La nota positiva, non l’unica, è che dal mese prossimo andrà senz’altro meglio. Le statistiche del mercato dell’auto, infatti, scontano per l’ultima volta il confronto con i numeri della stagione che ha preceduto lo scoppio del contagio che nello scorso marzo ha paralizzato l’industria a quattro ruote in Europa. Dal mese prossimo il dato di confronto, il benchmark, sarà assai più basso e si rivedrà il segno più. Modesta consolazione, perché i numeri da brivido (-19,3% le immatricolazioni nel Vecchio Continente, il dato peggiore degli ultimi otto anni) stanno ad indicare che la ripresa del settore è ancora lontana. Non solo per la profondità della caduta, visto che si è passati da un milione abbondante di pezzi venduti (1,07 milioni per l’esattezza) a 850.107, ma anche perché le “munizioni”, ovvero gli incentivi messi a disposizione dei governi, Francia in testa, si stanno esaurendo. Così come in Italia, dove però i fondi stanziati con la legge di Bilancio hanno evitato il peggio: il mercato italiano, in calo del 12,1% a febbraio, è stato il più resistente, a fronte della frenata di Germania (-19%), Francia (-20,9%) e della frana della Spagna (-38,4%).
Ma a porre una pesante ipoteca sulla riscossa in tempi brevi è la “fame” di semiconduttori, i componenti chiave dell’auto nell’era dell’elettronica, oggi in pratica introvabili. Tanto per valutare il peso del problema basti dire che Herbert Diess, il numero uno di Volkswagen che resta il produttore più importante, ha quantificato in 100 mila il numero delle auto che il gruppo non potrà consegnare ai clienti nel 2021, perché la crisi dell’offerta durerà ancora per un bel po’ e le linee del gruppo non avranno margine per recuperare entro l’anno. Insomma, gli strateghi dell’auto hanno peccato per difetto, limitando gli ordinativi di componenti, per poi scoprire che agli occhi dell’industria dei chips l’auto non è un cliente così importante da trattare con un occhio di riguardo a fronte di tlc e applicazioni del digitale. Una parte della domanda, insomma, non potrà essere coperta, una vera e propria beffa.
Ma anche una nota di consolazione che spiega in parte l’andamento in Borsa del settore automotive che stamane aggiorna i massimi assoluti avanzando di un punto e mezzo percentuale. Al rialzo partecipa Stellantis +0,5%, reduce dalla distribuzione del dividendo straordinario legato a Faurecia, ma la corsa del Toro si fa impetuosa nel caso di Renault e di Bmw, entrambe +3% o ancor di più per l’ammiraglia Volkswagen che mette a segno un 5% abbondante dopo il +10% di ieri, sull’onda della conferenza stampa sulle strategie del gruppo che si candida a far da traino della ripresa del mondo a quattro ruote ampiamente anticipata dalle promesse di Herbert Diess il manager che, dopo un’aspra battaglia , ha ottenuto mesi fa carta bianca per sviluppare a modo suo la strategia nell’auto elettrica con tutte le ricadute del caso. Compreso il prepensionamento di quattromila lavoratori.
Il gruppo intende accelerare sulla mobilità elettrica e prevede di attivare entro il 2030 sei gigafactory in Europa per la produzione di batterie in modo da assicurarsi la fornitura nel segmento dei veicoli elettrici. Gli impianti saranno costruiti attraverso partnership e avranno una capacità di produzione di 240 gigawattora all’anno. Per non correre il rischio di altri colli di bottiglia come per i chips, Diess ha promosso per le batterie una strategia ad alto rischio, degna di Elon Musk, il nemico da abbattere. Il compito di fornire le batterie di nuova generazione, infatti, è stato affidato ad una start up, la norvegese Northvolt, che produrrà “celle unificate”di batterie per i modelli del gruppo teutonico. “Useremo le nostre economie di scala a vantaggio dei nostri clienti anche per quanto riguarda la batteria. In media, ridurremo il costo dei sistemi di batterie a un livello notevolmente inferiore a 100 euro per kilowattora”, ha assicurato il membro del board Thomas Schmall. A tal fine si punta anche su materiali chimici innovativi (come il ferro-fosfato o la grafite sintetica) e sull’ottimizzazione di processi produttivi e riciclaggio. Anche così emerge la volontà di riscossa dell’ammiraglia dell’auto, decisa a cancellare una volta per tutte l’onta del dieselgate.