Lo studio dei due economisti Alberto Alesina e Silvia Ardagna, presentato all’Ecofin nell’aprile del 2010, sarebbe stato falsato da un errore nella formula di excel. Una formula che mostrava come i tagli portassero alla crescita e arrivava alla conclusione che è alla base della teoria dell’austerità espansiva: la riduzione della spesa pubblica porta a un aumento del Pil. Ma ora Paul Krugman punta ancora una volta il dito contro i bocconiani pro austerità. E lo fa in un periodo in cui l’austerità sembra in ribasso sotto tutti cieli.
Il Fmi ha dichiarato che “troppo austerità strangola l’economia”, Angela Merkel ha detto che “il rigore non basta più” e Francois Hollande si è espresso sostenendo che “l’austerity ha trascinato l’Europa nel baratro della recessione”. Nel 27 Paesi dell’Ue la disoccupazione è passata dal 9,5% del 2010 al 10,8% di oggi; al Giappone e agli Usa è andata meglio perchè il primo ha messo in piedi una politica espansiva e gli Stati Uniti hanno rilanciato molti investimenti pubblici anteponendo la crescita al rigore. Senza dimenticare poi il Pil: in Italia l’indicatore, a prezzi costanti, è diminuito del 3,4%. Ecco, secondo Krugman, cosa ha fatto la politica dell’austerità.
L’economista ha ribadito che “è colpa loro (di Alesina e Ardagna) se siamo in questa situazione”. Ma la teoria dell’austerità ha avuto, e ancora ha, molti estimatori. Krugman è convinto che la teoria dell’austerità faccia una grande presa sulle classi più abbienti e che – essendo queste le fasce che influenzano di più la politica – di conseguenza sia l’ideologia portante dei governi degli stati del mondo. “I ricchi preferiscono ricorrere al taglio delle spese federali sulla sanità e la previdenza – ha scritto Krugman – mentre il grande pubblico vorrebbe che la spesa in quei settori fosse incrementata”. “Ciò che il più ricco un per cento della popolazione desidera – ha proseguito – diventa ciò che la scienza economica ci dice che dobbiamo fare”.
Non ha tardato ad arrivare la risposta dell’ex direttore della Bocconi, Guido Tabellini. Alla domanda “se è vero che l’austerità ci ha portati in un vicolo cieco”, Tabellini ha risposto che “è vero se consideriamo il caso italiano e quello dei Paesi del Sud Europa”. “Ma è anche vero – ha proseguito – che è difficile estendere il disavanzo senza avere una moneta con cui indebitarsi. Non possiamo metterci sullo stesso piano di Stati Uniti e Giappone che, ad esempio, possono permettersi di avere una banca centrale alle spalle che li sostiene”. L’ex rettore ha tenuto a precisare che la Bocconi non è la scuola dell’auterità e che “l‘articolo di Krugman fa riferimento a due economisti illustri ma nessuno dei due oggi ha incarichi stabili nel nostro ateneo”. “Ci sono docenti nella nostra università, che la pensano in modo diverso – ha detto – Non si può attribuire al lavoro di due studiosi il pensiero di un intero ateneo”.
La querelle è certamente destinata a continuare.