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Auto elettrica, il rebus della ricarica

Foto di Pixaline da Pixabay

È un brivido a due facce quello che ci regala l’auto elettrica. Niente male quando saliamo a bordo e una possente accelerazione ci culla con il solo flebile sussurro delle gomme che rotolano. Sarà così per lunghi viaggi silenziosi e puliti, promette un futuro che verrà. Oggi il conto di tanta delizia arriva piuttosto presto: 400 chilometri o giù di lì, se la nostra auto a elettroni e di quelle più costose e raffinate, 150 chilometri o anche meno se ci accontentiamo di un modello “base”, magari di una deliziosa Smart dell’ultima generazione che ha comunque il pregio di confessare sin dalla nascita la sua vocazione solo cittadina.

Quel che promette il serbatoio della nostra vecchia auto a carburante è ancora oggi un sogno. La ricarica obbligata ci chiama all’appello molto, ma molto, prima. Non sarebbe un grosso guaio se usassimo la nostra auto a elettroni solo in città. Se avessimo la presa di ricarica nel box o in cortile. Se l’auto non ci servisse mai per viaggiare. Se per viaggiare avessimo una colonnina ultra-rapida dappertutto ogni 10 o 20 chilometri. E soprattutto se la tecnologia ci consentisse di fare un pieno di elettroni in tempi non dico comparabili con quello di un tradizionale rifornimento di carburante ma almeno coincidenti con un caffè e un panino. Un domani, diciamo tra almeno un decennio secondo l’indicazione degli esperti, tutto ciò potrebbe non essere un problema. Oggi sì.

I coraggiosi dell’auto elettrica hanno tutte le loro buone ragioni per andare in avanscoperta: i cospicui incentivi pubblici, la vocazione ambientale che cova mirabilmente in molti di noi magari, oliata da prestazioni sicuramente accattivanti e dai più prosaici vantaggi sulla libera circolazione in molti dei grandi centri urbani che sbarrano sempre di più la strada alle auto a carburante. I tanti problemi? Si corre per risolverli, tra le promesse di far presto, nella tecnologia e le infrastrutture, in uno scenario che legittima speranze ma anche qualche doveroso dubbio, che si concentra sul primo e più visibile versante critico: quello delle infrastrutture di ricarica.

Il mercato preme

Che l’auto elettrica cominci a godere di una crescente benevolenza è fuori discussione. Il mercato globale dell’auto, complice la pandemia, continua a rallentare rispetto ai volumi degli scorsi anni. Ma a fronte delle 110.000 immatricolazioni totali del luglio scorso (il 20% di meno rispetto al luglio 2020, che già aveva registrato una pesante flessione rispetto al mercato ante pandemia) le nuove auto elettriche sono state 11.500 superando la quota del 10,3% del venduto, con una lieve prevalenza di quelle ibride plug-in rispetto a quelle integralmente elettriche. E così oggi in Italia abbiamo oltre 170.000 auto verdi, poco più della metà totalmente elettriche. Non male, e comunque abbastanza per mettere in crisi o perlomeno a evidenziare il rebus di un’infrastruttura di ricarica che non solo fatica a tener fede alle promesse ma rischia di non soddisfare neanche le esigenze del parco elettrico di oggi.

I problemi sono sotto gli occhi di tutti: il numero e la distribuzione delle colonnine, minate oltretutto dal cattivissimo costume degli italiani di occupare gli spazi riservati con le auto “normali”. A fine giugno avevamo nel nostro paese circa 23.300 prese di ricarica in meno di 9.500 location, con solo l’1% di strutture ultraveloci, quelle che in mezz’ora garantiscono almeno l’80% del ”pieno”. Certo non sembra impossibile raggiungere l’obiettivo di dotare il paese di almeno 100.000 colonnine entro il 2030 tracciato a più riprese dai nostri governanti a colpi di risorse importanti (750 milioni di euro sono direttamente dedicati dal solo Pnrr). Ma anche qui qualche conto potrebbe non tornare se è vero ciò che pronosticano sicuro della modalità elettrica: già nel 2027 le auto elettriche costeranno meno di quelle a carburante (vale la pena di ricordare che come contenuto di materiale e di manifattura motore elettrico è più semplice e teoricamente più economico di un analogo motore a combustione e che il suo prezzo è prevalentemente un problema di economie di scala). Potrebbe servire di più, molto di più, se davvero si dovessero concretizzare le previsioni di un parco auto elettrico che alla fine del decennio potrebbe superare abbondantemente 5 milioni di unità.

Modello da definire

Bisogna oltretutto considerare che oggi il parco colonnine italiano è distribuito in maniera erratica, con una concentrazione in alcuni grandi centri urbani (Roma, Milano) ma con un’assoluta penuria nelle strade extraurbane di grande scorrimento e perfino nelle autostrade, dove solo in queste settimane stanno sorgendo le prime colonnine dopo un lungo palleggio tra la burocrazia e concessionari. Secondo quale modello operativo? Molto, anzi quasi tutto, è ancora da definire. Siamo, è vero, in una fase pionieristica che ha già dato qualche incoraggiante risultato grazie alla rete di accordi che coinvolge praticamente tutte le aziende elettriche, tutte l’ex-municipalizzate insieme ai grandi fornitori di energia e che ha prodotto una prima proliferazione di colonnine installate anche ad opera delle amministrazioni locali.

Come è naturale, ma non scontato la parte del leone e la promozione di tutto ciò è nella volenterosa azione del nostro ex monopolista Enel attraverso Enel X. Tramite l’app Juicepass Enel X garantisce l’accesso a quasi 200.000 punti di ricarica nel mondo (90.000 in Europa) dedicando all’Italia un capitolo del piano strategico 2021-2023 che prevede di arrivare addirittura 780.000 punti di ricarica tra pubblici e privati a livello mondiale con 21.000 punti di ricarica pubblici entro il 2023 solo nel nostro paese privilegiando le strutture ultra Fast, cercando così di massimizzare i vantaggi delle innumerevoli applicazioni offerte dai principali marchi che vendono auto elettriche ma anche dai gestori delle infrastrutture per guidare l’automobilista ad elettroni nell’incombenza della ricarica.

Un ausilio indispensabile quello dell’aiuto telematico alle ricariche. Ma gestito in maniera ancora disomogenea non solo nella distribuzione sul territorio ma anche nella connotazione e nelle grandi scelte strategiche che hanno bisogno in qualche modo di essere pilotate dalle istituzioni. Due esempi: conviene privilegiare il modello della sostituzione degli impianti di ricarica elettrica ai vecchi impianti di distribuzione carburante che si stanno magari chiudendo per razionalizzare la rete, oppure quello delle ricariche più parcellizzate, promuovendo le installazioni nei condomini, nei centri commerciali, nei parcheggi degli uffici, nelle aree di aggregazione? Probabilmente converrà disegnare un mix tra i due modelli che garantisca però il corretto equilibrio sul territorio monitorando l’evolversi delle esigenze.

Il nodo dei costi

Un bel problema da risolvere è quello dei costi effettivi per ricaricare la nostra auto elettrica. Come molte analisi dettagliate hanno evidenziato l’unica maniera veramente conveniente (o almeno la più conveniente) per ricaricare il nostro mezzo elettrico e quello di collegarlo direttamente alla nostra normale rete elettrica di casa o in subordine ad una colonnina privata che ci saremmo fatti installare. Ricaricare l’auto alla colonnina pubblica costa comunque di più, anche molto di più. Troppo, in alcuni casi, tanto da vanificare qualunque convenienza.

Allineare le colonnine pubbliche, anche quelle rapide, il costo domestico non superando quindi i 20 o 25 centesimi di euro a kilowattora, come del resto prevedeva il “Decreto ristori” varato dall’ex governo Conte? Oppure prendere come riferimento i 40 centesimi a kWh come prezzo equilibrato per remunerare i forti investimenti necessari per lo sviluppo della rete? Sta di fatto che oggi per una colonnina al di fuori del nostro condominio si pagano dai 37 centesimi delle ricariche agevolate della rete Tesla fino ai 50 centesimi e oltre per le ricarica veloce ai quasi 80 centesimi a kWh di certe colonnine ultra-rapide, vanificando in questo caso il vantaggio di molte auto elettriche rispetto agli analoghi modelli a carburante. Per sciogliere il rebus delle colonnine forse si potrebbe cominciare proprio da qui.

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