La SACE riferisce come lo scorso marzo l’export italiano abbia registrato una marcata contrazione (-16,8%) rispetto a febbraio, subendo gli effetti della pandemia. Anche nel complesso del trimestre gennaio-marzo, il segno è negativo (-4,1%) rispetto ai tre mesi precedenti; a marzo il valore dell’export è diminuito del 13,5% su base annua a causa dei volumi. L’impatto del Coronavirus e dei conseguenti lockdown in varie geografie è ora ben visibile, soprattutto in Cina (-15% rispetto a marzo 2019) e India (-22,7%), ma anche in alcuni paesi europei come Spagna (-19,8%) e Francia (-18,3%). Il dato tendenziale dei primi tre mesi è fortemente influenzato dal calo nelle vendite oltreconfine di meccanica strumentale, autoveicoli e articoli in pelle. Continua invece l’andamento positivo di farmaceutica e alimentari e bevande.
Torna in negativo la domanda proveniente dai Paesi UE, che mostrano i primi effetti della pandemia. Continua la crescita, nel primo trimestre, di Belgio (+13%), Paesi Bassi (+6,5%) e Polonia (+4,5%), mentre Spagna (-7,7%), Austria (-4,3%) e Romania (-5,4%) incassano il colpo peggiore. L’area extra-UE entra in territorio negativo, con poche eccezioni tra cui Giappone (+10,3%) e USA (+10,8%), terzo mercato di sbocco, trainato da mezzi di trasporto (+27,8%), specie nel settore della cantieristica navale, farmaceutica (+44,2%) e alimentari e bevande (+12,5%). La domanda di questi ultimi due (rispettivamente +52,9% e +17,2%) supporta la performance anche in Polonia. In contrazione, dopo la crescita dei primi due mesi, Svizzera (-3.3%), Paesi OPEC (-1,2%) e Asean (-5,3%).
Tra i raggruppamenti principali di industrie, sono i beni di consumo a mostrare la dinamica più favorevole, rimanendo in territorio positivo grazie ai beni non durevoli (+5,1%). Si registra invece una flessione nelle esportazioni di beni di consumo durevoli (-6,6%), a conferma del fatto che la crisi ha avuto subito un impatto sui consumi meno essenziali. Male le vendite oltreconfine di beni strumentali (-7,2%), che tornano a contrarsi dopo il buon andamento registrato nei primi due mesi dell’anno. In calo anche le esportazioni di beni intermedi (-2,3%), che iniziano a risentire dei vari blocchi produttivi e conseguenti interruzioni in alcune catene globali del valore. Molto positiva e generalizzata a tutte le aree geografiche, ad eccezione del Regno Unito, la performance di alimentari e bevande (+12,3%). Di segno opposto, invece, la performance della meccanica strumentale (-9,3%), che ha sofferto particolarmente della sospensione delle attività produttive.
A livello globale, il settore automobilistico ha registrato un notevole calo della sua capitalizzazione di mercato, con un calo superiore al -15% per le case automobilistiche e del -20% per i fornitori, per le sei settimane successive all’inizio dell’epidemia. La scossa correlata al Covid-19 rappresenta un importante ostacolo per il settore, messo sotto pressione dal declino dei mercati e dalla necessità di massicci investimenti in veicoli elettrici e servizi di mobilità. Inoltre, i piccoli rivenditori e i grossisti indipendenti sono i più a rischio, anche qualora lo shock dovesse essere temporaneo. Secondo lo studio ISPI, lo scorso aprile, il primo mese di lockdown completo nella maggior parte dei paesi europei, le nuove immatricolazioni di auto in Europa sono diminuite del 76% rispetto all’anno precedente, con punte del -98% in Spagna, -97,5% nel Regno Unito, -96,5% in Italia e -89% in Francia.
Un serio problema per un settore che occupa il 6% della forza lavoro europea e contribuisce per il 7% al Pil del Vecchio Continente e al 12% delle sue esportazioni totali. Complessivamente, nei primi quattro mesi del 2020 il crollo registrato è pari al -38%. Con l’uscita di Pechino dal lockdown a marzo e della regione di Wuhan nei primi giorni di aprile, gli acquisti e le importazioni di automobili tedesche sono aumentare sensibilmente, controbilanciando il crollo del mercato europeo e americano: le immatricolazioni ad aprile sono aumentate del 4,4% rispetto all’anno precedente, sebbene trainate dal forte balzo nella vendita di veicoli commerciali (+32%), mentre restano deboli nel segmento auto (-2,6%).
Lo spread di Covid-19 al di fuori della Cina, con relativi blocchi in Europa e negli USA, è una grave minaccia, in primo luogo perché rappresentano il secondo e il terzo maggior mercato (con una quota del 23% e 19%, rispettivamente) e centri di produzione (24% e 12%, rispettivamente), vale a dire 2/3 del mercato globale insieme a Pechino. A livello mondiale si prevede un forte crollo nel corso di quest’anno, tra il -10% e il -15%, con gli analisti che non escludono un -25% in caso di crisi prolungata. Storicamente le industrie automobilistiche reagiscono fortemente e negativamente alle recessioni economiche e spesso costringono le autorità ad attuare misure di sostegno per limitarne l’impatto sociale. Negli USA, sebbene le cifre non siano ancora definitive, la diminuzione delle vendite nel mese di aprile è stimata intorno al -45-50%.
Nell’America meridionale, la situazione non è migliore: in Brasile le vendite ad aprile sono diminuite del 75,9%. La produzione nella regione, inoltre, si è praticamente azzerata: sia in Brasile che in Messico la costruzione di automobili ha registrato un drastico -99% ad aprile rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. L’industria automobilistica è altamente esposta alla Cina, il più grande mercato automobilistico e centro di produzione automobilistica m ondiale: rappresenta circa il 30% del totale per entrambi gli indicatori, con più di 25 milioni di nuovi veicoli all’anno. L’impatto è significativo in primo luogo per i dettaglianti e i grossisti locali e segue due anni consecutivi di diminuzione del volume di nuove registrazioni.
Euler Hermes sottolinea come, di fatto, il lato dell’offerta è colpito duramente dal momento che Wuhan, l’epicentro dell’epidemia di Covid-19, non solo rappresenta il 10% dei veicoli prodotti in loco, ma raccoglie anche centinaia di fornitori di componenti, che si rivolgono agli operatori locali ed esportano nel resto del mondo. La chiusura prolungata delle fabbriche sta aumentando il rischio di carenze e interruzioni della catena di approvvigionamento a livello globale: i mercati più dipendenti dalle importazioni cinesi si trovano soprattutto in Estremo Oriente (in media il 13%) e America Latina (9%).
Di fronte a questa situazione senza precedenti, nel mondo si moltiplicano le iniziative a supporto del settore. Tuttavia, il ritardo nell’adozione di piani nazionali potrebbe essere dovuto alla possibilità di un intervento massiccio dell’UE a sostegno del comparto auto, in una logica di riconversione industriale. La Commissione sta infatti facendo circolare una bozza di un piano di 100 miliardi di euro a favore dell’industria automobilistica, al fine di promuovere un trasporto più ecologico, in particolare attraverso auto elettriche.
Proprio a queste ultime dovrebbero essere destinati tra i 40 e i 60 miliardi di investimenti del pacchetto complessivo, dal momento che l’inquinamento del traffico auto è responsabile del 75% delle emissioni generate dal settore trasporti. Un piano ambizioso che, se coordinato con l’adozione dello European Green Deal, favorirebbe una rivoluzione economica senza precedenti, in grado di assicurare una transizione industriale verso un modello più sostenibile di economia, infrastrutture e compatibilità dei trasporti con l’ambiente.