L’8 dicembre 2013 si è conclusa alla Royal Academy di Londra la mostra “Australia” che, con una selezione di oltre 200 opere, è stata la più grande collettiva di artisti di questo paese nell’antica madrepatria inglese.
La mostra, organizzata in collaborazione con la National Gallery of Australia, per l’ampiezza biografica degli artisti rappresentati e per le tipologie eterogenee dei lavori (ha spaziato dalla pittura a olio ai video) ha schierato un folto gruppo di curatori: Kathleen Soriano, Director of Exhibitions, Royal Academy of Arts; Ron Radford, Director of the National Gallery of Australia, Canberra; e Anne Gray, Head of Australian Art alla National Gallery of Australia, Canberra.
La Royal Academy of Arts, dal canto suo, ben si presta ad accogliere una mostra così varia nelle sue sale che hanno aperto le porte a tanta arte proveniente dai capi più remoti del mondo. La sua imponente architettura, e la sua ancor più imponente storia che inizia nel 1764, inghiottono presto il visitatore che – se riesce a superare indenne il caos di Piccadilly Circus, dei suoi tanti colori e rumori – troverà in questo luogo un riposo per gli occhi e per lo spirito.
Con la ristrutturazione del 1991 a cura dell’architetto Norman Foster, che anticipa il successivo mastodontico restauro del British Museum, la Royal Academy of Arts si è assicurata un posto di tutto riguardo tra gli esempi di virtuosa armonizzazione tra l’antico e il contemporaneo in architettura. La luce naturale che illumina le opere, opportunamente schermata, è il modo migliore di approcciare le statue e i bassorilievi conservati nella Sackler Wing, tra le quali il celebre Tondo Doni di Michelangelo.
Ma veniamo alla mostra che si è snodata invece negli spazi dell’antica Burlington House.
Le parole chiave del comunicato stampa sono “paesaggio” e “aborigeno” il che ci dà già un’anticipazione dei temi caldi che i curatori si sono trovati ad affrontare, e comprensibilmente. Con i suoi oltre sette milioni di chilometri quadrati l’Australia è il sesto paese del mondo per estensione, pur essendo in larga parte ricoperto di zone desertiche.
Il lavoro di Shaun Gladwell (1972), Approach to Mundi Mundi del 2007, rende visibile appunto questo spazio sconfinato definito solamente dalla linea bianca dell’autostrada che taglia in due il deserto, bilanciata dalle braccia aperte del motociclista che definiscono, questa volta in orizzontale, l’estensione del mondo a lui visibile. Utilizzando il corpo di surfisti, ciclisti e stuntmen, in questo e in altri lavori, Gladwell indaga le strategie di visualizzazione di differenti tipi di spazialità, inconoscibili a meno di non trovarvisi immersi.
Qui si può ascoltare l’artista parlare di questa e di altre opere.
Shaun Gladwell, Approach to Mundi Mundi, 2007. Dalla serie MADDESTMAXIMVS HD/DVD, 16:9, colore, muto, 8’37’’, alla mostra “Australia”, Royal Academy of Arts. Photo © Benedict Johnson
Il deserto caratterizza l’Australia tanto quanto la cultura aborigena. La più celebre tra gli artisti aborigeni (molti artisti lo sono diventati loro malgrado) è Emily Kame Kngwarreye (1910-1996) nata nella comunità di Utopia, 250 chilometri a nord di Alice Springs, nel nord dello sconfinato paese-continente. Iniziata alla pittura su batik tipica dei disegni eseguiti in occasione delle feste rituali indigene, Emily sviluppò temi e disegni autonomi da quelli tradizionali, abbandonando progressivamente il supporto in batik e dedicandosi alla pittura su tela solo intorno agli 80 anni, ritardo che non le impedì di diventare una delle artiste più quotate della sua comunità indigena. Si calcola che in soli otto anni di attività artistica (Emily si era dedicata alla pastorizia fino al 1977) produsse più di 3000 opere, quasi un’opera al giorno!
Il suo tratto inconfondibile fatto di puntini sovrapposti e di linee simili a caratteri di scrittura traghettano le sue enormi tele fuori dagli stilemi decorativi del design, attribuendo all’opera una vita propria, seppur di difficile collocazione per gli occhi nati nell’emisfero boreale.
Continua la lettura su ebookextra