L’Italia occupa l’11° posto al mondo tra gli esportatori di auto e carrozzerie, con una quota, rispettivamente, del 3 e del 2% (mentre la Germania detiene il 21 e il 17%), e il 19° per le apparecchiature elettriche per il settore. Allo steso tempo, il nostro Paese occupa il 9° posto al mondo per export di altra componentistica, dove 4 prodotti su 100 sono Made in Italy mentre 16 sono tedeschi. Ed è proprio nella componentistica che le produzioni nazionali del settore hanno le maggiori potenzialità: nonostante il buon piazzamento, infatti, le destinazioni non sono quelle dove si producono più veicoli né quelle con il parco auto più numeroso. Per il Made in Italy è quanto mai necessario rafforzare il posizionamento in Nord America, dal Canada al Messico, con attenzione alle intenzioni del Presidente Trump riguardo all’accordo di libero scambio NAFTA, inserendosi nella catena di assemblaggio del veicolo.
Auto e componenti: per crescere bisogna conquistare il mercato giusto
Il settore automobilistico è globalmente in crescita con effetti positivi sulle esportazioni italiane, in particolare sui mercati avanzati e in alcuni emergenti particolarmente sviluppati. Tuttavia, come viene riportato nell’ultimo focus SACE, l’Italia rimane tuttavia il mercato dell’Europa continentale con il deficit più rilevante in termini di produzione domestica di veicoli a motore: nel 2015 la differenza tra unità immatricolate e prodotte ha superato le 700 mila vetture. Segno che la capacità di esportazione rimane dunque limitata, pur tenendo conto della struttura sovranazionale del settore e dell’importanza delle reti continentali per la produzione e l’acquisto di autoveicoli. La Germania, che produce a sua volta in molti Paesi, guida con 6 milioni di auto prodotte nel suo territorio e 3,2 milioni di vetture acquistate, mentre in Italia, a fronte di quasi 1,6 milioni di auto vendute nel 2015, quelle prodotte non hanno superato il milione (990 mila). Un livello ben al di sotto dei concorrenti francesi (quasi due milioni di automobili), spagnoli (2,7 milioni) e cechi (1 milione e 200 mila).
Nel frattempo, infatti, è cambiata la geografia della produzione di automobili: se dieci anni fa l’Europa era il primo costruttore di automobili con 3 auto su 10 e quasi 6 su 10 erano prodotte tra UE e Nord America, nel 2015 il Made in the EU si è ristretto a 2 auto su 10 (4 su 10 con gli USA) mentre più di una vettura su 5 è costruita in Cina. Ecco allora che la domanda di veicoli e componenti dovrebbe guidare le scelte di internazionalizzazione delle imprese italiane, già affrancate in molti casi dai modelli del passato. E la varietà di Paesi che seguono rispetto a USA e Germania per importazioni del settore indica che ci sono una pluralità di geografie in cui la presenza italiana può trovare spazio.
Dal 2006 al 2016 l’Italia si è confermata un importatore netto di autovetture e un esportatore netto di parti e componenti (e motocicli). Tuttavia, sul saldo commerciale dei veicoli incide sia una minore importazione, scesa da 30,4 miliardi di euro a 24,5 mld, sia l’aumento dell’export da 13,5 mld a quasi 20 mld. E se le esportazioni di autoveicoli sono oggi più diversificate che dieci anni fa, l’export di componentistica rimane concentrato sui mercati europei (in particolare Germania, Francia, Regno Unito, Spagna), che conservano una quota superiore al 70% del totale, mentre diminuisce sostanzialmente verso alcune aree di più recente investimento (Messico, Turchia) e si rimodula, su quelli emergenti (bene in Brasile e India, male in Cina). In questo scenario il Made in Italy rimane esportatore netto di componenti in Germania, Spagna, Turchia, Polonia, Repubblica Ceca e Brasile, mentre negli ultimi dieci anni la posizione italiana si è andata deteriorando in termini di saldo commerciale proprio in quei mercati dal maggior potenziale di crescita: USA, Cina, Canada, Cile, Messico e Vietnam oltre ad alcuni Paesi mediorientali e africani.
Ecco allora che, a livello globale, le previsioni di SACE sulle vendite future di parti di autoveicoli mostrano una dinamica molto sostenuta in diversi Paesi emergenti tra cui molti asiatici, quei mercati che oggi domandano di più e possono essere la destinazione di scelte di internazionalizzazione con i giusti strumenti a protezione dei rischi. Non bisogna dimenticare che i valori sono molto diversi tra i Paesi considerati: vanno dai 252 milioni di euro della Russia ai 451 miliardi della Cina. Anche un tasso di crescita ridotto, se applicato a un valore molto alto, rappresenta quindi un’opportunità significativa. A detta degli analisti, le maggiori vendite attese saranno in Cina (oltre 20 miliardi di euro), Messico (16 mld) e India (quasi 14 mld). Inoltre, a presentare buone opportunità sono diversi Paesi ASEAN, un’area in forte evoluzione, dalla demografia interessante e con milioni di cittadini che stanno vedendo crescere il proprio potere d’acquisto. In particolar modo, la presenza di competitor internazionali, la distanza fisica e la dimensione ridotta delle imprese esportatrici presuppone un approccio più strutturato che non può prescindere dall’attuazione di una strategia ben definita e articolata, dall’individuazione di un partner affidabile in Italia e all’estero e dalla dotazione di finanziamenti sufficienti al completamento dell’investimento.