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Autostrade, la nazionalizzazione che non c’è: beffa doppia per M5S

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Ricordate quando sul balcone di Palazzo Chigi i Cinque Stelle, euforici per l’approvazione del controverso reddito di cittadinanza da parte del Governo Conte 1, gridarono al mondo che la povertà era stata abolita? Naturalmente non è andata così e proprio l’altro giorno l’Istat ha documentato che, malgrado i benefici del Reddito di cittadinanza, la povertà è in crescita. Ma ora arriva un altro autogol per gli ineffabili grillini che, dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova, erano stati i più decisi a reclamare l’esproprio dei Benetton togliendo alla famiglia veneta il controllo di Autostrade. Le cose sono andate un po’ diversamente.

Autostrade è sì passata di mano e dopo vent’anni il controllo è tornato pubblico con la cessione del pacchetto di maggioranza da Atlantia del gruppo Benetton alla Cassa depositi e prestiti e ai fondi internazionali Blackstone e Macquarie. Ma non solo il cambio di controllo è stato pagato a caro prezzo da Cdp e fondi ma la beffe delle beffe è stata la decisione degli azionisti di minoranza di Autostrade per l’Italia di non cedere le azioni Autostrade per evitare forti perdite. Conclusione: lo Stato paga a caro prezzo Autostrade ma non ne ha il controllo totale. Insomma, niente nazionalizzazione.

Proprio su “Il Fatto quotidiano”, cassa di risonanza dei Cinque Stelle, un economista raffinato come Giorgio Ragazzi, giù autore di un libro dal titolo “La svendita di Autostrade” aveva già messo in evidenza che l’acquisto dell’88% di Autostrade per l’Italia (Aspi) per 9,3 miliardi era stato sì un affare ma solo per il venditore e cioè proprio per i famigerati Benetton che i grillini volevano implacabilmente punire. “L’Iri – ha scritto Ragazzi il 7 giugno in un articolo dal titolo “Comprare Aspi dai Benetton è davvero un pessimo affare” – vendette Autostrade valutando 7,7 miliardi il 100% della società. Vent’anni dopo lo Stato, tramite Cdp, si ricompra il 51% valutando 9,3 miliardi di euro il 100% della società. Lo stato paga di più per una società che ha oggi molti più debiti di allora e, soprattutto, ha 16 residui di concessione, mentre nel 2000 ne aveva 38. Davvero un pessimo “affare””.

“L’acquisizione del controllo di Aspi – prosegue Ragazzi – potrà generare buoni profitti (in futuro) per la Cdp e per i fondi esteri che partecipano all’acquisto, ma è tutt’altro che chiaro se ne derivino benefici per gli utenti dell’autostrada”.

Ma non è finita qui. Infatti i soci di minoranza francesi, tedeschi e cinesi di Aspi, che hanno in mano il 12% circa della società, hanno deciso di non vendere le loro azioni non esercitando il il diritto di co-vendita perchè avrebbero registrato forti minusvalenze di circa 600 milioni di euro. Quindi controllo pubblico sì ma non totale e niente nazionalizzazione. L’assetto azionario finale di Autostrade per l’Italia sarà perciò composto da Cdp, che avrà il 44,9%, dai fondi Blackstone e Macquarie con il 21,5% ciascuno, da Appia Investment (Allianz, EdF e Dif) con il 7% e il fondo cinese Silk Road con il 5%.

Ancora una volta il dilettantismo e il populismo di chi urla alla luna ma non conosce la realtà del mercato è dunque servito. Peccato che a pagare il conto siano i cittadini e gli utenti.

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Categories: Finanza e Mercati

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