La locomotiva Cina tira a velocità sostenuta e questo rinvia ulteriormente la tanto attesa rivoluzione della mobilità globale, intesa soprattutto come nuove fonti di alimentazione. Fra un quarto di secolo le strade del pianeta ospiteranno circa 1,7 miliardi di autoveicoli – sintetizza la relazione annuale dell’Unione Petrolifera -, ovvero circa il doppio di quanti circolano oggi. Merito (colpa?) soprattutto dell’Oriente, Cina e India in testa, chiamate a dare mobilità al loro scatenato sviluppo industriale, commerciale e sociale. Oltre la metà dei veicoli in marcia sul totale dei cinque continenti si muoverà nei paesi non-Ocse, ma è senza dubbio l’Asia l’area che registrerà l’incremento maggiore.
Incremento però non di qualità, se guardiamo all’ipotesi, alla speranza di sposare sempre più la mobilità con risorse di alimentazione meno inquinanti. Secondo la relazione dell’unione petrolifera, nel 2035 sarà ancora il petrolio a soddisfare il 90% della domanda di mobilità. Questo nonostante il forte progresso tecnologico già avviato, compreso quello dell’auto elettrica che però non basterà a soddisfare l’esigenza di mobilità del mercato mondiale. Secondo il presidente dell’Up, Pasquale De Vita, anche in quella lontana data il contributo delle alimentazioni alternative avrà segnato un forte incremento, ma il suo valore assoluto resterà molto contenuto. Anche i biocarburanti arriveranno a coprire il 2-4% della domanda complessiva mondiale.
Si tratta di stime da parte dell’industria petrolifera, quindi con tutto l’interesse a ridurre la portata della proliferazione dei mezzi no oil. Ma il dato poggia comunque su una certezza: il petrolio è in aumento, a livello globale, sia per domanda sia per produzione, e questo è reso possibili proprio dal forte incremento della motorizzazione nei paesi emergenti. Bastano questi dati per capire che l’era dei combustibili fossili non può considerarsi al tramonto. Già nel 2020 le vendite nei mercati non-Ocse supereranno quelle dei paesi Ocse, motivando quindi dinamiche e i flussi commerciali e di approvvigionamento.
In Europa, ad esempio, il settore della raffinazione è in forte crisi. in Italia, anche in tutta Europa con le inevitabili conseguenze ai livelli occupazionali. Sui 98 impianti attivi in Europa nel 2009, una trentina hanno segnato dati negativi, fra chiusure, cambiamenti proprietà, fallimenti e messa in vendita senza (a oggi) successo. Questo per un calo di oltre il 30% della capacità di raffinazione europea. A tale arretramento fa fronte il progresso della capacità extra-europea: una sola raffineria in india, quella della Reliance, basta a coprire oltre i due terzi dei consumi italiani.
Ma il macro-dato collegato a questo andamento apre nuovi interrogativi sulle fonti di mobilità pulita e relative strategie. Fra progressi dei paesi lontani e una certa pigrizia del cliente (basti ricordare che il 50% degli automobilisti italiani snobba i distributori self-service, nonostante il risparmio a volte anche notevole che consentono), la svolta energetica dell’auto è di là da venire. Pesa anche la lentezza dell’industria nel fornire risposte precise a punti deboli del futuro sistema eco-sostenibile: a tutt’oggi ancora non esiste una vettura a motore elettrico capace di superare con agilità i 200 km di autonomia. Per non parlare della macchinosità dei sistemi e tempi di ricarica, la sostanziale lentezza con cui la macchina sociale reagisce… Se queste problematiche non bastassero, ecco che il sistema petrolio continua imperterrito a macinare utili che altre industrie si sognano, e con una forza commerciale di questo livello sarà sempre molto difficile fargli accettare l’idea del ripiegamento.