Nel 2016 il Michigan, tradizionale feudo democratico, decretò a sorpresa la vittoria di Donald Trump. Quattro anni dopo Joe Biden si è preso la rivincita con il 50,6 per cento dei voti. Ma adesso? È evidente che l’esito della trattativa sul rinnovo del contratto dei dipendenti dei 3 Big di Detroit (Ford, Gm e l’ex Chrysler oggi controllata da Stellantis) avrà un peso decisivo sugli orientamenti di voto per le presidenziali di novembre. Di qui l’attenzione per la visita che il presidente Biden farà oggi ai picchetti che presidiano uno degli stabilimenti in sciopero di Gm, il gruppo guidato dalla sua amica Mary Barra. Così come la replica a stretto giro di Donald Trump che domani salirà pure lui a Detroit. Mica per difendere l’azione del sindacato, per carità, ma per accusare la Casa Bianca di voler distruggere l’auto Usa con gli incentivi all’auto elettrica.
Lo sciopero dell’auto Usa: oggi la visita di Joe Biden
Anche di questo si nutre la madre di tutte le battaglie sul lavoro, seguita con estrema attenzione dalla Federal Reserve, preoccupata che le richieste salariali delle tute blu (+40% nei prossimi tre anni) non creino un precedente pericoloso per il mercato del lavoro, vanificando gli sforzi della banca centrale contro l’inflazione. Ma Shawn Fain, il leader sindacale che guida gli scioperi, ha trovato stamane un inatteso alleato nel Wall Street Journal, la Bibbia del capitalismo Usa controllata dalla famiglia Murdoch. In un’inchiesta in prima pagina, il quotidiano rileva che “gli amministratori delegati delle Tre Grandi hanno guadagnato l’anno scorso 300 volte tanto la paga media dei loro dipendenti, più di quanto capita negli altri settori”.
Ecco la classifica del Wall Street Journal sugli stipendi dei Ceo dell’auto Usa
La classifica è guidata da Carlos Tavares, il numero uno di Stellantis, che l’anno scorso ha incassato 25 milioni di dollari, ovvero 365 volte il reddito lordo dei suoi dipendenti (68 mila dollari circa), con un robusto aumento, il 70% circa, rispetto a quando guidata la sola Peugeot, prima dell’integrazione con Fiat Chrysler. Non meno ricca la busta paga di Mary Barra che guida Gm: 29 milioni di dollari, pari a 362 volte quanto guadagna un suo dipendente. Un poco più “povero” Jim Farley di Ford: 21 milioni di dollari, pari a 281 lavoratori Ford. Numeri che impressionano ancor di più se messi a confronto con il calo del reddito reale dei lavoratori delle Big Three: -5,4% rispetto al 2019 secondo l’Economic Policy Institute. Questi dati, per la verità, raccontano solo una parte della realtà: in alcuni settori, vedi il pharma, le buste paga dei dipendenti sono assai più alte che nel mondo dell’auto, perciò la distanza tra capi e dipendenti è inferiore. Nel mondo della tecnologia il più delle volte lo stipendio è solo una voce della retribuzione complessiva, arricchita da bonus e stock options con un impatto fiscale inferiore.
Resta il fatto che nel 2019 Carlos Tavares, riferisce il quotidiano Usa, guadagnava “solo” 219 volte un suo dipendente (il calcolo è fatto sulla base dei conti del bilancio olandese di Stellantis). Ma il dato finale, ha replicato un portavoce del gruppo (l’unico ad aver voluto commentare la notizia), è in linea con la paga di altri ceo dello stesso livello. Non solo. Il 90 per cento della paga è legato ai risultati, così come i premi annuali (poco più di due miliardi di dollari) che l’azienda ha versato ai dipendenti sotto forma di premio annuale.
La forbice tra salari e guadagni dei Ceo alla base delle rivendicazioni del sindacato
La forbice tra salari e guadagni dei vertici è senz’altro una delle chiavi che spiega la piattaforma “aggressiva” dell’Uaw che chiede un aumento medio del 36% in quattro anni, la settimana di 32 ore e un trattamento ben migliore in materia di previdenza e sanità e si è attrezzata per una lunga stagione di scioperi con una formula inedita. Dopo le prime agitazioni in tre diversi impianti delle tre case, la lotta si è estesa a 38 stabilimenti di Gm e Stellantis, scelti con l’obiettivo di bloccare la distribuzione di parti di ricambio. L’Uaw ha voluto evitare in questa seconda tornata di punire Ford perché la casa si è presentata con proposte giudicare più dignitose rispetto ai primi contatti.
E Ford rinuncia all’impianto di batterie per l’auto Usa
Ma, a sorpresa, è proprio Ford ad aver inferto un colpo basso al sindacato nel giorno della visita di Biden. L’azienda ha annunciato l’intenzione di sospendere per ora la realizzazione di una fabbrica di batterie a Marshall nel Michigan. Il motivo? Le richieste del sindacato, che chiede di poter entrare anche in questi impianti. Ma anche l’ostilità dei repubblicani, che contestano l’accordo con Catl, il colosso cinese delle batterie, una sorta di cavallo di Troia per colpire le tute blu secondo le accuse di Trump. A Biden, che non ha ancora ottenuto il sostegno ufficiale del sindacato, l’onere di convincere gli operai che il passaggio all’auto elettrica, peraltro generosamente sovvenzionato, non avvenga a danno dei loro diritti.