Volendo tentare di fare un bilancio dell’anno appena concluso e una previsione ragionevole sui prossimi 12 mesi, mi viene in mente il titolo di un bel libro del grande giornalista Mario Pirani mancato una decina di anni fa: “Poteva andare peggio”. In effetti l’economia dopo un paio d’anni di grande corsa ha frenato non solo in Italia ma in quasi tutti i paesi europei, con la Germania in particolare sofferenza. La situazione internazionale, già fortemente turbata dall’invasione russa dell’Ucraina, si è ulteriormente ingarbugliata sia per l’aggressività della Cina nei confronti di Formosa, sia per l’esplosione del conflitto a Gaza innescato da una spaventosa azione terroristica di Hamas in territorio israeliano.
Governo Meloni: tante, troppe le promesse non mantenute
In Italia si è formato per la prima volta un governo dominato dalle destre con un centro molto piccolo e scarsamente influente anche per la scomparsa del suo leader Silvio Berlusconi. Si può dire, senza tema di smentita, che il governo Meloni per ora non ha fatto quanto necessario per rivitalizzare l’intera Nazione, come pure aveva promesso nel suo primo discorso alle Camere. Alcune cose sono state fatte come la profonda riforma del reddito di cittadinanza e la chiusura del bonus del 110%, due fonti di truffe e di sprechi che solo l’insipienza di Giuseppe Conte e del 5 Stelle poteva concepire. Per il resto si è fatto poco o nulla. Il sostegno agli investimenti industriali è stato ridotto, sulla scuola e la formazione nulla di decisivo. Per non parlare della Giustizia dove si segnalano sterili polemiche tra ministri e magistrati, senza peraltro arrivare ad affrontare il cuore del problema che sta nella scandalosa inefficienza della nostra macchina giudiziaria.
In politica estera meglio delle attese
Il principale successo del governo Meloni sta nella politica estera dove la premier, al contrario di quello che aveva sempre sostenuto quando era all’opposizione, ha adottato una condotta filoatlantica sia sul sostegno a Kiev sia sulla questione israeliana. Sull’Europa, che pure Fratelli d’Italia avevano criticato fino a sostenere in un certo periodo che sarebbe stato conveniente per noi uscire dall’euro, la Meloni ha avuto un atteggiamento altalenante. Ha lasciato perdere le polemiche più distruttive, ma ha varato una strategia del “pacchetto” (tu dai una cosa a me e io do una diversa cosa a te) che in Europa non funziona ed alla fine ha dovuto accettare un rinnovo del patto di stabilità che non è certo quello che il nostro governo sperava. Del resto, questa idea di chiedere a Bruxelles di poter spendere di più aumentando il nostro debito che già è al 140% del Pil non ha un senso economico.
Sulla politica interna Meloni naviga a vista
Per migliorare la nostra situazione economica dobbiamo fare molti cambiamenti nel modo di funzionare del nostro sistema sia pubblico che privato. Dobbiamo fare delle riforme mettendo al centro il “merito” che da noi viene considerato una parolaccia, ma in sua mancanza c’è solo l’arbitrio del potente di turno. Insomma, dobbiamo ridurre la spesa corrente, togliendo tutti i bonus e le agevolazioni che sono stati elargiti negli ultimi anni, facendo una riforma fiscale che possa ripristinare un po’ di equità nel sistema, e soprattutto stimolando ricerca e formazione. Quest’ultima è indispensabile se è vero che le imprese hanno bisogno di almeno 6-7 cento mila lavoratori che non trovano, e ciò riguarda sia i livelli alti di preparazione sia quelli più modesti per i quali serviranno molti più immigrati.
Insomma, la nostra macchina economica va avanti a fatica. La crescita sembra tornata ai livelli dello zero virgola come nei vent’anni precedenti. Da questo punto di vista il Governi Meloni deve porsi l’obiettivo di uscire da questa stagnazione ultraventennale. In caso contrario la sua esperienza governativa si chiuderà con un sonoro fallimento.
Il primo ostacolo per il governo Meloni è il peso di Salvini
Soprattutto la Meloni dovrà liberarsi al più presto del peso di Salvini che ha deciso di occupare uno spazio di ultradestra esponendo il paese a rischi enormi. Il pasticcio sulla mancata approvazione del Mes da parte del nostro Parlamento rivendicato come una grande vittoria dai leghisti, in realtà priva l’Europa e quindi anche noi, di una rete di sicurezza che potrebbe essere utile nel caso di diffuse crisi finanziarie, mentre dal punto di vista politico ci isola dal resto dell’Europa anche perché le considerazioni dei paladini leghisti del voto contrario, come Borghi e Bagnai, sono strumentali e palesemente infondate.
Ma al di là delle questioni economiche il 2024 rischia di caratterizzarsi per il rischio di ulteriori sommovimenti politici. In economia si può dire che l’inflazione si avvia ad essere messa sotto controllo, e quindi i tassi d’interesse dovranno scendere, sia pure con gradualità. Se il prezzo delle materie prime si manterrà a livelli bassi, allora potrà esserci un momento favorevole per la ripresa degli investimenti, pubblici, ma soprattutto privati.
L’incertezza sulle elezioni americane tiene col fiato sospeso anche l’Europa
Quello che preoccupa di più è la situazione politica. Ci saranno elezioni in molte parti del mondo. Se Putin sembra sicuro di vincere in Russia anche perché ha incarcerato tutti i possibili competitor, la massima incertezza regna sulle elezioni americane. Il guaio è che l’Europa sembra beatamente inconsapevole dei rischi che potrebbe correre se Trump tornasse alla Casa Bianca. Cosa succederebbe della Nato che, grazie alle armi americane ha consentito all’Europa di vivere in sicurezza senza pensare troppo a organizzare la propria difesa? La Russia e la Cina hanno innescato una grande rivolta nel mondo contro la supposta egemonia dell’Occidente. Una rivolta partita non a causa della troppa forza delle nostre armi, ma dalla nostra debolezza politica, dalla incapacità di mobilitare la nostra gente a difesa della democrazia e di quanto abbiamo conquistato. Se Trump tornasse al tradizionale isolazionismo, i rischi per gli Usa di essere coinvolti in un conflitto non diminuirebbero come lui dice nei comizi, ma aumenterebbero, come insegna la storia. L’Europa reagisce con lentezza. C’è voluto un anno per varare il nuovo patto di stabilità, mentre alle porte premono ben altre urgenze per una politica estera e della difesa comuni e per un ministero dell’economia in grado di sviluppare una politica economica comune da affiancare alla moneta unica.
Vasto programma! O saremo lungimiranti da farlo per tempo, oppure rischiamo di dover poi agire sulla spinta delle emergenze con spese e rischi molto maggiori.