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Aziende zombie, perchè tenere in vita imprese tecnicamente fallite?

Secondo l’Economist le banche tendono, in tempi di tassi bassi, a tenere in vita aziende malate consentendo loro di ripagare vecchi crediti con nuovi prestiti ma così si rischia di distorcere la corretta allocazione delle risorse riducendole per le aziende che più possono creare sviluppo e occupazione – Il caso italiano richiede nuove visioni e nuovi strumenti d’azione

Aziende zombie, perchè tenere in vita imprese tecnicamente fallite?

Negli ultimi tempi si è parlato frequentemente delle cosiddette “zombie firm” o aziende zombie. Per esemplificare, con esse si identificano quelle imprese che registrano da tempo performance economiche negative sino, in molti casi, a non riuscire a ripagare nemmeno gli interessi sul debito contratto.

Si tratta di aziende tecnicamente fallite, ma che riescono invece a sopravvivere. Come fanno? Da più parti viene imputata alle strategie creditizie delle banche la loro esistenza. Dopo anni di politiche monetarie rilassate, le banche tendono a tenere in vita aziende malate consentendo loro di ripagare vecchi crediti con nuovi prestiti, commenta l’Economist: un tempo avrebbero chiesto la loro bancarotta per recuperare almeno una parte dei prestiti concessi.

Del resto, concedere prestiti a un cliente finanziariamente fragile può apparire meno preoccupante se la banca paga poco il denaro e banche con scarsa profittabilità dovuta agli altrettanto bassi tassi di interesse sono più propense ad appoggiare le aziende zombie. Questa appare essere un’opinione diffusa nelle istituzioni europee e internazionali.

Da un punto di vista economico, la sopravvivenza di aziende simili è problematica per diverse ragioni. Innanzitutto, perché porta ad una non corretta allocazione delle risorse che potrebbero altrimenti e più opportunamente essere indirizzate verso realtà sane e in grado di crescere, realizzare investimenti e aumentare l’occupazione. Esse inoltre investono e guadagnano meno delle altre e se un settore è artificialmente bloccato, cioè chi è inefficiente non se ne va, diventerà meno attraente per gli altri. Sino al punto da disincentivare l’ingresso di nuovi operatori.

GLI EFFETTI DELLE MISURE A SOSTEGNO DELLE IMPRESE

Se i bassi tassi di interesse sembrano rappresentare una delle cause principali della sopravvivenza degli zombie business, è naturale che da più parti si sia manifestato l’allarme per una possibile “zombificazione” dell’economia a seguito delle misure di sostegno alle imprese varate in coincidenza della pandemia Covid 19.

Una larga quota dei prestiti bancari gode oggi di garanzie governative, le moratorie allungano i tempi di ritorno del capitale preso a prestito e ciò potrebbe nascondere situazioni di crisi irreversibili. Stanno quindi crescendo i timori che sovraccaricare il settore aziendale di debiti in risposta alla crisi possa creare una nuova ondata di aziende zombie con conseguenze dannose per le prospettive di ripresa.

La BCE raccomanda alle banche di valutare con attenzione il livello di rischio e di dotarsi di sistemi di risk assessment e di early warning. Per l’Italia si tratta di un tema rilevante, considerata l’ampia presenza di piccole imprese, spesso fortemente dipendenti dal credito bancario. Studi internazionali hanno sottolineato questo aspetto, con stime preoccupanti per quanto riguarda il numero di potenziali aziende zombie nel nostro paese.

Va detto tuttavia che non esistono su questo terreno valutazioni univoche. Lo testimonia uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia da cui emerge, ad esempio, un numero differente di aziende zombie a seconda degli indicatori di bilancio adottati per mapparle. Dalla stessa fonte si evince che l’impatto negativo delle aziende zombie sui rispettivi settori di appartenenza appare più limitato di quanto emerga da altri studi internazionali. Infine, un’osservazione su scala temporale delle aziende classificate come zombie mostra come circa un terzo di esse non lo sia più nell’arco di un triennio.

Gli autori dello studio osservano dunque che sovrastimare tali aziende potrebbe portare a chiusure ingiustificate che a loro volta produrrebbero disoccupazione e mancato utilizzo di fattori produttivi, contribuendo conseguentemente ad una riduzione della domanda. Temi questi ancora più delicati e cruciali se rapportati alla situazione italiana, già in fase recessiva prima dell’avvento della pandemia.

Si tratta senza dubbio di una sfida importante anche per le banche, che dovranno essere non solo in grado di evitare un incremento degli Npl, ma anche di saper individuare e sostenere quelle aziende momentaneamente in crisi, ma che hanno la potenzialità di esprimere valore futuro. Altrimenti ci troveremmo a tagliare le gambe alla ripresa invece di sostenerla.

Questo rischio a nostro avviso esiste. Da un lato, infatti, l’attenzione dei regolatori è forte e il loro focus è naturalmente rivolto soprattutto alla salvaguardia dei bilanci bancari. Dall’altro gli strumenti per identificare le aziende zombie e ancora più quelle che non lo sono, ma stanno vivendo una fase negativa di carattere solo congiunturale, appaiono tutto sommato ancora limitati.

UNA CRISI “FUORI DAGLI SCHEMI”

La crisi economica determinata dal Covid 19, lo è stato ripetuto spesso, ha caratteristiche completamente differenti da quelle passate. Essa non è, per esemplificare, una crisi da sovrapproduzione determinata da una caduta della domanda. È stata al contrario creata artificialmente, attraverso il blocco dell’offerta, per motivi prima di tutto di prevenzione sanitaria.

Gli schemi classici di interpretazione non è detto che funzionino e questo riguarda anche la lettura delle crisi di azienda. Gli accenni di ripesa a cui stiamo assistendo, inoltre, mettono in evidenza come si debba essere preparati a un’economia volatile e a shock inattesi quanto anomali. Ciò richiede uno sforzo inconsueto nel prevenire e mitigare i rischi, come pure nell’individuare con esattezza dove essi si manifesteranno.

Alcuni esempi potranno forse aiutare a comprendere cosa ciò significhi per quanto riguarda la possibilità di identificare fenomeni di “zombizzazione”.

IL PASSATO NON È SEMPRE UN BUON CONSIGLIERE

L’impiego di modelli predittivi spesso raccomandato anche dalle autorità di vigilanza si basa per lo più sullo studio del comportamento di aziende già fallite per apprenderne l’andamento precedente alla crisi, modellizzarlo e applicarlo, attraverso tecniche di machine learning, allo studio di aziende che operano nel presente. In altri termini: se assistiamo a una data sequenza di comportamenti da parte di un’azienda, ciò significa che essa potrebbe essere destinata ad entrare in crisi.

Ma se il contesto di riferimento, come abbiamo visto, è nuovo e inusuale, basarsi su dati e serie storiche passate potrebbe portare a conclusioni fuorvianti. In altri termini, non è detto che ciò che ha portato al fallimento un’azienda nel periodo pre-Covid rappresenti un buon indicatore per valutare il grado di rischio nella fase attuale.

I LIMITI DELLE ANALISI SETTORIALI

Ugualmente ingannevole potrebbe risultare concentrarsi su valutazioni di tipo settoriale. Anche in questo caso è opportuno tenere presente che l’economia dopo la ripresa avrà un volto nuovo, in gran parte ancora non conosciuto.

Scriveva pochi giorni fa il New York Times, commentando la buona ripresa del PIL americano nel primo trimestre dell’anno, che essa non è stata uniforme in tutti i settori. Alcune categorie di beni durevoli per la casa hanno registrato incrementi superiori al 16%, i prodotti informatici hanno segnato un +23% e al contempo si sono verificati declini superiori al 5% nella cura della salute, negli investimenti in beni strumentali, specie per il trasporto e nelle esportazioni in generale, anche a causa dei problemi logistici in corso ormai dallo scoppio della pandemia.

Eppure, all’interno dei settori, non tutto è andato allo stesso modo per tutti. Nella ristorazione, come sappiamo, uno dei più colpiti dalla pandemia, esistono operatori che attraverso la costruzione di soluzioni innovative e flessibili hanno visto crescere il fatturato grazie alle consegne a domicilio.

Le vendite di prodotti di abbigliamento on line sono incrementate di quasi l’11% in un anno (dati marzo 2021) e contemporaneamente una ricerca svolta negli Usa ha messo in evidenza come il 50% delle famiglie americane abbia ridotto la spesa in abbigliamento e sia venuta meno alla fedeltà alla marca in favore di prodotti con prezzi più convenienti o più facilmente reperibili.

Appare dunque pericoloso associare un’azienda all’andamento del suo settore: ciò che ne determina la performance sembra piuttosto il modello di business adottato e la capacità di adattarlo rapidamente al mutare delle condizioni esterne.

SUPPLY CHAIN E FILIERE

Le aziende produttrici di componenti intermedi hanno in questo periodo sperimentato performance differenti in funzione dell’andamento dei settori serviti. L’impiego del concetto di filiera, oggi molto in voga, può portare a risultati ingannevoli. Esistono migliaia di imprese che per la natura dei loro prodotti riforniscono settori molteplici. Esse hanno tutte, con diversa intensità, subito il blocco delle forniture e della produzione, tuttavia si stanno riprendendo a ritmi differenti in funzione dei mercati serviti tradizionalmente e della loro capacità di estendersi oltre i confini tradizionali. In quest’ultimo caso è possibile che possano sperimentare delle performance negative, che vanno comunque considerate come limitate nel tempo. Si tratta infatti dei costi iniziali da sopportare per l’ingresso in mercati contigui.

SHOCK INATTESI

Dall’autunno scorso è in atto un incremento nel prezzo delle materie prime: acciaio, rame, alluminio e una minore disponibilità di rifornimento, dovuta ad un rallentamento della produzione in una prima fase e ad attese di forte crescita della domanda in quella successiva. Le imprese si trovano a pagare prezzi molto più elevati spesso a fronte di contratti già chiusi che non consentono di riversare sul cliente finale tali incrementi.

Si tratta di una situazione ampiamente imprevista e che sta avendo conseguenze significative per molte imprese, specie per quelle in cui la componente della materia prima sul valore finale ha un peso particolarmente elevato. Auspicabilmente l’impatto economico negativo dovrebbe essere di durata limitata. Saper prevedere e leggere tali fenomeni, il loro impatto sul bilancio delle imprese e la loro durata, appare assai importante.

TEMPI DIFFERENTI DI RIPRESA

Andamenti differenti della ripresa economica a seconda delle aree geografiche influenzano analogamente le imprese, soprattutto esportatrici, o i fornitori di chi opera prevalentemente con l’estero. L’economia europea si è nuovamente contratta nel primo trimestre di quest’anno mentre Usa e Cina hanno registrato incrementi significativi del PIL. Anche in questo caso, i risvolti nel conto economico delle imprese possono risultare importanti, ma saranno per loro natura temporanei.

ADOTTARE NUOVE VISIONI E STRUMENTI

Alla vigilia dell’avvio di nuove e importanti misure economiche a sostegno delle imprese italiane, sarà dunque opportuno prendere atto delle discontinuità con il passato e dell’ampio numero di variabili da tenere in considerazione nel pianificare gli interventi previsti.

Agli istituti di credito serviranno approcci analitici molto granulari per rilevare le origini di performance negative da parte delle aziende e classificarle in base a parametri anche non convenzionali. Si rende infatti necessario prevedere le tendenze e misurarne la durata, anticipare gli impatti, distinguere aziende con performance strutturali negative da quelle in cui è in corso una transizione al new normal.

Un compito non facile, eppure decisivo per assicurare al nostro tessuto industriale le risorse necessarie per una sua rigenerazione che includa le risorse imprenditoriali, umane e produttive in grado di realizzare uno sviluppo che da troppo è stato rinviato.

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