Autonomia rafforzata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Di questo s’è parlato al Consiglio dei ministri di ieri sera, 14 febbraio. Un vertice per nulla semplice e non conclusivo. Le due anime del Governo dovranno riuscire a mettersi d’accordo su una delle questioni più spinose degli ultimi anni, provando a non urtare gli umori dei rispettivi bacini elettorali. Il Sud Italia da un lato, che alle elezioni politiche ha spinto il Movimento 5 Stelle al 32% (e che con i ministri Grillo-Sanità, Toninelli-Infrastrutture, Costa-Ambiente e Bonisoli-Cultura si è già sollevato in massa contro l’autonomia) e il Nord Italia dall’altro, roccaforte leghista da decenni, nonostante il Carroccio – ufficialmente – abbia allargato i propri orizzonti anche al resto del Paese.
Al centro tre delle Regioni più ricche d’Italia che chiedono funzioni aggiuntive da finanziare tramite la cessione di una quota dell’IRPEF o di altri tributi prodotta sul territorio. Ovviamente, il Cdm di giovedì, rappresenta solo un primo passo nel lungo iter necessario perché l’autonomia diventi legge e il percorso potrebbe essere molto accidentato.
Ma cosa chiedono, nei dettagli, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto?
AUTONOMIA DIFFERENZIATA: CHE COS’È
Le richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna si legano a doppio filo con la Costituzione italiana. Per capire bene i contorni della questione occorre tenere in considerazione soprattutto due articoli della Carta costituzionale: il numero 116 e il numero 117.
L’articolo 116, al terzo comma, prevede che lo Stato possa attribuire alle Regioni a statuto ordinario particolari condizioni di autonomia definite tecnicamente come “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”. Parlando in parole povere, le Regioni che godono di questa autonomia possono avere poteri diversi rispetto alle altre sulle 23 materie – e qui ci spostiamo sull’articolo 117 – sulle quali Stato e Regione hanno competenza legislativa concorrente, cioè quelle su cui la Regione stabilisce le regole, ma la determinazione dei principi fondamentali rimane riservata allo Stato. Non solo. Maggiore autonomia può essere chiesta anche su alcune materie di competenza esclusiva dello Stato, come “organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
Perché ciò avvenga però è necessario non solo un accordo tra Stato e Regione richiedente, ma anche il parere degli enti locali interessati e l’ok del Parlamento a maggioranza assoluta dei componenti. Tecnicamente questo processo viene definito “legge rinforzata”.
AUTONOMIA RAFFORZATA: COSA CHIEDONO VENETO, LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA
Il tema dell’autonomia differenziata è tornato in auge con i referendum effettuati nell’ottobre 2017 da Veneto e Lombardia (consultazioni senza alcuna validità, occorre sottolinearlo). A queste due si è aggiunta poi anche l’Emilia Romagna.
Il 28 febbraio del 2018, l’ex Governo ha sottoscritto con le tre Regioni tre accordi preliminari relativi ad una possibile autonomia. Adesso siamo arrivati alla fase due.
In questo contesto, occorre però sottolineare che non tutti chiedono le stesse cose. Lombardia e Veneto hanno chiesto maggiore autonomia su tutte le 23 materie di competenza previste, puntando inoltre sulla gestione “esclusiva” di molte di esse, richieste che hanno messo in imbarazzo i ministeri competenti; l’Emilia Romagna invece ha chiesto più autonomia in relazione a 15 materie su 23, preferendo all’esclusività un potenziamento degli strumenti di programmazione.
Tra le materie più rilevanti in gioco ci sono fisco e fiscalità locale, sanità, infrastrutture e trasporti, istruzione e beni culturali.
AUTONOMIA RAFFORZATA: LA GESTIONE DEL FISCO
Uno degli argomenti più delicati, e non poteva essere altrimenti, è quello relativo alla fiscalità. Sulla materia, il ministro dell’Economia Tria ha dato il via libera ad un compromesso che consente, alle tre Regioni interessate, di trattenere quote dell’Irpef prodotta sul territorio.
Il sottosegretario al Mef Massimo Garavaglia e la ministra per gli Affari regionali Erika Stefani hanno spiegato che “si è chiusa l’istruttoria con il Mef con un accordo che prevede l’approdo ai costi e ai fabbisogni standard partendo da una fase iniziale calcolata sul costo storico”. Tradotto: nei primi anni le risorse assorbite dalle Regioni saranno le stesse che oggi lo Stato versa per le medesime funzioni. Nel caso della Lombardia, per esempio, si tratta di 5,6 miliardi.
Trascorsi 3-5 anni si passerà ai “fabbisogni standard” basati sul “costo efficiente” delle funzioni assegnate a ogni Regione. Se però nei prossimi tre anni non si riuscirà ad individuare i “fabbisogni standard” (il che è non solo possibile ma anche probabile), il totale delle risorse a disposizione per le nuove funzioni “non potrà essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse funzioni”, il che garantirebbe una compartecipazione più generosa nei confronti delle “tre regioni autonome”.
AUTONOMIA RAFFORZATA: SALUTE
Per quanto riguarda la sanità, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto hanno chiesto pieni poteri sulla gestione del personale sanitario, compresi i liberi professionisti. Troppo secondo il ministro della Sanità che invece ha deciso di cedere su sei competenze riguardanti:
- assetto istituzionale,
- organizzazione dell’offerta ospedaliera,
- ampliamento della rete formativa,
- abolizione del ticket fisso in ricetta e possibilità di prevedere ticket territoriali
- programmazione degli investimenti sull’edilizia sanitaria.
AUTONOMIA RAFFORZATA: TRASPORTI E INFRASTRUTTURE
Altro capitolo infuocato riguarda infrastrutture e trasporti. Qui le richieste sono piuttosto ambiziose: la Lombardia di Attilio Fontana chiede che le concessioni su varie (molte) autostrade, strade e ferrovie passino in mano alla Regione, così come le funzioni di programmazione e controllo di beni, impianti e infrastrutture. Il Veneto chiede sostanzialmente la stessa cosa. Parliamo di centinaia di chilometri di autostrade e ferrovie che potrebbero passare dallo Stato alle Regioni, cui si aggiunge anche la gestione degli aeroporti. La richiesta è già andata incontro al No secco del ministero delle Infrastrutture Luigi Toninelli che però cerca di mediare offrendo la possibilità di affidare “in house” le infrastrutture a società controllate dagli enti locali sul modello “Autobrennero”.
La questione si lega anche all’Ambiente dato che Lombardia e Veneto chiedono di poter decidere in totale autonomia sulle infrastrutture costruite sui loro territori (e sul loro impatto ambientale) comprese le opere strategiche di interesse nazionale.
AUTONOMIA RAFFORZATA: BENI CULTURALI E ISTRUZIONE
Altro terreno di scontro, che ha causato la dura presa di posizione di paesaggisti, intellettuali e soprintendenti, riguarda la richiesta di far diventare regionale la competenza sulle sovrintendenze e sui beni paesaggistici.
Non solo, la Lombardia chiede anche una totale autonomia sulla gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali di vari beni statali. L’esempio più eclatante? La Pinacoteca di Brera che potrebbe diventare “regionale”.
Per quanto riguarda l’istruzione invece si chiede la potestà legislativa su:
- organizzazione del sistema educativo,
- alternanza scuola-lavoro,
- apprendistato,
- rapporti di lavoro col personale,
- formazione,
- finanziamento delle scuole paritarie.
Aggiornato il 15 febbraio alle 8