il merito di  non lasciare indietro nessuno, soprattutto i piccoli istituti.

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