Ha ragione da vendere l’economista Marco Onado a segnalare, sul Sole 24 Ore di ieri, che il rinvio dell’aumento di capitale del Monte dei Paschi, uscito dalla tesissima assemblea di sabato dopo la vittoriosa azione della Fondazione a spese del vertice della banca senese, “non è affatto neutrale” sia per i costi che si prospettano in capo alla banca per il mancato risparmio dei Monti-bond per circa 130 milioni di euro sia per le inquietanti incertezze che avvolgono Mps e le condizioni di mercato in cui fra cinque mesi avverrà la sospirata ricapitalizzazione.
E’ vero che era difficile trovare una composizione di interessi in evidente conflitto come quelli della banca e della sua urgenza di ricapitalizzazione sostenuta con passione dal suo presidente Alessandro Profumo e quelli della Fondazione portati avanti per non diluirsi dal nuovo numero uno Antonella Mansi, spalleggiata dalla Confindustria, ma sarebbe riduttivo catalogare tutto questo come semplice scontro tra personalità forti.
Il problema vero è comprendere l’esatta posta in gioco e far tesoro dell’avvertimento che arrivò per tempo dal Fondo Monetario nel suo periodico rapporto sull’Italia, nel quale si segnalava che la ristrutturazione del Monte “è di importanza critica non solo per la banca ma per l’intero sistema” bancario e per l’intero sistema-Italia. Altro che nuova edizione del Palio di Siena in versione bancaria e altro che scontro aziendale o tra feudi locali.
E’ ora di capire che la partita che si gioca su Mps è una partita nazionale e che, come tale, richiede che scendano in campo primari soggetti nazionali e istituzionali, a cominciare dal Tesoro e dalla Banca d’Italia, se non si vogliono correre rischi che metterebbero a repentaglio non solo il futuro della banca senese, dei suoi azionisti e dei suoi depositanti ma la credibilità e la tenuta di tutto il sistema bancario e di tutto il sistema-Paese specialmente alla vigilia dei temibili test della Bce sulla qualità del credito delle principali banche europee.
Non è certamente il caso di fare confronti impropri con le rocambolesche e drammatiche vicende americane del settembre del 2008, ma c’è voluto l’imprevisto fallimento della Lehman Brothers per far intendere a tutto il mondo l’effetto sistemico che la crisi di una grande banca può avere sul complesso del sistema economico e finanziario. Pur con tutte le differenze del caso, è evidente che l’impasse di Siena non può essere presa sottogamba. Mps non è Lehman ma non c’è tempo da perdere ed è ora che la Banca d’Italia attivi tutta la sua moral suasion e che il Tesoro attivi tutti i suoi strumenti per dare un futuro stabile e sicuro all’istituto toscano, anche a costo di vendere qualche asset del Monte se ciò fosse indispensabile.
“Trovare un nucleo di investitori disposti davvero a credere nel risanamento della banca e a dare certezze dopo la ricapitalizzazione”, come auspica Onado, non è facile ma è la via maestra da percorrere per uscire al più presto dalla paurosa incertezza che l’esito dell’assemblea di sabato trasmette non solo a Siena ma all’intero sistema bancario italiano.